Tre scenari possibili per la conclusione del conflitto fra Russia e Ucraina

Tre scenari possibili per la conclusione del conflitto fra Russia e Ucraina

31 Maggio 2022 0

Proponiamo l’analisi del conflitto fra Russia e Ucraina condotta da Andrey Kortunov, direttore del Consiglio Russo per gli Affari Internazionali (RSMD), il think thank di Mosca che comprende accademici, politici e diplomatici. La sua esposizione, che esamina tre possibili esiti della guerra e le loro eventuali conseguenze per il mondo, non include però lo scenario di una vittoria russa.

L’attuale confronto militare fra Russia e Ucraina non può ovviamente definirsi come un normale conflitto etnico: quelli che per etnia sono ucraini e russi combattono su tutti e due i lati del fronte. Il nazionalismo radicale non è l’unica e nemmeno la principale forza propulsiva della tenace resistenza ucraina, anche se a Mosca talvolta lo si crede. Questo scontro non va neanche ritenuto un conflitto religioso simile ai tanti che avvengono in Medio Oriente: sia la Russia che l’Ucraina sono da tempo Stati laici, così come non bisogna sopravvalutare l’importanza del risveglio del sentimento religioso in atto in entrambi i Paesi. E non è neppure una classica contesa sui confini, seppure le questioni territoriali irrisolte rappresentino un serio ostacolo sul cammino verso qualunque accordo di pace fra Mosca e Kiev. In ultima analisi, alla base dell’odierno conflitto vi è l’incompatibilità fra modi molto diversi di organizzare la vita sociale e politica di questi due Paesi, che un tempo formavano insieme il nucleo dell’universo sovietico. C’è poi, in misura non certo minore, la contraddizione di principio e – se così possiamo dire – pienamente antagonistica fra due visioni del sistema internazionale moderno e del pianeta nel suo complesso: abbiamo di fronte a noi due idee opposte su cosa nella vita sia giusto e cosa sbagliato, su cosa sia legittimo e cosa no, cosa si debba considerare legale e cosa invece illegale. Ed è infine la differenza decisiva sulla questione cardinale della natura, delle fonti di legittimità e dei criteri di efficienza del potere statale.

Ben difficilmente qualcuno dirà che l’Ucraina è diventata un modello di democrazia liberale di tipo occidentale. Ma è altrettanto evidente che questo Paese si sta muovendo con insistenza in tale direzione, anche se lentamente, talvolta in modo scomposto, con degli inevitabili insuccessi e arretramenti. A sua volta la Russia non è affatto un esempio rappresentativo di Stato autoritario di tipo asiatico o europeo, ma si sta discostando in una maniera sempre più coerente dal modello democratico-liberale, o almeno lo ha fatto nel corso degli ultimi due decenni. La società ucraina sta provando a organizzarsi seguendo il principio “dal basso verso l’alto”, mentre alla base dell’organizzazione sociale e politica russa soggiace il principio “dall’alto verso il basso”. Dal momento in cui l’Ucraina acquisì l’indipendenza nel 1991, a Kiev si sono avvicendati sei presidenti, e ognuno di loro ha ottenuto il potere grazie a elezioni indubbiamente competitive, non sempre prevedibili e qualche volta piene di enfasi. In questi trent’anni, invece, la Russia è stata governata solo da tre capi di Stato, e ognuno di questi è stato scrupolosamente selezionato, preparato in maniera precisa e tutelato a lungo dal proprio predecessore. Forse gli storici, gli antropologi culturali e i sociologi discuteranno ancora per molto tempo sulle ragioni della separazione così repentina fra i due frammenti più grossi della civiltà sovietica e sulle possibili traiettorie della futura evoluzione di ciascuno di essi. Al momento attuale, tuttavia, bisogna constatare che l’incompatibilità di principio dei due modelli organizzativi non si è risolta solamente in un terribile confronto militare fratricida nel cuore stesso dell’Europa, ma detta anche in misura significativa la logica di comportamento delle parti in questa contrapposizione storica.

