Ucraina, una trappola per la NATO in stile Afghanistan: intervista al professor  Krejčí

Ucraina, una trappola per la NATO in stile Afghanistan: intervista al professor  Krejčí

16 Gennaio 2023 0

Secondo il politologo ceco Oskar Krejčí il conflitto in Ucraina potrebbe rivelarsi per i Paesi della NATO una sorta di “trappola afghana”, mentre il mondo si muove inesorabilmente verso il multipolarismo. Nell’intervista effettuata da Daniela Černá per il portale Parlamentí Listy, il professor Krejčí delinea alcune possibili prospettive nel 2023 per l’Occidente e per la Russia.

Il culmine delle campagne presidenziali in Russia e negli Stati Uniti potrebbe diventare la linea temporale oltre la quale sarebbe legittimo aspettarsi la fine della guerra: così afferma il professor Oskar Krejčí, famoso politologo ceco, che tirando le somme dell’anno appena conclusosi sottolinea come più di tutti si sia distinto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Alcune dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron suonavano incoraggianti, ma sembra che si sia fatto spaventare dalle sue stesse parole, commenta Krejčí, che poi chiede: “Il conflitto in Ucraina non somiglia a una trappola afghana?”. Secondo il professore non è escluso che il 2023 si riveli peggiore dello scorso anno…

Parlamentí listy: Nel corso di tutto il 2022 la scena internazionale è stata dominata dal conflitto armato in Ucraina. Inizialmente molti speravano che finisse in fretta, ma adesso è chiaro che non terminerà tanto facilmente. Continuerà? oppure c’è qualche chance per una sua conclusione nel 2023? E quale potrebbe essere il punto di svolta?

Oskar Krejčí: Noi guardiamo al conflitto attraverso un prisma di emozioni, ma comunque da lontano. È difficile dire come e quando avverrà una svolta. Sappiamo soltanto che le elezioni presidenziali nella Federazione Russa si terranno il prossimo anno a marzo, mentre quelle americane a novembre… Il culmine delle campagne presidenziali in questi Paesi potrebbe diventare la linea temporale oltre la quale sarebbe legittimo aspettarsi la fine della guerra. Ma potrebbe anche essere che finisca prima. Per adesso vediamo la riorganizzazione dell’esercito russo e la rinuncia alle brigate formatesi dopo la guerra in Georgia nuovamente in favore delle divisioni. Queste ultime possono diventare formazioni capaci di effettuare grosse operazioni di sfondamento e di accerchiamento, come nella Seconda guerra mondiale, con la differenza che in Ucraina si sta svolgendo un nuovo genere di guerra. Quando Stalin ricevette da Sorge l’informazione da Tokyo che l’esercito giapponese non avrebbe ricevuto uniformi imbottite, capì che poteva richiamare le truppe dall’est del Paese verso il fronte occidentale, mentre Hitler lo seppe solo quando le forze di rincalzo diedero battaglia. Adesso invece sia al fronte che nelle retrovie giocano a scacchi e gli spostamenti di tutte le perdine si vedono benissimo coi satelliti.

Ha notato mosse di politici che non hanno agito in maniera adeguata oppure che hanno sorprendentemente fatto i passi giusti in questo conflitto armato?

— Tutto dipende dai criteri con cui li valutaiamo. Per me la cosa più importante è come un politico sappia contribuire a trovare una via per la pace. Non parlo solo di mettere fine alla guerra, ma di inserire questa pace in un nuovo contesto europeo. Lasciando da parte i presidenti delle parti in conflitto, colui che si è distinto maggiormente è il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Alcune dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron suonavano incoraggianti, ma sembra che si sia fatto spaventare dalle sue stesse parole. Angela Merkel per aver ammesso che l’obiettivo degli accordi di Minsk era di guadagnare tempo per preparare l’Ucraina alla guerra merita sicuramente un’onorificenza, solo che non è chiaro da parte di chi. Nel complesso, la Merkel ha confermato la tesi di Vladimir Putin sull’impossibilità di impedire la guerra.

— È possibile dire già adesso quanto e cosa costerà all’Europa il conflitto armato in Ucraina?

— Fare questa previsione è assolutamente impossibile. I piani attuali dell’Unione Europea annunciati pubblicamente sono soltanto “pubblicità”, banale propaganda.

— Henry Kissinger ha avvertito del pericolo derivante dall’avvicinamento tra la Federazione Russa e la Cina. Il generale ceco Jiří Šedivý ha ribadito il concetto in un’intervista all’agenzia ČTK, riferendosi alle dichiarazioni di alcuni generali americani secondo i quali già fra dieci anni sarà possibile uno scontro armato tra Cina e USA. Che cosa ne pensa, professore?

