Sanzioni economiche a Israele e ai suoi sostenitori? Una possibile risposta collettiva dei Paesi arabi per salvare i civili di Gaza

Sanzioni economiche a Israele e ai suoi sostenitori? Una possibile risposta collettiva dei Paesi arabi per salvare i civili di Gaza

31 Ottobre 2023 0

Sulla tragedia in corso a Gaza, l’Unione Europea si sta mostrando inerte e gli Stati Uniti apertamente schierati con Israele. E nemmeno i Paesi arabi si stanno comportando in maniera univoca per salvare i palestinesi, con alcuni Stati favorevoli ad Hamas e ad altri talmente equidistanti da risultati neutrali. Su questo sfondo, però, in Occidente e nel mondo musulmano l’opinione pubblica sta agendo con manifestazioni di piazza e appelli pubblici affinché i governi facciano pressione su Gerusalemme. Uno dei modi ritenuti preferibili è quello delle sanzioni economiche e commerciali, che potrebbero essere imposte a Israele per convincerlo a smettere di soffocare Gaza e a modificare i suoi piani di occupazione.

Manifestazioni per la pace e per le sanzioni contro Israele

La scorsa settimana si sono svolte in vari Paesi del mondo manifestazioni per chiedere la fine dell’assedio alla striscia di Gaza. Per esempio a Belfast, in Irlanda del Nord, si sono tenuti i raduni di almeno cinque gruppi diversi a favore dei palestinesi. Secondo gli organizzatori, viene passato sotto silenzio dai media occidentali il tentativo di genocidio attuato da Tel Aviv. I nordirlandesi chiedono anche l’imposizione di sanzioni contro Israele.

La stessa richiesta è arrivata dai manifestanti del Montenegro, dove nella capitale Podgorica i cittadini hanno sventolato sotto le sedi degli uffici locali dell’ONU la bandiera della Palestina. Vi sono stati cortei anche e soprattutto nella vicina Bosnia-Erzegovina, dove la metà degli abitanti è di fede musulmana e la cui capitale Sarajevo ha vissuto negli anni ’90 un assedio durato 1400 giorni. Dai bosniaci è arrivato l’invito alla pace rivolto alle due parti in causa e la condanna di ogni forma di violenza e di terrorismo. Il presidente della comunità palestinese locale Majed Maarouf ha precisato che non si è trattato di una manifestazione diretta contro Israele, ma che aveva come aspirazione la pace in Medio Oriente.

Al Mezan e da BDS denunciano l’ipocrisia occidentale

Su Bruxelles invece giungono critiche ed esortazioni, rivolte anzitutto dall’organizzazione non governativa Al Mezan Center for Human Rights, la quale è sostenuta da diversi donatori fra cui enti olandesi, svizzeri svedesi. Al Mezan chiede alla presidente della Commissione Ursula von Der Leyen e alla presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola di denunciare la repressione violenta e indiscriminata scatenata da Israele contro i civili a Gaza. O che almeno su insista affinché Gerusalemme permetta il transito dei convogli umanitari diretti ai palestinesi. Si afferma inoltre che sui crimini israeliani pesa il silenzio assordante dei vertici europei e il loro discreto incoraggiamento all’opera genocida di Tel Aviv.

L’appello di Al Mezan è stato siglato anche dal movimento BDS (Boycotts, Divestment, Sanction), che sensibilizza l’opinione pubblica sul tema dei legami fra il mondo degli affari occidentale e l’occupazione della Palestina. BDS è un movimento non violento che si avvale dei social ad esempio per indicare quali multinazionali supportano in un modo o nell’altro le Forze armate o l’economia israeliana. Lo scopo di tale campagna è indebolire il tacito consenso occidentale, chiedendo di imporre sanzioni su Israele e di boicottare determinati marchi, da McDonald’s a Starbucks.

Le critiche verso il doppiopesismo della UE

L’atteggiamento tenuto dall’Unione Europea è finito sotto accusa per il doppiopesismo e la scelta accurata dei soggetti da sostenere o da ignorare a seconda dei casi. Hassan Albalawi, vice capodelegazione palestinese a Bruxelles, ha esortato l’Europa a mettere in campo il suo peso politico per cercare una soluzione diplomatica al conflitto. Secondo lui, la UE potrebbe imporre sanzioni al commercio con Israele e soprattutto coi coloni israeliani che occupano le terre altrui. Afferma che l’esempio dell’Ucraina ha dimostrato che l’Europa, quando vuole, può agire come un unico blocco.

