Mentre l’Europa cerca fonti alternative, la produzione petrolifera libica cala drammaticamente

Mentre l’Europa cerca fonti alternative, la produzione petrolifera libica cala drammaticamente

20 Giugno 2022 0

La Libia detiene le maggiori riserve di greggio dell’Africa, ma undici anni di conflitto nel paese, dal rovesciamento del colonnello Muammar Gheddafi nel 2011, hanno ostacolato la produzione e le esportazioni. La cattiva manutenzione degli impianti e le tensioni politiche, sociali e militari, hanno fatto sì che la Libia non possa approfittare dell’emergenza energetica globale. Il ministro del Petrolio e del gas nel governo di unità nazionale, Mohamed Aoun, ha affermato oggi che la produzione di petrolio della Libia ammonta a circa 700.000 barili al giorno. In una breve dichiarazione a Reuters, Aoun non ha fornito dettagli su quando e come il livello di produzione sia aumentato dopo il drammatico calo dei giorni scorsi. La produzione di petrolio greggio nel Paese nordafricano era scesa, la scorsa settimana, a meno di 200.000 barili al giorno a causa della continua chiusura di porti e strutture. In una dichiarazione di domenica scorsa il Ministero di Tripoli aveva affermato che la chiusura ha colpito quasi tutti i giacimenti petroliferi e i porti della Libia. “Ci sono solo pochi campi rimasti operativi e la loro produzione si aggira tra i 100.000 e 200.000 barili al giorno”, aveva aggiunto. Dal 17 aprile, alcune componenti sociali hanno chiuso gran parte degli impianti petroliferi libici nella Libia meridionale e centrale per fare pressione sul primo ministro Abdul Hamid Dabeibah affinché cedesse il potere al governo di Fathi Bashagha, nominato dal Parlamento.  Fonti locali hanno confermato a Strumenti Politici che alcuni Twareg, affiliati ad Haftar, avevano chiuso il campo di El-Sharara e che l’azione era sostenuta dal comando generale delle forze armate arabe libiche. Prima di quest’ultima chiusura, la Libia produceva circa 1,2 milioni di barili di greggio al giorno. Stiamo parlando di una diminuzione di circa l’85%.  Il Ministero del Petrolio e del Gas libico aveva esortato tutti gli attori politici ad aprire giacimenti petroliferi e porti per porre fine alle sofferenze della popolazione e salvare il paese dalla bancarotta e dall’indebitamento con la Banca Mondiale. Il calo della produzione libica pone ulteriore pressione su un mercato globale che ha già visto quest’anno un balzo del 50 per cento del prezzo di un barile di greggio Brent, fino a quasi 120 dollari. Arriva anche in un momento in cui l’Europa è alla disperata ricerca di alternative all’energia russa da fonti in Africa e nel Mediterraneo, nel cercare di diminuire la sua dipendenza da Mosca, soprattutto dopo la parziale interruzione del flusso di gas del Nord Stream 1 verso la Germania di circa il 40%. Il blocco degli impianti petroliferi è guidato da una rivalità politica tra due premier. Il primo ministro con sede a Tripoli, Abdelhamid Dabeibah, ha rifiutato di cedere il potere a Fathi Bashagha, nominato primo ministro lo scorso marzo dal parlamento con sede nell’est, la Camera dei Rappresentanti (HoR). Ad aprile, gruppi di manifestanti hanno chiuso due importanti giacimenti petroliferi, dimezzando la produzione del paese nordafricano. Le continue chiusure sono apparentemente opera di manifestanti locali che chiedono che Dabeibah ceda il potere a Bashagha. Si ricorderà che una dichiarazione video dei manifestanti al terminal petrolifero di Zueitina chiedeva sia la cacciata di Dabeibah che il licenziamento di Mustafa Sanallah, presidente della National Oil Corporation (NOC), accusato di inviare le entrate del settore Oil & Gas al premier di Tripoli. Tutto ciò è stato accompagnato da tensioni di sicurezza nella capitale, dove in più occasioni si è riaccesa la violenza tra milizie rivali. Gli osservatori della scena libica sono preoccupati che se Dabeibah non cederà il potere all’esecutivo designato dall’HoR che ha approvato il budget proposto da Bashagha mercoledì scorso, la situazione potrebbe degenerare, soprattutto dato che i sostenitori di Bashagha considerano scaduto l’esecutivo di Unità Nazionale dopo il 20 giugno, secondo la road map del Libyan Political Dialogue Forum (LPDF) che prevedeva elezioni nazionali e parlamentari lo scorso 24 dicembre. L’HoR ha approvato in una sessione nella città di Sirte, una previsione di spesa di circa 89,6 miliardi di dinari, un passaggio considerato dagli osservatori come una porta di ritorno della divisione tra Est e Ovest per la possibilità che il governatore della Banca Centrale della Libia si rifiuti di adottare il nuovo bilancio.

