Andrea Tornielli: “Non possiamo non continuare a pregare e sperare per una soluzione negoziale del conflitto russo-ucraino”

Andrea Tornielli: “Non possiamo non continuare a pregare e sperare per una soluzione negoziale del conflitto russo-ucraino”

3 Agosto 2023 0

Da quando è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina, Papa Francesco è tra i pochi – se non l’unico – capi di stato che stanno affrontando tale conflitto oltre le odierne polarizzazioni “manichee”, le quali oscillano tra un “falconismo più rapace” e un “pacifismo utopistico”.

«È in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale. […] Qui la vittima di questo conflitto è l’Ucraina. Io intendo ragionare sul perché questa guerra non sia stata evitata. E la guerra è come un matrimonio, in un certo senso. Per capire, bisogna indagare la dinamica che ha sviluppato il conflitto. Ci sono fattori internazionali che hanno contribuito a provocare la guerra. Ho già ricordato che un capo di Stato, a dicembre dello scorso anno, è venuto a dirmi di essere molto preoccupato perché la Nato era andata ad abbaiare alle porte della Russia senza capire che i russi sono imperiali e temono l’insicurezza ai confini. Lui ha espresso paura che ciò avrebbe provocato una guerra, e questa è scoppiata due mesi dopo. Dunque, non si può essere semplicisti nel ragionare sulle cause del conflitto. Io vedo imperialismi in conflitto. E, quando si sentono minacciati e in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra per rifarsi, e anche per vendere e provare le armi […]».

Sono tra le parole (non è stata la prima volta e nemmeno l’ultima) che il Papa usò con i diciannove gesuiti (operanti nella cosiddetta “Regione russa”) incontrati nel corso del suo viaggio apostolico in Kazakistan, il 15 settembre 2022.

Ne abbiamo parlato con Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede.

 – Negli scorsi mesi, i media vaticani (L’Osservatore Romano e Radio Vaticana – Vatican News) hanno realizzato vari approfondimenti, sulla scorta delle parole che Francesco ha dedicato alla guerra in Ucraina. Direttore, chi sono gli intervistati che l’hanno colpita di più, e perché?

Abbiamo realizzato approfondimenti, ricostruzioni storiche e interviste, per cercare di capire come siamo arrivati allo scoppio di questa guerra di aggressione da parte della Russia all’Ucraina. Devo dire che mi hanno colpito diverse riflessioni di tutti gli intervistati. Di Lucio Caracciolo, ad esempio, la proposta di arrivare a un “cessate il fuoco” immediato, una tregua che congeli la situazione per cercare di salvare vite umane.

Di Gaël Giraud citerei l’auspicio che Germania, Francia e Italia parlino con una voce sola e propongano un Piano Marshall per la ricostruzione sostenibile dell’Ucraina, secondo la transizione ecologica. Cercando di arrivare a una pace negoziata, che assicuri i russi sui futuri confini della NATO, che da quando è caduta l’Unione Sovietica non è più un’alleanza difensiva.

Di Mario Primicerio mi piace ricordare l’affermazione che in un mondo globalizzato non ha senso pensare ad una sicurezza “contro gli altri”, perché solo una sicurezza “con gli altri” è possibile. Vorrei anche menzionare gli approfondimenti storici che ha scritto Guglielmo Gallone, sulla storia del Donbass e sulla storia della Nato. Articoli che aiutano a comprendere la complessità della realtà in un tempo in cui invece va molto di moda semplificare e ragionare per slogan.

 – Quali soluzioni negoziali vede possibili? Come si chiese il Papa all’Angelus domenicale del 3 luglio 2022: “La crisi ucraina può ancora diventare una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni?”

Più passa il tempo, più la guerra si protrae e più lontana appare la soluzione che possa portare se non alla pace almeno al cessate il fuoco. Il Papa ha detto e fatto tutto il possibile per chiedere un sussulto di responsabilità, per invocare l’intervento e la creatività di coloro che avrebbero il potere di metter fine al conflitto uscendo dalla logica della violenza e del riarmo.

Non sono in grado e comunque non ho alcun titolo per indicare possibili piattaforme negoziali. Mi sembra comunque che i due Paesi coinvolti – l’aggressore russo e l’aggredito ucraino – non intendano al momento sedersi attorno a un tavolo per aprire una trattativa. Ma gli Stati Uniti, i Paesi europei e anche la Cina, hanno un potere di persuasione. Il problema è che nessuno sembra in questo momento voler scommettere sulla pace, osare per la pace: la guerra sembra essere ineluttabile. Però quotidianamente vediamo quanti e quali siano i costi: i morti innocenti, le città distrutte, le famiglie sfollate, l’ambiente contaminato.

 – Possiamo ancora sperare che la base per un buon negoziato sia rappresentata dal disatteso “protocollo di Minsk II” del 2015?

Gli accordi di Minsk, disattesi da entrambe le parti, erano un risultato al quale si era arrivati con la mediazione di Francia e Germania e che non sono mai stati rispettati. Avevano un grande valore prima dell’inizio della guerra, ma credo che oggi né Ucraina né Russia vorrebbero ripartire da lì.

Più che da Minsk, bisognerebbe ripartire da Helsinki, o meglio dallo spirito di Helsinki, perché anche quella conferenza appare oggi del tutto irripetibile. Eppure segnò l’inizio del disgelo e portò l’Unione Sovietica a sottoscrivere accordi importanti circa il rispetto dei confini delle nazioni e la volontà di dirimere le contese attraverso il dialogo e la diplomazia, non con le armi.

