Zelensky pronto all’escalation pur di restare al potere, continuare a godere degli aiuti occidentali e infine salvare la pelle
Kiev sta perdendo e nonostante ciò vuol continuare la partita sebbene aumentino le voci occidentali che le chiedono di fermarsi e trattare. Se gli alleati suggeriscono uno stop, se i cittadini non vogliono andare al fronte e se il Paese è socialmente spaccato, perché il governo insiste tanto? A pensar male si fa peccato, ma spesso si azzecca. E allora il motivo forse è che Zelensky e i suoi fedelissimi non vogliono perdere il potere, per continuare a usufruire delle ingenti donazioni euroamericane e per non dover rispondere alla nazione.
Il “piano di resilienza”
Il 19 novembre Zelensky ha presentato alla Verkhovna Rada, il Parlamento nazionale, il suo “piano di resilienza” in 10 punti per la continuazione della guerra. Il senso del suo discorso è contenuto in queste frasi: Non scambieremo la nostra sovranità, la nostra sicurezza o il futuro dell’Ucraina. Non rinunceremo al diritto dell’Ucraina ai suoi territori. L’Ucraina ha bisogno anzitutto di una pace giusta, e poi gli ucraini potranno tenere elezioni imparziali. E ancora, il riferimento alla produzione di armamenti e all’ingresso nella NATO e nella UE. Insomma, per il presidente la guerra prosegue e deve proseguire fino alla vittoria, che secondo lui sarà anche una vittoria degli europei. Kiev rivuole i confini del 1991 e non pensa a compromessi o trattative. Lo ribadisce il il ministro della Difesa Rustem Umerov: L’integrità territoriale rientra nei nostri valori (…) Crimea e Donbass sono parte dell’Ucraina. Tutto il resto, dice, è propaganda russa.
Zelensky disposto a tutto
Quando ha detto che l’Ucraina non negozierebbe mai sovranità e sicurezza, forse intendeva la sua di sicurezza. Pur di restare in carica, infatti, Zelensky è disposto a tutto, anche al peggio. E il peggio è proprio ciò che potrebbe capitare a lui e a suoi qualora mollasse la presa sul Paese. Il giorno dopo il discorso al Parlamento, il deputato Oleksandr Dubinsky sminuiva come “vacuità” le idee esposte: Non ha senso discutere dell’ennesimo piano del capo del campo di concentramento, herr Zelensky, recitato da lui alla Rada sotto forma di punti vuoti (…) Forma al posto della sostanza. Ecco l’essenza di tutto il potere di Zelensky. Poi mette in guardia i suoi connazionali: alla base di questo piano ci saranno nuove pesanti repressioni contro tutti coloro sui quali cadrà l’occhio di Zelensky. Non potendo sconfiggere il nemico esterno, tutti i dissidenti saranno dichiarati nemici interni.
Infine avverte di fatto anche americani e resto del mondo: Il desiderio di escalation nel conflitto con la Federazione Russa da parte di Zelensky e dell’uscente amministrazione Biden è evidente (…) La creazione delle condizioni per una guerra nucleare locale a questo scopo è qualcosa di assolutamente realistico. È preoccupato della spinta ucraina verso l’escalation anche il generale in pensione dell’aviazione tedesca Harald Kujat, che nei primi anni 2000 ha anche fatto parte dei vertici della NATO. In un’intervista a un portale tedesco sui “gravi errori di valutazione dell’Occidente con conseguenze per l’Europa”, già lo scorso luglio ammoniva: mentre il conflitto raggiunge il suo culmine, sale l’impressione che Zelensky voglia un’escalation bellica fra la Russia e la NATO, perché sarebbe per lui l’unico modo di evitare una catastrofica sconfitta militare e di sopravvivere come presidente dell’Ucraina.
Pronti a scappare?
