Sempre meno armi europee all’Ucraina: i governi sono incerti e i cittadini stufi
Si discuterà a lungo sui motivi per cui i principali donatori europei di armi abbiano evitato nuovi impegni bilaterali con l’Ucraina nel mese di luglio. Prima di trarre delle conclusioni bisognerà vedere i risultati di agosto, ma per adesso i numeri sono impietosi e testimoniano la volontà europea di limitare gli invii di materiale bellico. Tra scomuniche e minacce alla Russia, a cominciare da aprile Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Polonia avevano innalzato il livello di scontro verbale, ma parallelamente hanno diminuito un po’ alla volta il volume delle forniture, lasciando che il grosso del lavoro venisse fatto da Washington. È quanto comunicato dal Kiel Institute for the World Economy (IfW), centro di ricerche e analisi di economia internazionale e think tank fra i più prestigiosi del Continente. L’istituto, che ha appunto sede a Kiel, in Germania, ha creato un database degli aiuti militari, finanziari e umanitari concessi all’Ucraina, con il quale è stato possibile evidenziare un punto molto curioso: la forte diminuzione degli aiuti bellici corrisponde al momento in cui Kiev sta approntando una controffensiva di grosse dimensioni. Christoph Trebesch, il responsabile del suddetto database (chiamato Ukraine Support Tracker), ha dichiarato che il volume di aiuti promesso ad agosto è “misero” rispetto a quanto mandato nei mesi precedenti. Trebesch si riferisce al miliardo e mezzo di euro raccolti nella conferenza di Copenhagen dell’11 agosto da ventisei Paesi occidentali e destinati a produrre armamenti (proiettili e artiglieria compresi) e a rafforzare l’addestramento dei soldati ucraini. Secondo l’analista tedesco è comunque troppo poco, specialmente se confrontato ai denari emergenziali che la UE ha immesso per contrastare la pandemia o la crisi dell’eurozona: la somma per Kiev è minima, sorprendentemente poco considerando la posta in gioco, afferma Trebesch.
A questo proposito è stato criticato proprio il governo tedesco, sia internamente dall’opposizione e dagli stessi politici della maggioranza sia all’esterno, per esempio da Varsavia: l’accusa al cancelliere Olaf Scholz è di procedere con eccessiva lentezza all’implementazione del sistema grazie al quale i Paesi vicini possono mandare all’Ucraina i loro vecchi carri armati di fabbricazione sovietica ricevendone in cambio dalla Germania di nuovi. Berlino però si difende dicendo che sta regolarmente autorizzando gli invii di armamenti. Anche Artis Pabriks, ministro della Difesa della Lettonia, ha sollecitato la Germania – e pure la Francia – a fare di più. Se vogliamo che la guerra finisca al più presto, esse devono chiedersi se stanno facendo abbastanza, ha dichiarato Pabriks, invitandole a dare all’Ucraina in proporzione a quanto forniscono altri Paesi come la Polonia, la Cechia e la Slovacchia. Tuttavia, proprio in Slovacchia metà della popolazione non vuole più sentir parlare di forniture di armi all’Ucraina. Un terzo degli slovacchi propende politicamente più verso la Russia che non verso gli Stati Uniti, e oggi il volume di armamenti forniti a Zelensky li ha spaventati, convincendoli che Bratislava abbia di fatto dichiarato guerra a Mosca. Qualunque dubbio verso la narrazione atlantista viene bollato come effetto della “propaganda russa”, ma una prossima riduzione degli aiuti potrebbe dipendere non dall’umore dei cittadini, alle prese con la crisi economica e quindi non più disposti a pagare per difendere Kiev, ma dal risultato dell’attuale crisi nella coalizione di governo.
Il ministro della Difesa della Danimarca, Morten Bødskov, padrone di casa della succitata conferenza, ha spiegato che il miliardo e mezzo promesso a Kiev potrebbe diventare più cospicuo dopo che alcuni governi avranno chiesto uno sforzo ulteriore ai rispettivi parlamenti. La Danimarca ha dichiarato che darà all’Ucraina altri 820 milioni di corone (più di 110 milioni di euro), definiti dalla premier Mette Frederiksen come una “donazione ingente”. Ma il ministro Bødskov precisa che i soldi da soli non avranno effetto, c’è bisogno invece di aumentare la produzione. Dello stesso parere è Daniel Fiott, analista militare della Vrije Universiteit di Bruxelles, che spera che i fabbricanti di armi riescano a star dietro alla domanda, perché le promesse di aiuto dei politici non servono a nulla fintanto che i mezzi militari non arrivano sul campo di battaglia. Fiott si augura che i governi non rallentino le consegne del materiale bellico che verrà via via prodotto. Ma nel caso dell’Italia si tratta semplicemente dell’impossibilità pratica a continuare con gli aiuti. Il vicepresidente di Forza Italia nonché del Partito Popolare Europeo Antonio Tajani, che si era già espresso con molta prudenza su quali dovessero essere gli armamenti italiani concessi all’Ucraina, pochi giorni fa ha ammesso che il nostro Paese non ha più armi da mandare: non siamo nella condizione materiale di poterlo fare. Dunque non possiamo più aiutare, nemmeno volendo – e sulla volontà politica in vista delle elezioni del 25 settembre si dovrebbe aprire un capitolo a parte – e Zelensky farebbe meglio a dimenticarsi il periodo di Draghi.
Infine, è lo stesso ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba a suggerire implicitamente una spiegazione politica alla forte riduzione delle promesse di aiuto. In una recente intervista, dopo aver ammesso il doppiogiochismo di Erdoğan (che invia droni all’Ucraina ma fa anche ottimi affari con la Russia, secondo una politica aderente alle antiche tradizioni dell’Impero Ottomano), da un lato afferma senza indugio che la guerra si concluderà quando l’Ucraina avrà vinto, dall’altro dichiara che nessun governo al mondo può prevederne la data esatta. Anzi, esprimendo il suo senso di delusione verso certi partner occidentali, dice che nelle interviste all’estero e nei colloqui con alcuni Ministri degli Esteri gli viene spesso rivolta la domanda: Quanto resisterete ancora?. Secondo lui, questo dubbio tradisce il vero desiderio degli occidentali, cioè che l’Ucraina collassi presto e che così il “problema” da essa costituito finisca per risolversi da solo.
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