Zelensky ha raggiunto la data di scadenza. Qualche dubbio sulla sua legittimità viene pure agli osservatori occidentali

Zelensky ha raggiunto la data di scadenza. Qualche dubbio sulla sua legittimità viene pure agli osservatori occidentali

24 Maggio 2024 0

A mandato presidenziale scaduto Zelensky resta in sella solamente grazie alla legge marziale. È un dato di fatto politicamente perdonato dagli alleati occidentali di Kiev, ma giuridicamente contestato nella stessa Ucraina. Bollare i pareri negativi come opposizione controproducente o come propaganda russa è una tattica che per adesso funziona. Ma ciò non esenterà Zelensky dal dover fare presto i conti con la mancanza di consenso elettorale e popolare.

Che cosa ne pensa Zelensky

Il suo mandato quinquennale da presidente è formalmente terminato il 20 maggio. In un’intervista concessa il giorno stesso alla Reuters ha dichiarato che deve restare in carica perché nel Paese è in vigore la legge marziale. Lui stesso l’ha prolungata fino all’11 agosto. Essa vieta lo svolgimento di elezioni di qualsiasi genere, anche parlamentari o locali. Ha spiegato: è difficile valutare ciò che ho fatto in questi cinque anni e comunque farlo adesso non sarebbe morale. Ribadisce un concetto a lui caro, quello della vittoria totale. Se era estremamente audace prometterla a fine 2022 (tanto che nella sua visita a Washington i vertici americani evitavano in modo imbarazzato di parlarne), è piuttosto folle citarla oggi, con le linee ucraine che traballano e i russi che avanzano. Tuttavia, riferendosi al popolo, Zelensky dichiara: Credo che dobbiamo procedere insieme fino alla fine, fino alla vittoriosa fine.

Che cosa ne pensano gli alleati occidentali

I sostenitori più accaniti di Zelensky zittiscono gli argomenti a favore delle elezioni presidenziali come illogici o – peggio ancora – espressione della propaganda russa. Organizzare le elezioni in una situazione del genere è impossibile, ha detto in conferenza stampa il portavoce della Commissione Europea Peter Stano. Ha aggiunto: Noi (nella UE) non abbiamo alcun dubbio che il presidente dell’Ucraina sia Volodymyr Zelensky. Dunque tutto a posto: circolare, prego! Il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock critica i suoi critici (specialmente quelli russi) dicendo che l’ex attore è ancora presidente in modo pieno e legittimo. Ma a palazzo qualcuno si sta defilando, forse perché sente odore di sconfitta imminente o addirittura di golpe. A livello giuridico c’è una disputa in corso: sui punti in questione la normativa costituzionale non ha un’interpretazione univoca.

Il segretario di Stato Antony Blinken giustifica il rinvio sine die delle elezioni dicendo che occorre anche il voto degli ucraini residenti nei territori controllati dai russi. È  qualcosa di impossibile, ma tanto secondo la Casa Bianca gli ucraini hanno poco interesse a organizzare una tornata elettorale proprio adesso. D’altro canto, lo stesso Zelensky in un’intervista di marzo a Raiuno aveva detto che bisogna allestire i seggi pure per i soldati al fronte e per gli ucraini che stanno all’estero, che sono ben 7 milioni e spesso censiti in modo impreciso.

Un bel dilemma

Se effettuare oggi le elezioni sarebbe problematico sotto vari punti di vista, non svolgerle presenta comunque degli aspetti negativi. Primo fra tutti, ovviamente, è l’accusa di illegittimità che viene posta a Zelensky, presidente fuori tempo massimo grazie al prolungamento della legge marziale. Qualcosa di abbastanza paradossale se si pensa che alle elezioni del 2019 si presentava come candidato di pace… Per essere credibile, forse dovrebbe affrontare la questione, invece di evitare di dare una risposta approfondita a chi gli fa una domanda in proposito. E in effetti qualcuno fa notare che le elezioni in periodi bellici si sono tenute in passato nelle cosiddette democrazie liberali: negli USA sconvolti dalla guerra civile nel 1864 e con le truppe a combattere su due fronti nel 1944, nel Regno Unito nel 1945 con le battaglie in Europa terminate ma ancora in corso nel Pacifico.

