Alleati occidentali che aiutano sempre di meno o cercano il contatto con Mosca: si profila la sconfitta strategica dell’Ucraina
Coi loro sforzi non coordinati e sempre meno convinti gli alleati di Kiev stanno di fatto avvicinando l’ora della sconfitta strategica per l’Ucraina. Alcuni stanno persino cercando un contatto col Cremlino per parlare di tregua o di pace. Lo dice Marc Champion, editorialista di Bloomberg, che conduce un’analisi lucida e precisa nonostante le consuete esagerazioni all’americana. Per esempio, quando parla della debolezza endemica della Russia – che infatti non è ancora crollata sebbene gli esperti ne prevedessero il sicuro collasso già due anni fa – o quando ne sopravvaluta le ambizioni suggerendo che voglia mangiarsi l’Ucraina. Forse una maggiore distanza dai cliché della Guerra Fredda aiuterebbe certi opinionisti americani a non sbagliare i conti, almeno questa volta. Per adesso, comunque, è sufficiente che riconoscano le difficoltà insormontabili in cui si trova Zelensky e la necessità di un cambio di approccio, pena la sicura sconfitta (non solo quella strategica).
Sconfitta strategica all’orizzonte
Lo scorso anno alcuni leader occidentali avevano iniziato a vantarsi di una “sconfitta strategica” della Russia in Ucraina. È stata fin da subito una pessima idea. Il presidente russo Vladimir Putin non smette di citarla quando insiste nella sua falsa affermazione dell’aver inviato i soldati oltre il confine per difendere la Russia da un’aggressione occidentale, e non per invadere per guadagno un’ex colonia. Oggi, dopo mille giorni di scontri armati, si stanno finalmente iniziando a delineare i contorni di una sconfitta strategica. Ma non è quella di Putin: i potenziali sconfitti sono infatti l’Ucraina e i suoi alleati occidentali. Non siamo qui per incolpare anticipatamente Donald Trump qualora Putin riuscisse nel prossimo anno a schiacciare l’Ucraina e a ottenere i suoi obiettivi bellici. L’incauta retorica di alcuni consiglieri e membri della famiglia del presidente eletto non aiuta, perciò deve smettere. Tuttavia, la colpa principale sta altrove.
Repubblicani che cambiano idea
Alcuni Repubblicani che condividono l’approccio di Trump alla “pace adesso” dicono, spesso in modo preciso, che una volta appoggiavano una politica molto più decisa di sostegno a Kiev rispetto a quella dell’amministrazione Biden. Volevano che la Casa Bianca e gli alleati europei dessero un ampio spetto di aiuti militari, di più e più in fretta. Ma la guerra va ancora avanti, con le forze ucraine che faticano a reggere il fronte. In modo meno veritiero, però, quegli stessi Repubblicani ora dicono che l’unico modo per continuare è spiegare agli ucraini che il tempo è scaduto. Dire loro che devono accettare qualunque accordo di pace Putin offra loro e pure nelle tempistiche scelte da Trump. Speriamo che adesso non credano alle rinnovate minacce nucleari di Mosca, col Cremlino che rivela di aver adottato una nuova dottrina in merito. Ho già scritto i motivi per cui un attacco nucleare è improbabile.
Tregua, pace, resa
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è concorde sul fatto che la guerra debba finire il prossimo anno; e non se ne discute più. Kiev, così come i suoi amici baltici, britannici, polacchi e scandinavi, comprende che Putin al momento non ha stimoli a negoziare e quindi non lo farà. Possiede il vantaggio sul campo e vede come la determinazione occidentale si sgretoli davanti ai suoi occhi. Quando parla di pace, intende la resa dell’Ucraina. L’unica risposta a tale dilemma che non porti a una sconfitta strategica dell’Ucraina e dei suoi alleati della NATO è la seguente: un celere cambiamento per allineare le forniture a Kiev e la forza di rigenerazione al nuovo obiettivo dell’ottenimento di una tregua duratura che lasci l’Ucraina sicura e indipendente. Ciò deve essere fatto in modo puntale e coordinato, proprio l’esito che la rinnovate minacce nucleari del Cremlino intendono prevenire.
I potenziali mediatori
E invece venerdì scorso il cancelliere tedesco Olaf Scholz è diventato il primo leader occidentale in due anni a chiamare Putin, peraltro senza assicurarsi prima che Kiev e gli alleati fossero tutti sulla stessa linea e senza nemmeno una prospettiva di successo. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha seguito di lì a poco, diffondendo le sue idee su un piano di pace di cui vorrebbe essere il mediatore. Quindi entrambi sono saltati dentro il passaggio che Trump ha aperto invocando una pace rapida al conflitto. Ed entrambi lo hanno fatto per un guadagno politico personale.
Scholz perché sta perdendo il potere, avendo convocato le elezioni anticipate ed essendo disperato per un miracolo che ribalti la sua sorte politica: la chiacchierata telefonica con Putin, non coordinata e non pianificata, ne è il risultato. Erdoğan perché fin dallo scoppio delle ostilità si vede come mediatore fra Mosca e l’Occidente. Aveva già ottenuto un successo nel negoziare un accordo per mantenere il flusso di grano in uscita dai porti ucraini bloccati, ma non aveva potuto fare di più quando il discorso verteva sul quadro generale. Non ha intenzione di lasciare che Trump, Scholz o altri si prendano i suoi meriti.