Le truppe turche 

Come il desiderio dei libici di andare al voto il 24 dicembre è rimasto inascoltato, così è stato per la richiesta di ritiro di truppe, forze e mercenari stranieri dal loro territorio. Sia Wagner che l’esercito turco continuano a permanere in Libia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, la scorsa settimana ha inviato al parlamento la mozione di estensione del dispiegamento di truppe in Libia per altri 18 mesi. Come in passato, la decisione del numero di truppe da inviare, quando o dove, resta a discrezione del presidente. È stato inoltre sottolineato che la Turchia continua a fornire formazione e consulenza nell’ambito di un memorandum d’intesa (MoU) tra Turchia e Libia sulla sicurezza globale e la cooperazione militare firmato nel 2019. La mozione spiega che non è ancora possibile raggiungere un cessate il fuoco permanente in Libia o concludere il processo di dialogo politico. Sottolineando che i rischi e le minacce per l’intera regione, compresa la Turchia, persistono in Libia, Erdogan ha assicurato che se gli attacchi contro il governo legittimo riprendessero, gli interessi della Turchia sia nel Mediterraneo che in Nord Africa sarebbero pregiudicati. Non è un segreto che oltre a sostenere il governo internazionalmente riconosciuto, Erdogan ha ripetutamente affermato che le risorse petrolifere libiche erano fattori importanti nell’interesse della Turchia in Libia. Ankara è stata frequentemente al centro delle polemiche internazionali per aver commesso evidenti violazioni dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite verso la Libia. Inoltre, la Turchia non consente alla missione congiunta dell’Unione Europea, Eunavformed Irini, di ispezionare alcune sue navi sospette. Ankara ha finora rifiutato oltre sette richieste di ispezione della missione Irini. 

L’evoluzione dell’ospedale da campo italiano a Misurata

L’Italia mantiene la sua presenza militare in Libia con una “missione che si è evoluta” negli anni, sulla base delle “necessità proposte dal governo di Tripoli”, ha affermato il generale Francesco Paolo Figliuolo durante la sua recente visita in Libia. Figliuolo è stato a Misurata giovedì scorso dove ha incontrato i soldati italiani della Missione Ippocrate. Formalmente, lo scopo di questa task force era di schierare un ospedale da campo dove curare i militari libici impegnati nella lotta contro Daesh. Secondo Figliuolo, però, la missione si è evoluta perché la minaccia terroristica non è più immanente e forte come lo era nei mesi e negli anni passati. “Oggi la nostra missione si è evoluta”, ha detto Figliuolo rivolgendosi ai militari italiani a Misurata.  La Task Force Ippocrate è stata recentemente confermata con circa 200 militari, mantenendo sul campo un proprio assetto sanitario, per fornire assistenza al personale militare italiano che continuerà a operare in Libia, oltre a Mobile Training Team (Mtt) di formatori e addestratori anche in ambito sanitario. Nelle scorse settimane, in seguito ad accordi tra le autorità italiane e libiche, la Difesa italiana ha disposto il rientro di un’aliquota di personale medico-sanitario, mezzi e materiali dislocati a Misurata, con la conseguente riconfigurazione della presenza sanitaria militare italiana dal livello Role2 a Role1, operazione coordinata e condotta dal Comando operativo di vertice interforze (Covi). “A Misurata c’è un presidio medico Role1-Plus, quindi siamo ancora in grado di fornire supporto non solo al nostro personale, ma anche alla popolazione locale, fornendo telemedicina, fisioterapia e visite specialistiche, con possibilità di trasferimento, se necessario, bambini e adulti presso gli ospedali più accreditati in Italia e, tra questi, il nostro Policlinico Militare Celio”, ha aggiunto. Anche grazie al contributo fornito, il sistema sanitario di Misurata ha raggiunto standard di efficienza e di organizzazione tali da poter proseguire autonomamente le proprie attività a favore della popolazione locale, per cui la missione del field hospital italiano può dirsi conclusa. “L’Italia rimarrà a Misurata e continuerà, nel solco di amicizia e cooperazione che ha sempre contraddistinto la Miasit negli anni, a incrementare le capacità delle Istituzioni locali, in armonia con le linee di intervento decise dalle Nazioni Unite, mediante supporto tecnico e umanitario, security force assistance e stability policing, agevolando attività di formazione e addestramento sia in Italia sia in Libia”, si legge in una nota dello Stato maggiore della Difesa dello scorso primo giugno.

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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