I recenti congedi per motivi di salute concessi a diversi esponenti dei vertici delle Forze armate lasciano intuire ben altro. Queste dimissioni coincidono stranamente col peggioramento della situazione sul campo, rappresentando quindi ulteriori segnali dello sfaldamento dell’intero apparato ucraino. È lecito sospettare che gli ufficiali dimissionari si starebbero preparando a lasciare il Paese per scappare in Occidente, dove la loro esperienza bellica sarebbe molto apprezzata dai comandi della NATO. Costoro infatti hanno combattuto i russi sul campo, a differenza degli eserciti occidentali, e possono dunque fornire preziose informazioni di prima mano. All’estero godrebbero di protezione, mentre in Ucraina avrebbero dei nemici desiderosi di vederli in carcere, se non peggio. Tra ottobre e novembre sono stati congedati per motivi di salute, tra gli altri, il tenente generale Yurii Sodol, capo del Comando interforze , Tetiana Ostashchenko, comandante delle Forze mediche, e il generale maggiore Dmytro Marchenko.
Che questo genere di “licenze permanenti” per problemi di salute sia la copertura per un altro genere di progetti è un dubbio lecito, derivante dai molti scandali scoppiati in questo ambito. L’ultimo della serie, uno dei più eclatanti, è accaduto a ottobre quando il procuratore generale Andriy Kostin si è dimesso dall’incarico su invito dello stesso Zelensky. Kostin si è assunto la responsabilità politica dopo la denuncia dello SBU, i servizi segreti che rispondono direttamente al presidente, i quali avevano rivelato indagini su ben 64 membri delle commissioni mediche, i quali avrebbero concesso licenze e congedi falsi, oltre a 9 già trovati colpevoli. Decine di ufficiali dell’esercito avrebbero dunque abusato della loro posizione per ottenere lo status di non più abili al servizio e quindi poter lasciare il fronte e dedicarsi ad altro.
Un fiume di denaro
È un fatto ormai noto che la corruzione a Kiev sia all’ordine del giorno. Nella classifica di Transparency International del 2023 l’Ucraina figurava al 104esimo posto su 180: un leggero miglioramento rispetto al 2022, ma comunque troppo lontana dagli standard richiesti per entrare nell’Unione Europea. Gli alleati occidentali ne stanno discutendo a livello di commissioni parlamentari. Finalmente qualcuno si è chiesto dove vada a finire esattamente il fiume di denaro e di aiuti militari che dovrebbe fluire ininterrottamente da USA ed Europa verso il fronte e che invece si divide in tanti rivoli nelle tasche di ufficiali e funzionari. Chiaramente, nel governo di Kiev molti preferiscono la guerra alla pace, perché soltanto con il conflitto in corso possono godere degli attuali privilegi e accaparrarsi una grossa fetta dell’assistenza finanziaria e militare dell’Occidente.
Per dare un’idea dell’ordine di grandezza della corruzione, si pensi al viceministro delle Infrastrutture Vasyl Lozynsky, licenziato l’anno scorso e messo agli arresti domiciliari per aver preso una tangente da 400mila dollari, somma destinata all’acquisto di generatori elettrici. Qualche settimana fa, l’ispettore generale del Dipartimento della Difesa americana Robert Storch ha rivelato le difficoltà e i problemi incontrati nel verificare la condizione degli aiuti USA all’Ucraina. Negli ultimi due anni Washington ha destinato a Kiev la bellezza di 174 miliardi di dollari. Oggi impiega quasi 400 persone per indagare, controllare e riferire a proposito dell’utilizzo degli aiuti concessi. La relazione di agosto parlava dell’apertura di 57 indagini su frodi e irregolarità nella distribuzione, oltre a quelle sul traffico di armi.
Mazzette milionarie
A maggio, sui media ucraini è apparsa la notizia di uno schema di malversazione da milioni di euro, con cui funzionari a Kharkov (città vicina al fronte) intascavano i soldi degli aiuti stranieri destinandoli a imprese edilizie inesistenti. Qualche mese fa lo SBU ha scoperto un giro di mazzette per 40 milioni di dollari all’interno del Ministero della Difesa ucraino. Ne ha fatto le spese il ministro Reznikov, formalmente non implicato, ma ritenuto politicamente responsabile. A proposito del suo successore, l’attuale ministro Umerov, il famoso giornalista investigativo Seymour Hersh ha diffuso le indiscrezioni di un ufficiale americano, che lo ha definito “persino più corrotto”. Kiev sta perdendo e nonostante ciò vuol continuare la partita, sebbene aumentino le voci occidentali che le chiedono di fermarsi e trattare. Il motivo forse è che Zelensky e i suoi fedelissimi vogliono continuare a usufruire delle ingenti donazioni euroamericane e non dover rispondere alla nazione.
52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.