L’opinione di Bandow: gli USA non hanno particolari obblighi verso l’Ucraina, non rischino di diventare parte belligerante
La funzione dei presidenti USA è di servire gli interessi dello Stato e del popolo americano, non di fare i poliziotti del mondo. Partendo dall’esempio storico della crisi di Cuba del 1962 e dal testo del Memorandum di Budapest, bisogna concludere che oggi l’America rischia inutilmente e insensatamente di entrare in guerra contro la Russia. È questa l’analisi di Doug Bandow, autore di testi politici, ex assistente speciale di Ronald Reagan e studioso del Cato Institute,think tank statunitense con sede a Washington
USA poliziotti del mondo
Il conflitto russo-ucraino prosegue con Mosca che fa qualche limitata conquista territoriale e che lancia grossi attacchi con droni e artiglieria. Si è arenato il tentativo di Trump di mediare in un conflitto in cui gli USA sono di fatto una controparte, e nessuna delle parti è disposta a fare concessioni tali da fermare le ostilità. A soffrire di più sono gli ucraini perché il loro Paese è il campo principale degli scontri. Un gran numero di soldati russi è deceduto, mentre le difficoltà sociali ed economiche derivanti dall’aggressione di Mosca si estendono su tutta l’Europa e anche oltre. L’unica buona notizia è che Washington non è ancora ufficialmente un belligerante. Tuttavia la tentazione di fare i poliziotti del mondo e di punire i cattivi rimane forte, sembrerebbe persino fra gli economisti fautori del libero mercato.
L’intervento di Brown
Il Liberty Fund, una tempo fondazione liberalista conosciuta per ospitare piccole conferenze accademiche e pubblicare testi classici dell’economia, ha recentemente tenuto un forum dedicato allo scomparso vicepresidente esecutivo del Cato Institute David Boaz. In un saggio molto particolare l’economista Tarnell S. Brown ha adottato questo approccio: “Mi piace, dunque sarà stato d’accordo con me”. Brown, mai troppo timido nello sfidare i propri colleghi, ha continuato criticando la posizione del Cato Institute sull’Ucraina, dalla quale – a quanto ne so – non aveva mai dissentito. E allora qual era il problema?
Brown si è lamentato che io mi fossi addirittura spinto a minimizzare gli obblighi di sicurezza dell’America a norma del Memorandum di Budapest di cui è firmataria. Ritiene infatti che se una qualsiasi delle parti avesse avanzato le proprie pretese nel 2014, non si sarebbe oggi a questo punto, e che se non avesse rinunciato alle ambizioni nucleari in cambio di quelle – di fatto inefficaci – garanzie, un’invasione sarebbe stata molto più improbabile. Brown non è il primo a mettere in dubbio la decisione di Kiev di rinunciare alle armi nucleari lasciate dal dissolvimento dell’Unione Sovietica (ma per le quali non disponeva dei codici di lancio). E così ha fatto Zelensky, che comunque vorrebbe ottenere le armi nucleari, così come John Mearsheimer, famoso per descrivere in dettaglio la sfida incauta degli alleati occidentali agli interessi di sicurezza esplicitati da Mosca.
Il memorandum di Budapest
Anch’io ho contestato il disarmo forzato, citando questa esperienza come ragione per la quale la Nord Corea di Kim Jong-un non abbandonerà mai il proprio arsenale. I funzionari ucraini però, cedendo alle pesanti pressioni internazionali, comprese quelle degli USA, hanno consegnato gli armamenti nucleari. Lo hanno fatto in circostanze simili pure Bielorussia e Kazakistan. All’epoca, nel corso della caotica presidenza di Boris Eltsin, pochi immaginavano una Russia che minacciasse i suoi vicini. L’Ucraina cercò disperatamente il sostegno economico e politico dell’Occidente e nel dicembre del 1994 firmò il Memorandum di Budapest cedendo il proprio arsenale nucleare a Mosca.
La politica iniziale di Putin era di accontentare l’America. Fu il primo leader straniero a chiamare George W. Bush offrendogli supporto dopo l’11 settembre. Sfortunatamente i politici europei e americani hanno fatto del loro meglio per trasformarlo in un nemico. Le varie amministrazioni statunitensi hanno contraddetto le loro molteplici rassicurazioni a Mosca che la NATO non si sarebbe mossa verso i confini della Federazione Russa. Ha ammesso William Perry, segretario alla Difesa sotto la presidenza Clinton: La prima azione ad averci veramente instradato sulla via sbagliata è stata quando la NATO ha cominciato ad allargarsi, inglobando gli Stati dell’Europa Orientale, alcuni dei quali confinanti con la Russia. E per questo, aggiunge, gli USA hanno una buona parte di colpa.