Oggi a Kiev si chiedono se un altro leader avrebbe potuto impedire lo scontro con Mosca ed evitare le decine di migliaia di soldati ucraini morti. Oppure avrebbe condotto la guerra in maniera migliore, posto che Zelensky un anno e mezzo fa prometteva vittorie e riconquiste e che invece oggi l’Ucraina ha il 20% di territorio in meno rispetto ai confini del 2019. Più la guerra va avanti in questo modo più il consenso popolare di Zelensky è compromesso. Necessiterà inevitabilmente di una verifica di qualche tipo, meglio se elettorale. A completare il quadro di insofferenza verso il suo governo vi sono le mobilitazioni forzate alle quali i cittadini vogliono sottrarsi, l’accumulo del potere da parte di un cerchio di fedelissimi al presidente e le accuse (anche internazionali) di corruzione.

Qualche dubbio viene anche agli angloamericani…

Il britannico Economist dà un consiglio al presidente ucraino, ammesso che quest’ultimo voglia salvare la faccia di fronte all’opinione pubblica occidentale: Piuttosto che sospendere la democrazia a tempo indeterminato, Mr Zelensky dovrebbe elaborare dei piani per rafforzarla. Anche negli USA si stanno accorgendo che l’Ucraina non è quel baluardo democratico in pericolo nella selva autoritaria dell’Europa dell’Est. La rivista conservatrice The Federalist fa notare che mantenere il Paese sotto la legge marziale e in questo modo prolungare artificialmente il mandato presidenziale è qualcosa di molto lontano dalla narrativa occidentale di un’Ucraina democratica. Essa meriterebbe le centinaia di miliardi di dollari dei contribuenti americani solo se lo fosse davvero. Per Washington è stato essenziale che i cittadini non notassero tdroppo le nefandezze della gestione Zelensky, altrimenti non avrebbero accettato che i soldi delle tasse continuassero ad andare oltreoceano con tanta generosità.

Un personaggio troppo potente

Anche lo Washington Post parla della necessità di una riconferma popolare di Zelensky e soprattutto di una verifica dei processi democratici dello Stato ucraino. Lo fa riferendosi a Andriy Yermak, il capo dello staff presidenziale. È “il più potente nella storia dell’Ucraina” e la sua unica qualifica è essere “l’amico di Zelensky”… Il giornale americano non va per il sottile: Yermak ha concentrato nelle sue mani un’autorità straordinaria che lo mette quasi sullo stesso piano del presidente. Del quale è diventato l’ombra, standogli sempre vicino soprattutto in pubblico e filtrando l’accesso a lui. Senza precedenti esperienze di governo, ma con il controllo personale su decisioni vitali che riguardano il Paese, oggi ricopre di fatto tre incarichi in uno: premier, ministro degli Esteri e capo dell’amministrazione presidenziale. A dirlo è l’ex ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul, che proprio insieme a Yermak coordina il gruppo internazionale che sovrintende alle sanzioni anti-russe.

L’amministrazione Biden ha lavorato per far passare in secondo piano le misure dittatoriali del governo ucraino. Si è infatti comportato da vero e proprio regime nel momento in cui fa chiudere i luoghi di culto e silenzia la stampa libera, mette al bando i partiti di opposizione e lascia che i servizi segreti eliminino personaggi scomodi. Per il caporedattore del The Federalist David Harsanyi, qualcuno potrebbe anche credere che tali azioni siano giustificabili in tempo di guerra, ma non sono in nessun caso azioni liberali. L’Ucraina non è mai stata una democrazia funzionante. A mandato presidenziale scaduto Zelensky resta in sella solamente grazie alla legge marziale. È un dato giuridicamente contestato nella stessa Ucraina. Bollare i pareri negativi come opposizione controproducente o propaganda russa è una tattica che per adesso funziona. Ma ciò non esenterà Zelensky dal dover fare presto i conti con la mancanza di consenso elettorale e popolare.

Martin King
Martin King

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