La scelta dei quadri dirigenti e l’organizzazione della propaganda statale, della mobilizzazione politica della popolazione e la pianificazione delle operazioni militari, l’interazione con gli amici e la comunicazione con gli avversari: in tutti questi ambiti e in molti altri i due modelli post-sovietici concorrenti passano attraverso quello che si potrebbe definire un crash test socio-economico e politico (cioè la prova di impatto di sicurezza o la prova di collisione delle apparecchiature). Con tutta evidenza, i risultati del test avranno delle conseguenze nel lungo periodo e si faranno sentire molto al di fuori dei confini di Russia e Ucraina. A Kiev potrebbero obiettare che le condizioni del suddetto crash-test sono chiaramente inique: la Russia è più grande, più ricca e dal punto di vista militare notoriamente più potente dell’Ucraina. Ma d’altro canto quest’ultima sta riscuotendo un’estesa simpatia a livello internazionale e un appoggio militare, economico, umanitario e di intelligence praticamente illimitato da parte dell’Occidente. La Russia, pur con tutti i vantaggi obiettivi, può contare solo su sé stessa e per giunta subisce la pressione di sanzioni su scala sempre più larga. Sotto vari punti di vista, l’Occidente si è ritrovato ad essere partecipante diretto degli eventi in corso, ecco perché oggi anche i modelli occidentali di organizzazione sociale stanno facendo il loro crash-test, pur se non nel formato duro che è toccato a Kiev e Mosca.

Diversi esperti russi amano affermare che proprio il massiccio aiuto occidentale militare e di altro tipo costituisce l’unica ragione per la quale l’Ucraina non è ancora crollata e non ha capitolato. Tale logica, però, fornisce poche spiegazioni sulla questione delle origini delle motivazioni della società ucraina. Ricordiamo, ad esempio, l’Afghanistan, dove tutto l’aiuto di lunga durata, su vasta scala, militare e di altro genere da parte degli USA e dei loro partner non ha creato intralci alla travolgente avanzata dei talebani e alla repentina caduta del regime del presidente Ashraf Ghani a Kabul. Certo, non è del tutto corretto paragonare l’Ucraina all’Afghanistan, ma la realtà politica, a nostro parere, è ben più che evidente; mentre gli afghani nel 2021 non erano motivati a combattere con tenacia per il proprio Paese e per i propri valori, un numero significativo di ucraini nel 2022 è visibilmente dotato di tale motivazione. Le scommesse sul test di resistenza dei due modelli potrebbero difficilmente essere più alte di come sono. E non si parla solo del futuro di Russia e Ucraina, ma delle prospettive di sviluppo dello stesso sistema globale e dei parametri fondamentali del nuovo ordine mondiale. Inoltre si tratta di ciò che è pertinente al concetto di “modernità” e conseguentemente dei capisaldi sui quali gli uomini di governo inizieranno a costruire i modelli nazionali scelti per lo sviluppo socio-politico dei prossimi decenni. Di conseguenza, oggi non si lotta solo su Izjum o Severodonetsk, ma anche sulle menti e sui cuori di quei politici del futuro che dovranno edificare un mondo nuovo.

Possiamo quindi proporre almeno tre scenari sull’esito dell’operazione militare speciale della Russia nel territorio dell’Ucraina, con ciascun risultato che genera enormi conseguenze geopolitiche. Se Mosca perdesse nettamente questo scontro epico, nella politica mondiale vedremmo probabilmente la rinascita della forza multipolare di inizio secolo, nonostante l’opposizione che Pechino indiscutibilmente opporrebbe. Se l’Ucraina può essere per Vladimir Putin un “affare da terminare”, allora il posto della Russia sulla scena mondiale resta certamente quello di un “affare da terminare” per molti politici occidentali. Una vittoria schiacciante dell’Ucraina permetterebbe finalmente di concludere il compito che l’Occidente ha tentato senza successo per più di trent’anni, quello di “addomesticare” e rendere “docile” la Russia post-comunista. Il raggiungimento di questo obiettivo renderebbe a sua volta possibile all’Occidente aumentare bruscamente la pressione sulla Cina, che in tali circostanze rimarrebbe l’unico vero ostacolo all’instaurazione di un’egemonia liberale globale e all’avvento della tanto attesa Fine della Storia.