La risposta di Putin
L’amministrazione Clinton decise semplicemente che Mosca aveva perso la Guerra Fredda e che doveva pagarne le conseguenze. Ed ecco che ahimè Putin ha risposto, lasciandosi alle spalle le cortesie del dopo-9/11. Nel suo discorso alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza del 2007 disse: Penso sia ovvio che l’espansione della NATO (…) rappresenti una grave provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca. E noi abbiamo il diritto di chiedere: contro chi è intesa tale espansione? E cosa è accaduto alle rassicurazioni che i nostri partner occidentali hanno fatto dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia?
L’anno dopo William Burns, all’epoca ambasciatore statunitense a Mosca (in seguito direttore della CIA sotto l’amministrazione Biden), informò l’amministrazione Bush che l’adesione ucraina alla NATO è la più grossa delle linee rosse per i vertici russi (non solo Putin). In più di due anni e mezzo di conversazioni con i principali soggetti russi (…) devo ancora trovarne qualcuno che veda l’Ucraina nella NATO in un altro modo che non sia una sfida diretta agli interessi russi. In quello stesso anno Fiona Hill, allora funzionaria dell’intelligence che ha poi servito nello staff del National Security Council di Trump, avvertì che includere Georgia e Ucraina nell’Alleanza rappresentava una mossa provocatoria che poteva forse causare un’azione militare preventiva della Russia.
Ucraina e Georgia, Canada e Messico
Dopo l’attacco russo, nell’aprile del 2022 il giornalista di Yahoo News Zach Dorfman riferì che un ex funzionario CIA gli aveva rivelato quanto segue: Eravamo convinti al 100% che se avessimo seriamente preso misure per far aderire alla NATO uno di quei due Paesi, i russi avrebbero trovato dei motivi per dichiarare guerra nel periodo che sarebbe intercorso fra il nostro annuncio di adesione e il momento in cui quegli Stati sarebbero effettivamente divenuti membri. Prosegue Dorfman: Verso la fine della scorsa estate, i membri dell’intelligence erano tutti portati a ritenere che la Russia fosse stata provocata a sufficienza riguardo all’Ucraina e che ormai qualsiasi pretesto avrebbe potuto scatenare un attacco di Mosca. Nonostante tutto ciò, Brown prende in scarsa considerazione le preoccupazioni di Putin in merito alla sicurezza.
Ciò che conta, comunque, è quello che i russi sentivano, non quello che gli americani pensavano che avrebbero dovuto sentire. Immaginate come avrebbero reagito i politici americani se l’URSS o la Cina avessero promosso una rivoluzione di piazza contro un governo democraticamente eletto in Canada o in Messico – parliamo ovviamente di un’epoca pre-Trump – e avessero armato i nuovi governanti, invitandoli a unirsi al Patto di Varsavia o a un altro equivalente moderno. L’isteria avrebbe avvolto Washington e in tutta la capitale sarebbero risuonate richieste bipartisan per un’azione militare. Nessuno al vertice avrebbe sostenuto il diritto dei vicini degli USA di agire nel modo in cui desideravano.
La marcia dei folli
Ricordiamoci della reazione di John F. Kennedy quando Cuba stava diventando un avamposto militare sovietico. Fortunatamente il mondo evitò un Armageddon nucleare, anche se di poco. Putin e gran parte del Cremlino vedono l’Ucraina allo stesso modo. Non significa che abbiano ragione o che siano giustificati nel fare la guerra, ma i decisori politici di Washington devono confrontarsi col mondo per quello che è, non per come desiderano che sia. Eppure i governanti occidentali si sono imbarcati in una moderna “marcia dei folli” che mette a rischio il mondo intero. Cosa avrebbero dovuto fare un decennio fa gli USA e il Regno Unito dopo che la Russia incorporò la Crimea?
Brown cita il Memorandum di Budapest. Proprio come coi contratti fra privati, si bisognerebbe leggere il testo prima di discuterne il contenuto. Questo documento offre all’Ucraina garanzie minime di sicurezza e gli altri tre firmatari si impegnano solo a rispettare la sovranità di Kiev e che, nel caso un altro avesse attaccato o minacciato l’Ucraina con armi nucleari, hanno promesso di… non fare praticamente nulla. Avrebbero solo “invocato un’azione immediata del Consiglio di Sicurezza dell’ONU allo scopo di fornire assistenza” a Kiev. Basterebbe questo a scatenare risate isteriche. Ma c’è dell’altro, perché tutti e tre i firmatari sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e possono quindi mettere il veto a qualunque iniziativa proposta. Dunque nient’altro che una foglia di fico diplomatica per dare ai politici ucraini copertura politica alla cessione delle armi rimaste.