Papa Francesco nel settembre 2022 in Kazakhstan ha fatto riferimento proprio a questo spirito di Helsinki dicendo:

È l’ora di evitare l’accentuarsi di rivalità e il rafforzamento di blocchi contrapposti”.

 

–  Con l’invio di armi pesanti all’Ucraina e il riarmo, i Paesi alleati (l’Italia ha promesso alla Nato di raggiungere il 2% del Pil per la spesa militare entro il 2024) dell’Ucraina non si rischia di assumere un comportamento ipocrita e di allontanare la pace? Non a caso, e durante l’udienza al “Centro Femminile Italiano” del 2022, il Pontefice ha definito il riarmo una pazzia.

Non entro nel merito dell’invio delle armi: l’Ucraina ha diritto di difendersi e i Paesi occidentali hanno il diritto di aiutare questa difesa. Certo, sarebbe auspicabile che con altrettanta attenzione e impegno ci si proponesse di arrivare a un cessate il fuoco, invece di accettare il conflitto come ineluttabile.

Altra cosa è il riarmo: il Papa ha denunciato con parole molto chiare la corsa agli armamenti che stiamo vedendo. Mi sorprendo sempre nel constatare che i soldi impossibili da trovare per garantire scuole, asili, assistenza sanitaria, welfare, aiuti ai più poveri, vengano improvvisamente trovati e investiti per l’acquisto di mezzi di morte sempre più sofisticati. Francesco ha più volte richiamato gli “affari” che stanno dietro alle guerre, gli affari dei trafficanti di armi.

 – Malgrado ciò, è tutt’ora possibile per gli stati fondatori dell’Europa (tra cui l’Italia) un ruolo da “sforzi creativi di pace” (legati al venerabile Robert Schuman, citato dal Papa durante il viaggio apostolico in Ungheria), ma distinto da quello della Nato (che spesso l’ha limitata, offuscandola) e in grado di favorire un intervento fattivo dell’Onu?

L’Europa avrebbe il dovere di fare e di osare di più. Sembra che abbia perduto la memoria dei suoi padri fondatori e la sua originalità, determinata dalla sua posizione geografica e dalla sua storia. Non si vede creatività e non si vedono nemmeno tentativi diplomatici. È come se la diplomazia fosse diventata improvvisamente muta e a parlare siano solo le armi e il loro indotto.

La Nato, piuttosto appannata prima del febbraio 2022, è diventata un soggetto determinante. Ma è l’Europa, almeno l’Europa dei primi fondatori, che dovrebbe assumere un’iniziativa forte di pace. Mi sembra abbastanza evidente che siamo di fronte a una carenza di leadership e soprattutto all’incapacità di essere uniti per la pace e non per la guerra.

 – Della delicata missione a Kiev dei primi di giugno, affidata direttamente dal Papa al card. Zuppi, dopo quelle compiute dai cardinali Michael Czerny e Konrad Krajewski, quali frutti potremmo vedere? Come è andata secondo lei quella a Mosca?

Le missioni dei cardinali Czerny e Krajewski sono state e sono eminentemente umanitarie, finalizzate a portare vicinanza e aiuti concreti. Quella del cardinale Zuppi è diversa, anche se pure questa ha al momento un fine umanitario, quello di favorire il ritorno alle loro famiglie dei bambini ucraini portati in Russia.

Le mediazioni possono essere realizzate se entrambi i contendenti riconoscono al mediatore questo ruolo. Ora non siamo in questa situazione. Mi sembra che la missione a Mosca del cardinale Zuppi sia stata tutto sommato positiva, relativamente all’accoglienza e alla sensibilizzazione per i temi umanitari. Vedremo quali saranno i prossimi passi, ma è già importante – in queste situazioni – poter attivare dei canali efficaci di comunicazione.  Non possiamo arrenderci. Non possiamo non continuare a pregare e sperare per una soluzione negoziale del conflitto.

 – Nelle scorse settimane, mentre era ricoverato al Policlinico Gemelli, il Santo Padre ha inviato una lettera a Manfred Weber, presidente del Partito Popolare Europeo, il quale si trovava a Roma con 177 parlamentari del PPE.

Al cuore della lunga missiva: la sussidiarietà, la solidarietà, la valorizzazione dell’unità e della diversità; che un cattolico ha il compito di intrecciare insieme, custodendole dalle ideologie quali ad esempio il gender, il relativismo etico e i populismi (di dx e di sx). Venendo al dunque.

Se consideriamo tale lettera come utile non solo ai “popolari”, possiamo desumere i “pilastri” su cui far appoggiare ogni autentico tentativo di pace? E non solo; anche gli sprone per far tornare L’Europa a essere una madre nel fiore degli anni (e non una “fiacca nonnina”), in grado di generare ancora civiltà della pace e dell’amore?

Nella lettera a Weber ci sono tutti gli elementi affinché l’Europa ritrovi se stessa e torni a con maggiore decisione al sogni dei suoi padri fondatori. Relativismo e populismo, come tutti gli “ismi” sono fenomeni degenerativi. Ciò di cui abbiamo bisogno è un’Europa dei popoli, delle identità aperte al dialogo e al confronto, un’Europa che non innalza muri verso i migranti e non partecipa alla folle corsa al riarmo quando già negli arsenali del mondo sono stivate armi in grado di distruggere l’umanità più di una volta.

La sussidiarietà, l’importanza dei corpi intermedi – vero baluardo contro una globalizzazione che ci vuole tutti individui consumatori – la convivenza delle diversità nella pace, l’inclusività e la solidarietà… Dobbiamo riscoprire questo sogno europeo perché – come ripete spesso Papa Francesco – ci si salva solo insieme.

Daniele Barale
Daniele Barale

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