Se il conflitto terminasse senza un risultato acquisito, ma con un compromesso politico vicendevolmente accettabile sia da Mosca che da Kiev, così come dalla Russia e dall’Occidente, allora l’esito finale dello scontro fra i modelli di sviluppo russo e ucraino sarebbe per l’ennesima volta rimandato. La concorrenza di principio fra i due modelli di organizzazione sociale sicuramente proseguirebbe, ma a un livello meno aspro. In altre parole, al posto di uno scontro frontale vedremmo la continuazione della contesa fra Mosca e Kiev sotto forma di una gara di corsa. Al compromesso certamente non ideale (e molto probabilmente temporaneo) fra Occidente e Russia seguirebbe il compromesso più importante e fondamentale fra Occidente e Cina. Se un qualche genere di accordo tra i leader occidentali e Vladimir Putin è tuttora possibile, allora un successivo accordo con Xi Jinping ne sarebbe la logica continuazione. Beninteso, il contratto fra Cina e Occidente richiederebbe a entrambe le parti un apporto notevole di tempo, energia e flessibilità politica, ma i suoi effetti cambierebbero il mondo, compreso il rimodulamento dell’ordine mondiale con profonde modifiche nel sistema delle Nazioni Unite, con la modernizzazione delle norme ormai antiquate del diritto internazionale pubblico  con la riorganizzazione di FMI, WTO e di altre istituzioni multilaterali.

Se ipotizziamo che nel prossimo futuro il conflitto in Ucraina non termini con nessun tipo di accordo e prosegua secondo l’ormai noto algoritmo “escalation – logoramento dei contendenti – precario armistizio – accumulazione delle forze – nuova escalation”, allora esso potrebbe certamente diventare un catalizzatore per il crollo finale dell’attuale sistema internazionale. Le inefficaci istituzioni internazionali globali e regionali perderebbero del tutto il proprio ruolo sulla scena mondiale e vi sarebbe un’improvvisa accelerazione della corsa agli armamenti, con una reazione a catena nella diffusione delle armi nucleari e nello scoppio di conflitti regionali, mentre il terrorismo internazionale rifiorirebbe. Tali cambiamenti porterebbero nei prossimi anni a un’instabilità generale e persino al caos, e solo dopo molto tempo da tale caos e da tale instabilità inizierebbero a spuntare i germogli di una nuova struttura del mondo.

Valutare le probabilità di ciascuno dei tre scenari è estremamente difficile, perché ci sono troppe variabili che possono influire sulla dinamica di un confronto militare. Si può però almeno parlare dell’opzione preferibile. Com’è facile immaginare, dal punto di vista delle prospettive dell’ordine mondiale futuro questa opzione è il raggiungimento di un compromesso politico-diplomatico saldo anche se non definitivo, grazie al quale ognuna delle parti in causa possa dichiarare la propria “vittoria”. Gli altri eventuali scenari bloccherebbero a lungo i cambiamenti assolutamente necessari nella politica mondiale oppure porterebbero a svolte molto brusche e per le quali non vi è stata preparazione: in entrambi i casi i rischi politici per l’intera umanità si moltiplicherebbero in maniera esponenziale. Se l’esito della crisi attuale sarà un passaggio graduale, relativamente ordinato e magari non violento a un ordine mondiale più stabile, allora vorrà dire che le vittime di questa tragica contrapposizione non saranno morte invano.

Redazione Strumenti Politici
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