Gli obblighi degli USA
Evidenziare questo fatto “minimizza” gli obblighi americani soltanto nel senso della descrizione di ciò che Washington si è impegnata a fare. Non vi sono ambiguità, zone d’ombra, ondeggiamenti o spazi di manovra. Brown si lamenta che nessuno dei firmatari abbia “avanzato le sue pretese”. E quali avrebbero dovuto essere? Come si possono “massimizzare” le responsabilità militari degli USA a norma del Memorandum? Non vi è nulla in questo accordo che obblighi o che nemmeno autorizzi qualcuno a fare qualsiasi cosa contro altri, se non presentarsi all’ONU mentre scoppia una guerra nucleare (cosa che per fortuna non è ancora accaduta). Quali erano le alternative? Provate a immaginare a cosa avrebbe dovuto acconsentire Clinton.
Inventarsi un impegno americano che sarebbe servito come deterrenza alla Russia? Inserire cosa chiedere al posto della rinuncia alle armi nucleari? Immaginate di vendere la vostra casa e poi il compratore si presenta da voi pretendendo la vostra auto, la casa di campagna e pure il primogenito, in forza del fatto che “massimizza” i vostri obblighi a norma del contratto di vendita. Magari i firmatari potevano fornire un’assistenza che escludesse l’entrata diretta in guerra. E in effetti è ciò gli USA e i Paesi europei hanno fatto: imposizione di sanzioni a Mosca, gli Accordi di Minsk sfruttati per guadagnare tempo, generosi aiuti militari e hanno di fatto messo la NATO in Ucraina piuttosto che rendere quest’ultima membro dell’Alleanza. Sfortunatamente, fare dell’Ucraina un avamposto militare alleato alla fine ha spinto Putin a trasformare le sue minacce in realtà. L’operazione militare speciale del 2022 è il risultato di tutto ciò.
Chi ha facoltà di dichiarare guerra?
Ciò fa sì che il Memorandum di Budapest sia visto come una dichiarazione mascherata di guerra contro i trasgressori, sebbene nessuno – men che meno l’amministrazione Clinton – lo avesse ipotizzato in questa guisa. Di certo i cittadini americani non sapevano che il loro presidente li stava mettendo sulla strada verso una potenziale guerra nucleare per qualcosa che non era mai stato considerato come un interesse di sicurezza importante. Il Congresso non aveva voce in capitolo nonostante la Costituzione lo pretendesse, perché la procedura tradizionale per stabilire una garanzia di difesa prevede di negoziare un trattato e poi di presentarlo al Senato per la ratifica. Ma non fu così per il Memorandum di Budapest. Pur sussistendo formalmente un trattato, il presidente non aveva l’autorità per intervenire militarmente.
I Padri costituenti avevano consapevolmente rifiutato il modello britannico promiscuo di dichiarazione di guerra fatta dall’esecutivo. Ad esempio, Alexander Hamilton asserì che l’autorità del presidente è “sostanzialmente molto inferiore” a quella del re. George Mason parlò dell’importanza di “fermare le guerra invece di agevolarle”. James Madison insisteva sul fatto che “la dottrina fondamentale della Costituzione dice che la facoltà di dichiarare guerra appartiene pienamente ed esclusivamente al potere legislativo”. James Wilson diceva: Non è nel potere di un singolo uomo o di un singolo gruppo di uomini di coinvolgerci in tali pericoli, poiché l’importante potere di dichiarare guerra risiede nell’organo legislativo. Thomas Jefferson celebrava “l’effettivo controllo sui cani da guerra” grazie al trasferimento del “potere di scatenarli”.
La vera funzione del governo
Certo, l’invasione russa è qualcosa di criminale e di ingiustificato, ma il mondo purtroppo è pieno di violenza, tragedie e orrori. Nonostante ciò, il Presidente degli Stati Uniti non ha il diritto di scandagliare il pianeta alla ricerca di torti da raddrizzare. La responsabilità principale dei governanti americani è di proteggere gli USA, i loro cittadini, il territorio, le libertà civili e la prosperità. Prudenza vuole che Washington non si butti di corsa in battaglia, soprattutto se contro potenze nucleari e per interessi che contano molto di più per esse che per l’America.
Il conflitto russo-ucraino purtroppo continua e diventa più pericoloso man mano che i governi europei tolgono i limiti all’utilizzo delle armi fornite e che queste ultime colpiscono il deterrente strategico russo. Se il governo americano desidera intervenire, la sua decisione non deve basarsi sul massimizzare arbitrariamente gli impegni che Washington ha preso con un trattato come il Memorandum di Budapest. Dovrebbe piuttosto mettere davanti gli interessi degli USA, attenersi alle procedure ufficiali e presentare il caso ai cittadini americani. Proprio come richiede la Costituzione.

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