— La politica dell’Occidente che spinge Mosca e Pechino verso una cooperazione sempre più stretta prosegue già da tre decenni. Oggi basta leggere il Concetto strategico del Patto Atlantico, stabilito lo scorso anno al summit dell’alleanza. Al punto 13, ad esempio, si dice che la Cina minaccia “i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori”. Ed è esattamente come dire che la NATO il giorno dopo aver vinto la guerra in Ucraina contro la Russia passerà a occuparsi della Cina. Viene scritto già da alcuni anni che gli USA stanno andando incontro alla guerra con la Cina. Ma oggi Pechino ha già a disposizione 350 testate nucleari e per il 2027 ne avrà 700, secondo le previsioni. Contro un Paese del genere vorrebbe combattere soltanto un ignorante di strategia, che suppone che la guerra con la Cina si svolga interamente sul territorio cinese.

— Ma l’anno scorso vi è stato almeno qualсosa che è accaduto prima dello scenario previsto?

— Se ricordiamo le previsioni di capodanno del 2022, allora vediamo come lo scorso anno sia finito fuori controllo e non è stato conforme nemmeno ai pronostici più audaci. Tra l’altro perché forse hanno fatto male i loro conti pure i principali partecipanti al conflitto ucraino, cioè Mosca e Washington.

— Qual è l’atteggiamento verso il conflitto da parte della Repubblica Ceca, della Germania, della Francia e degli Stati Uniti?

— Non ha senso parlare dei dettagli. Passiamo invece al livello dei vertici dell’Alleanza Atlantica e della sfera mediatica che li circonda. Non molto tempo addietro la NATO ha perso la guerra in Afghanistan o, se vogliamo esprimerci in maniera più morbida, l’Alleanza ha capito di non poter vincere, così ha abbandonato in fretta e furia il campo di battaglia. Avete per caso sentito discutere da qualche parte delle cause per le quali dopo vent’anni di combattimenti è tutto finito in questo modo? Avete per caso sentito qualcuno spiegare come non cadere in futuro in una trappola del genere e non buttarci dentro vite umane e denaro? Non sono forse queste operazioni avventate una grossa minaccia per “gli interessi, la sicurezza e i valori” occidentali? Non è forse il conflitto in Ucraina simile alla “trappola afghana”?

— Da quale punto il conflitto ucraino ci ha svelato le relazioni internazionali?

— Qui ci sono due punti di principio. Anzitutto la guerra, persino nel XXI secolo, rimane uno strumento politico col quale bisogna fare i conti, in particolare se non si vuole un conflitto armato. Il secondo punto consiste in questo: le élite politiche occidentali, comprese quella ceca e quella della UE, non hanno minimamente assolto al compito di evitare la guerra. Esse non vedono, o per meglio dire vedono in maniera poco chiara il fatto che il mondo si sta muovendo in modo assolutamente regolare da un ordine unipolare a uno multipolare. Questo cambiamento non è il risultato di un atto arbitrario di Pechino, ma la conseguenza dei cambiamenti economici non solo in Cina, ma anche in India, in Brasile, in Africa…

Prestate attenzione: negli ultimi anni nei documenti americani e poi più in generale in quelli occidentali è apparso l’accento verso il rispetto di determinate regole e non verso il rispetto del diritto internazionale. Le regole sono in questo caso le norme di comportamento che ha stabilito un egemone la cui gloria è in declino. Tale tentativo di andare contro la storia e contro gli inevitabili cambiamenti è pericoloso e controproducente per noi, per il popolo dell’Occidente. Il cambio di regime del 2014 in Ucraina e il mancato assolvimento del Protocollo di Minsk sono soltanto un esempio specifico della cecità dei vertici politici.

— Secondo il generale Jiří Šedivý, lo scontro armato in Ucraina terminerà e tutta l’attenzione si sposterà sulle migrazioni, le cui cifre sono in aumento. Qual è il Suo commento in merito?

— Non lo si può escludere, così come non si può escludere che il prossimo anno sarà pure peggiore del precedente…

— Come pensa che sarà il 2023?

— Presto ci scontreremo con un’intera serie di crisi: energetica, migratoria, finanziaria. La recessione si trasformerà in crisi, la guerra in Ucraina… Poi c’è ancora la crisi ecologica, la crisi dell’Unione Europea… La loro combinazione può generare un effetto sinergico, nel momento in cui la crisi finale si mostrerà più pericolosa di un semplice complesso di crisi singolarmente considerate.

Redazione Strumenti Politici
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