L’Australia, l’AUKUS e Trump: i contrari, i dubbiosi e le rassicurazioni del governo
L’AUKUS è un patto trilaterale di sicurezza lanciato nel settembre 2021 al fine di rafforzare il cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole” nella regione dell’Indo-Pacifico. Il nome non è altro che l’acronimo di Australia, UK e USA e la vera finalità del programma è di aumentare la deterrenza verso la Cina. Mentre i tre Paesi anglofoni tentano invano di coinvolgere anche la Nuova Zelanda, l’elezione di Trump fa sorgere dubbi sull’effettivo proseguimento della cooperazione in questo ambito fra Stati Uniti e Australia.
L’ex premier è contrario
Uno dei critici più severi dell’AUKUS è l’ex premier Paul Keating. Ad agosto aveva affermato che con questo patto Washington otterrebbe il “controllo militare” dell’Australia, la quale si trasformerebbe così nel “51esimo Stato degli USA”. Secondo Keating, il senso implicito dell’AUKUS è di opporsi al crescente potere della Cina nella regione. Nonostante con Pechino non vi sia alcun tipo di contesa, l’Australia finirà comunque per essere un obiettivo militare in caso di conflitto. E la probabilità di uno scontro armato dipende dalla situazione a Taiwan. Il rischio è vedere il Paese pieno di basi militari americane, dice l’ex premier. Poiché Taipei non rappresenta alcun tipo di “interesse vitale” per l’Australia, l’alleanza è dunque ancora più insensata. Per Keating stiamo meglio soli che non ‘protetti’ da una potenza aggressiva come gli Stati Uniti. L’Australia è in grado di difendersi da sola.
Sondaggio rivelatore
Keating è tornato sull’argomento la scorsa settimana a seguito del sondaggio del Resolve Political Monitor. Ha accusato il governo di essere scollato dall’opinione pubblica quanto alla politica estera: infatti il 57% dei rispondenti ha detto che l’Australia dovrebbe evitare di mettersi dalla parte di uno dei contendenti in caso di scontro USA-Cina. Solamente il 16% è a favore di una scelta netta. La società australiana è quindi contraria all’impegno militare di Canberra al fianco di Washington, che finora ha fruttato agli americani l’attracco di quattro sottomarini nucleari presso Perth e il dislocamento a sud di Darwin di sette o otto bombardieri strategici B-52 con armi nucleari. A tal proposito Keating avverte: Tali armamenti, con tutta probabilità, sarebbero fondamentali in qualsiasi scontro militare fra USA e Cina nella regione, sul quale l’Australia non avrebbe nessun ruolo decisionale se non, forse, essere educatamente consultata dagli Stati Uniti prima del loro impiego.
Trump ha vinto: riconsiderare l’AUKUS
C’è chi invita a riconsiderare il progetto AUKUS da un punto di vista pragmatico. Sono gli ex ministri dei governi di stampo Labor, che vedono in Donald Trump una minaccia all’attuazione dei punti cruciali dell’accordo. Il timore principale è che la nuova amministrazione repubblicana, al fine di proteggere le produzioni americane, riduca i volumi previsti fino a togliere significato a tutto l’impianto militare. L’ex ministro degli Esteri Bob Carr ipotizza che gli USA siano già ora in difficoltà con gli obiettivi di fabbricazione di nuovi sottomarini nucleari. Dunque non penseranno certamente a privarsene, cedendoli come da accordi all’Australia. Ritengo che vi sarà una trasformazione dell’AUKUS in un semplice patto secondo cui i sottomarini americani saranno piazzati in basi sulla costa occidentale e molto probabilmente anche su quella orientale dell’Australia, dichiara Carr. Per lui la “grandiosità” del progetto sarà messa in pericolo dalle decisioni di Trump e del suo successore.
Perdita di sovranità
Secondo Gareth Evans, ministro degli Esteri negli anni ‘80 e ‘90 sotto Hawke e Keating, la nuova amministrazione americana sarà inizialmente favorevole all’AUKUS a livello finanziario e industriale, ma cambierà approccio quando a Washington comprenderanno certe implicazioni. Cioè nel giro di un anno o due si renderanno conto che i cantieri americani non riusciranno a produrre a sufficienza per soddisfare sia le esigenze australiane che quelle interne. Dal punto di vista australiano, invece, mancherà la sovranità sui futuri sottomarini nucleari. L’affermazione del governo secondo cui l’Australia avrà il pieno controllo nazionale su questi mezzi è per Evans nient’altro che “uno scherzo di cattivo gusto”. La sua opinione è che il premier Anthony Albanese avrebbe dovuto ridiscutere l’AUKUS nel momento in cui è salito al potere nel 2022. Oggi ormai è incastrato nel dilemma del riformulare un progetto dal costo “indifendibilmente alto” o di vedere il governo etichettato come “debole”.
Il governo rassicura
Sia il premier Albanese che il leader dell’opposizione Peter Dutton ribadiscono che il patto con gli USA nella cornice dell’AUKUS è fuori discussione anche sotto Trump grazie al tradizionale rapporto di amicizia con l’America. Albanese riferisce che, quando gli ha telefonato per fargli le congratulazioni, hanno parlato dell’importanza dell’Alleanza, della solidità delle relazioni Australia-USA nella sfera della sicurezza, dell’AUKUS, del commercio e degli investimenti. Anche il ministro degli Esteri Penny Wong ha inoltrato le sue congratulazioni al vincitore delle presidenziali e ha dichiarato che Canberra si aspetta di lavorare “a stretto contatto” con la nuova amministrazione.
Sostegno bipartisan
Qualche giorno fa una notizia ha seminato inquietudine fra coloro che sono sicuri della continuazione dei progetti comuni. Una delle figure chiave dell’AUKUS da parte americana, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo, non è stato invitato a far parte del prossimo governo. Eppure molti sminuiscono la pericolosità di tale mancanza rifacendosi al sostegno notoriamente bipartisan dato all’AUKUS dal Congresso. Lo fa ad esempio il ministro della Difesa Richard Marles, che nota come nella relativa votazione dello scorso anno si sia registrata una convergenza fra Democratici e Repubblicani che va oltre le circostanze contingenti o il soggetto che oggi o domani possa risiedere alla Casa Bianca. L’AUKUS è un patto trilaterale di sicurezza lanciato nel settembre 2021 al fine di rafforzare il cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole” nella regione dell’Indo-Pacifico. L’elezione di Trump fa sorgere dubbi sull’effettivo proseguimento della cooperazione in questo ambito fra Stati Uniti e Australia.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.