Per il Financial Times e Banca d’Italia è difficile affrancarsi dal gas russo; senza gravissime conseguenze economiche

Per il Financial Times e Banca d’Italia è difficile affrancarsi dal gas russo; senza gravissime conseguenze economiche

9 Aprile 2022 0

Financial Times e Banca d’Italia scelgono lo stesso giorno per denunciare le gravi difficoltà che dovrebbero affrontare l’UE e l’Italia per affrancarsi dall’importazione del petrolio e del gas russo. Per il noto quotidiano britannico se è vero che all’aumento dell’indignazione per le immagini che arrivano dall’Ucraina, dall’altro lato è necessario essere realisti. Le conseguenze economiche che subirebbe il Vecchio continente sarebbero estremamente gravi e richiederebbero dei tagli ai consumi industriali di energia tali da mettere in ginocchio l’intero tessuto produttivo europeo.

L’UE importa infatti circa il 30% del suo petrolio e il 40% del suo gas. Gazprom, secondo uno studio Wood Mackenzie, l’anno scorso ha prodotto 540 miliardi di metri cubi, più di BP, Shell, Chevron, ExxonMobil e Saudi Aramco messi insieme, di questi 331 miliardi di metri cubi sono stati consumati in Russia e 168 miliardi sono stati convogliati in Europa. Giles Farrer, capo della ricerca sul gas per Mackenzie, ha affermato che sostituirlo è “impossibile” poiché “Non c’è nient’altro là fuori” visto che la maggior parte dei progetti di gas intorno al il mondo gira già a livelli quasi massimi. Peraltro diversificare gli approvvigionamenti sottintende quasi sempre potenziare o realizzare nuovi gasdotti o nuovi impianti di liquefazione. Una strada non solo impervia perchè prevede un investimento iniziale altamente oneroso ma anche con tempi di attuazione medio lunghi. Si parla di anni.

Lo studio di Mackenzie spiega come ad esempio il secondo produttore di gas al mondo, la compagnia petrolifera nazionale iraniana, abbia prodotto 291 miliardi di metri cubi nel 2021. Ma 280 miliardi di questi sono già consumati in Iran. Anche laddove si allentassero le sanzioni ci vorrebbero anni per realizzare le strutture adatte ad un aumento delle esportazioni. Oltre alla Russia, gli unici fornitori di gasdotti verso l’Europa sono la Norvegia, Azerbaigian, Libia e Algeria, dove Sonatrach, di proprietà statale, ha inviato l’anno scorso 34 miliardi di metri cubi tramite gasdotti in Spagna e Italia. L’Algeria potrebbe aumentare quella fornitura se potesse risolvere un litigio diplomatico con il Marocco che da novembre ha bloccato una delle sue rotte verso la Spagna. Ma anche in questo caso sarebbe necessario potenziare le infrastrutture. L’Oxford Institute for Energy Studies stima che la Norvegia potrebbe aumentare esporta fino a 5 miliardi di metri cubi e l’Azerbaigian fino a 3 miliardi di metri cubi. L’unico produttore che potrebbe implementare le esportazioni verso l’Europa rapidamente sono gli Stati Uniti, le metaniere potrebbero arrivare facilmente in Europa ma resterebbe la questione dei gassificatori che oggi sono del tutto insufficienti per trattare grandi aumenti di GLN.

Anche Banca d’Italia vede nero e, in parte si smarca dalle dichiarazioni fin troppo ottimistiche degli esponenti di governo italiano. Il Def, anche in caso si avveri lo scenario peggiore di interruzione totale del gas russo senza che si riesca a sostituirlo con quello di altri produttori, prevede un mini progresso del Pil, un +0,6% contro il 3,1% che è il nuovo scenario base governativo. Banca d’Italia invece prevede in quel caso l’entrata per l’Italia in una nuova fase di recessione, con due anni di prodotto in diminuzione dello 0,5%. Lee note negative però non si fermerebbero lì, l’inflazione schizzerebbe all’8%. Lo scenario più severo visualizzato da Banca d’Italia prende in considerazione un quadro in cui il conflitto Russia-Ucraina oltre a prolungarsi si aggravi con una minore disponibilità di gas per l’Italia “a seguito di un arresto delle forniture dalla Russia della durata di un anno a partire da maggio“. La sospensione, in parte compensata mediante il ricorso ad altri fornitori – si legge in una nota di Bankitalia – si tradurrebbe in una riduzione di circa il 10% della produzione del settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata. Questo causerebbe strozzature per le attività manifatturiere ad alta intensità energetica e ne conseguirebbe una riduzione dell’occupazione e dei redditi.

I prezzi del gas naturale schizzerebbero a livelli superiori a quelli dell’inizio di gennaio di 130 punti nel 2022 e di circa 90 nel 2023, mentre il rialzo dei prezzi del petrolio sarebbe di circa 40 e 30 punti. Ciò farebbe calare il pil “di quasi mezzo punto percentuale sia quest’anno sia il prossimo”. Rispetto a quanto ipotizzava il Bollettino economico dello scorso gennaio, il prodotto risulterebbe ridimensionato per più di 7 punti percentuali nel biennio 2022-23. Ma “nell’attuale contesto di fortissima incertezza non si possono escludere scenari ancora più sfavorevoli“, precisa Bankitalia.

Il ministro dell’Economia Daniele Franco nella premessa al Def è chiaro: “Alla luce delle tante incognite dell’attuale situazione, la previsione tendenziale è caratterizzata da notevoli rischi al ribasso“. Ecco quindi la richiesta che arriva oggi dal presidente di Forza Italia Antonio Tajani, direttamente dall’Assemblea Nazionale del partito, di un nuovo PNRR o piano Marshall per il rilancio dell’economia europea e per la ricostruzione dell’Ucraina.

Marco Fontana
marco.fontana

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