Albalawi specifica però di non volere chiedere armi per i palestinesi – come fatto da Zelensky per l’esercito di Kiev – ma soltanto una pressione internazionale su Gerusalemme. La UE considera Hamas come un’organizzazione terroristica: Albalawi ha detto che rifiuterà di condannare gli attacchi del 7 ottobre fino a che non vi sarà uno Stato palestinese indipendente e sovrano, precisando comunque che per lui ogni vita umana è importante e deve essere salvata, che sia palestinese o israeliana.

Le proposte malaysiane per una risposta collettiva

L’11 ottobre si è mosso il Mapim, il Consiglio malaysiano delle organizzazioni islamiche, che ha esortato tutti i Paesi musulmani a imporre un embargo totale su Tel Aviv per indurla a togliere il blocco da Gaza. Il presidente Mohd Azmi Abdul Hamid ha elencato sei proposte per una risposta collettiva delle nazioni musulmane a quanto sta accadendo.

La reazione israeliana agli attacchi di Hamas, dice, si è trasformata in una punizione generalizzata e indiscriminata contro i civili di Gaza, che è già precipitata a un livello di catastrofe umanitaria. Per fermare la tragedia suggerisce di rompere i rapporti commerciali e le relazioni diplomatiche con Gerusalemme, per isolarla e fare la maggiore pressione internazionale possibile. Poi afferma che occorre unire le forze con quella parte della società civile americana contraria alla linea politica di Washington, tesa completamente all’appoggio incondizionato verso Israele.

Secondo Hamid, i Paesi musulmani dovrebbero agire anche sul piano legale contro Israele, denunciandolo per crimini contro l’umanità.

L’appello dell’Iran

Pure Teheran chiede sanzioni contro Gerusalemme, in particolare sotto forma di embargo petrolifero. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ha rincarato la dose durante un incontro col segretario generale dell’OIC (Organizzazione della Cooperazione Islamica), che rappresenta 57 Stati del mondo e ha una delegazione permanente presso le Nazioni Unite.

Il ministro ha invocato l’espulsione degli ambasciatori israeliani dai Paesi membri dell’OIC. Inoltre ha proposto la creazione di una squadra di legali islamici che compilino un dossier con le prove dei crimini di guerra commessi da Tel Aviv. Il segretario dell’OIC ha detto che la sua organizzazione dovrebbe prendere una posizione comune per fermare la strage di civili provocata dalle azioni israeliane.

Tuttavia, gli appelli e gli sforzi dell’Iran sono inficiati dal fatto di essere esso stesso sotto sanzioni internazionali e di essere pericolosamente vicino ad Hamas e ad Hezbollah. Il sostegno finanziario e logistico che concede loro allontana Teheran da altri Paesi arabi che tengono una posizione più equilibrata o pragmatica. Dunque Teheran difficilmente può aspirare a un ruolo di leader capace ridisegnare i rapporti e la sicurezza nella regione, o almeno a quello di mediatore in questa delicata situazione.

Il ruolo della Turchia

A differenza dell’Iran, la Turchia ha maggiori chance di ergersi a Paese guida della riorganizzazione politica del Medio Oriente. Se Ankara si proponesse come mediatrice, potrebbe occupare il vuoto di diplomazia lasciato dall’Unione Europea, che si è defilata restando però nel campo israeliano, e ovviamente dagli USA, non più poliziotti universali ma sostenitori sfacciati di una sola parte in causa. In un possibile ruolo di intermediario Recep Erdoğan non verrebbe nemmeno ostacolato dalla Cina o dalla Russia, quest’ultima interessata affinché si raggiunga presto un cessate-il-fuoco.

Erdoğan ha sempre dimostrato simpatie verso la Palestina e in un certo senso pure verso Hamas, che ha dichiarato non essere un’organizzazione terroristica. Al tempo stesso ha cercato di ristabilire dei buoni rapporti con Israele, a cui oggi chiede di non proseguire l’avanzata su Gaza. Per fermare Tel Aviv, la Turchia esorta Egitto, Arabia Saudita ed Emirati a esercitare pressione, visto che finora hanno fatto ben poco. Dal canto suo, Ankara intanto ha sospeso i progetti energetici che stava sviluppando nel Mediterraneo insieme alle compagnie israeliane e non farà passare tramite Israele il suo gas destinato all’Europa.

Forse le sanzioni dei Paesi musulmani potrebbero rivelarsi efficaci, visto che sulla tragedia in corso a Gaza, l’Unione Europea si sta mostrando inerte e gli Stati Uniti apertamente schierati con Israele. E visto che nemmeno i Paesi arabi si stanno comportando in maniera univoca per salvare i palestinesi. In Occidente e nel mondo musulmano, tuttavia, l’opinione pubblica sta agendo con manifestazioni di piazza e appelli pubblici affinché i governi facciano pressione su Gerusalemme.

Redazione Strumenti Politici
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