Come ha detto Zelensky dopo la telefonata di Scholz, il rischio è di aprire il vaso di Pandora, e ha ragione. È probabile che esca fuori una fiera delle vanità e di annunci di poter “guidare” la fine del conflitto. Di tutto ciò l’unico beneficiario sarebbe Putin. Peraltro, il Cremlino ha subito bollato come “inaccettabile” il piano di Erdoğan di congelare le attuali linee del fronte, di ritardare l’ingresso dell’Ucraina nella NATO per un decennio e di dispiegare le forze internazionali di peacekeeping in una zona cuscinetto demilitarizzata.
Vantaggi e sbagli di Kiev
L’Ucraina e i suoi alleati hanno bisogno di riallineare le strategie con le risorse, e di farlo alla svelta. Le forze di Kiev stanno combattendo con la maggiore determinazione e potenza di cui dispongono. Le loro riserve di munizioni e il loro vantaggio nella guerra dei droni sono superiori a quelli dello scorso anno. Tuttavia ciò non basta comunque a compensare il margine crescente della Russia sul piano del numero di uomini. Hanno contribuito il logoramento, una mobilitazione che Zelensky ha poco saggiamente rimandato, e la scommessa – ambiziosa, ma fallimentare – di riprendere in mano l’iniziativa occupando un pezzo di territorio russo vicino Kursk.
Le forze ucraine adesso stanno cedendo territori al ritmo più alto di sempre dalla primavera 2022 in poi. Nulla di tutto ciò sta a significare che la Russia abbia superato le sue molteplici debolezze che le sono costate centinaia di migliaia tra morti e feriti, e senza ottenere finora l’obiettivo di Putin di far tornare l’Ucraina sotto il controllo di Mosca. Eppure la Russia può sopportare queste perdite ancora a lungo. Adesso ha pure degli alleati pronti a fornirle armi e persino truppe per aumentare lo sforzo bellico.
I missili di Biden
L’amministrazione Biden ha ragione a concedere quanto più aiuto possibile prima di uscire di scena. Ha anche ragione, sebbene sia troppo tardi, nella sua decisione di autorizzare l’uso dei razzi balistici tattici ATACMS da parte degli ucraini contro obiettivi dentro la Federazione Russa. Ed è stato riferito che Kiev ha effettivamente lanciato per la prima volta martedì scorso uno di questi missili di fabbricazione americana dentro la Russia, avendo come obiettivo un deposito di munizioni. Le restrizioni erano state imposte per timore di un’escalation, ma Putin l’ha ugualmente cominciata nonostante tutto. Il dispiegamento delle truppe di Pyongyang e dei missili tattici balistici nordcoreani Hwasoong-11GA è già stato confermato. Tali missili hanno una gittata massima di 900 chilometri e un carico esplosivo da 500 chilogrammi, contro i 300 chilometri e i circa 240 chilogrammi degli ATACMS.
Gli sforzi non coordinati degli alleati
Gli alleati dell’Ucraina devono poter coordinare i loro sforzi nelle forniture alla prima linea invece di competere a chi “vince” la pace. I vari leader, compresi i membri della prossima amministrazione Trump, dovrebbero seguire una disciplina nelle comunicazioni pubbliche e private, in modo che Putin non sia lasciato nel dubbio che rifiutare un negoziato con Zelensky (invece di avanzare semplicemente i termini della resa) gli costi molto oppure no: magari un costo che possa minacciare la sua posizione interna.
Considerato singolarmente, il fatto di permettere a Kiev di usare gli ATACMS dentro il territorio russo non può fare tutto ciò. Non può farlo nemmeno una fornitura di armamenti americani da 5 miliardi di dollari da mandare con urgenza al fronte nei prossimi mesi. E neppure l’iniziativa scandinava di finanziare la produzione nazionale ucraina di armi, dalle munizioni ai missili. Così come non può farlo un ritiro temporaneo e tattico di truppe dalla regione di Kursk in modo da rinforzare le linee interne o uno spiegamento di soldati meglio addestrati e più efficienti tra i nuovi mobilitati.
Coordinare gli sforzi
Invece, se tutte queste azioni vengono eseguite insieme dentro una strategia coerente, allora avrebbero il potenziale di arrestare le avanzate territoriali dei russi e magari ribaltarne alcune. Non è mica una speranza utopistica, dato che in questo conflitto l’iniziativa è già passata di mano diverse volte. Il crescente vantaggio ucraino nelle tecnologie dei droni, se associato a uno stallo sul campo e a un campagna in aumento di attacchi a lungo raggio contro le concentrazioni di truppe russe, contro le infrastrutture petrolifere e gli aerodromi dietro la linea del fronte, potrebbe alla fine convincere il Cremlino che il tempo non è più dalla sua parte.
Non importa quanto possa essere fastidioso a livello politico, ma l’amministrazione Biden e gli altri alleati della NATO dovrebbero fare tutto il possibile per prepararsi a Trump e in pratica per aiutarlo. Devono cambiare abbastanza le dinamiche sul campo di battaglia affinché il prossimo presidente americano abbia in mano le carte per ottenere una vera pace. Ciò non costituirà una sconfitta strategica del Cremlino, perché non sarebbe mai stato possibile. Piuttosto ciò potrebbe forzare Putin ad accettare un cessate-il-fuoco che lasci l’Ucraina indipendente e le dia garanzie contro aggressioni future.
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