L’America deve condurre Ucraina e Israele alla de-escalation e al negoziato

L’America deve condurre Ucraina e Israele alla de-escalation e al negoziato

13 Ottobre 2024 0

Più si avvicinano le presidenziali americane più le analisi degli opinionisti angloamericani diventano insolitamente lucide e accomodanti. Nel giro di un anno sono passati dal diritto divino alla vendetta israeliana e dall’intransigenza russofoba fino alla necessità dell’autocontrollo, della moderazione e del compromesso. E soprattutto della prevalenza degli interessi nazionali americani su quelli degli assistiti di oltreoceano, come scrive Christopher Chivvis del Carnegie Endowment’s American Statecraft Program. In questo momento gli USA si trovano in una posizione piuttosto complicata rispetto ai due maggiori “amici” esteri: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Washington ha fornito finora enorme sostegno militare a entrambi, persino quando le loro azioni andavano contro gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti. Ora però serve un approccio più ragionato.

Netanyahu il monello

Durante lo scorso anno Netanyahu si è ripetutamente sottratto ai tentativi americani di de-escalation del conflitto a Gaza. A settembre ha addirittura fatto saltare intenzionalmente gli sforzi diplomatici di tregua. Nei giorni scorsi si è tirato indietro dopo aver acconsentito al cessate-il-fuoco in Libano, mettendo pubblicamente in imbarazzo l’amministrazione Biden. E adesso sta insistendo con l’offensiva di terra contro Hezbollah, che porterà un’altra ondata di distruzione sul Libano. La scorsa settimana più di mille civili sono morti in una serie di attacchi con cui, secondo quanto comunicato dagli ufficiali libanesi, hanno assassinato Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah. Certo, nessuno a Washington ne piangerà la morte o dubiterà del diritto di Israele all’autodifesa contro l’Iran o contro i protetti di Teheran come Hezbollah. Tuttavia la decisione di Netanyahu di estendere il conflitto al Libano è un vero e proprio sgarbo ai molteplici inviti di Biden alla moderazione e alla diplomazia.

La spudoratezza di Netanyahu e quella di Zelensky

Gli USA semplicemente non possono permettersi di appoggiare Israele in un conflitto in via di escalation che danneggia la loro reputazione mondiale e li rende nuovamente obiettivo di terroristi, intrappolandoli di una guerra contro l’Iran, costosa e impossibile da vincere. Oggi Netanyahu non ha dei piani per evitare tale esito e aderisce solo nominalmente ai tentativi diplomatici di contenere lo scontro. Sta sfidando Biden in una maniera persino più spudorata di Zelensky, che ha un atteggiamento più comprensivo e che conduce una guerra diversa. Tuttavia le sue azioni si notano più delle sue parole, mentre appare sempre più evidente il divario fra i suoi obiettivi bellici e ciò che è meglio per l’America. La causa ucraina è valida e la sovranità del Paese va salvaguardata, ma anche qui occorre dire che gli USA non possono venire gradualmente trascinati in una guerra interminabile, che addirittura implica un rischio nucleare reale.

Biden legato dal suo impegno ideologico

Zelensky non vuole fare passi significativi verso una tregua effettiva, bensì sta visibilmente premendo nella speranza di riprendere con la forza tutto il territorio perduto. La scorsa estate aveva dato l’okay a un attacco dentro la regione russa di Kursk, una mossa rischiosa che ha tenuto nascosta al Pentagono. Allo stesso modo, Netanyahu qualche giorno fa ha dato al governo americano l’impressione di essere favorevole a una tregua col Libano, mentre invece si stava preparando ad aprire un nuovo fronte. E intanto il “piano per la vittoria” che Zelenksy ha presentato a Biden la scorsa settimana costituisce l’ennesima richiesta di armi e di togliere le restrizioni che gli USA gli hanno imposto. Perché Biden non può fare di più per tenere a freno i suoi amici? In primo luogo, perché è incastrato dal suo stesso impegno ideologico devoto alla difesa a tutti i costi della democrazia e degli alleati.

Incentivi e intransigenza

Sì, sono cause lodevoli, ma piazzarle proprio al centro della politica estera americana ha reso molto complicato riuscire a influenzare Israele e l’Ucraina nel loro momento di maggior bisogno. Intanto, Zelensky e Netanyahu temono un disastro politico qualora si ritirino dalle loro intransigenti posizioni. Ma non avendo fino a questo momento pagato pressocché alcun pegno per aver ignorato Washington, perché dovrebbero modificare la rotta? Per far allineare questi “amici problematici” alle strategie degli interessi americani, Washington può offrire loro degli incentivi: all’Ucraina un piano realistico per le sue necessità postbelliche di sicurezza; a Israele i benefici economici derivanti dalla normalizzazione delle relazioni con l’Arabia Saudita. Tali opzioni sono state esplorate entrambe, ma potrebbero esigere un impegno militare superiore che Washington farebbe meglio a evitare: la piena membership dell’Ucraina nella NATO e un trattato difensivo con l’Arabia Saudita.

Affettuosa fermezza

Queste offerte devono essere accompagnate da richieste più serie da parte di Washington. Per cominciare, la Casa Bianca non dovrebbe tentennare nel chiarire ufficialmente quali sono gli interessi americani, pure quando essi differiscono da quelli degli amici. L’amministrazione Biden è diventata sempre più critica verso Netanyahu, ma può esserlo di più e magari più apertamente. Per quanto riguarda Zelensky, Biden si è tirato molto indietro. Forse la Casa Bianca ritiene che il suo infaticabile appoggio a Kiev possa essere un deterrente contro la Russia, ma il piano non ha funzionato. Ora potrebbe anche temere che la sua “affettuosa fermezza” verso Zelensky possa rovinare le chance di Kamala Harris di conquistare i voti degli indecisi in Pennsylvania. Per adesso nessuno può dire se si sbaglia. Un’altra opzione sarebbe di condizionare i livelli di assistenza militare verso i due Paesi. Solitamente è ciò che fa Washington, ma Biden finora ha esitato.

Ridurre il supporto?

Qualche democratico potrebbe avere un sussulto al pensiero di ridurre il supporto militare americano all’Ucraina, specialmente considerando gli espliciti propositi di Donald Trump al riguardo. Tuttavia, a meno che Kiev non sia favorevole ad adottare una strategia per mettere fine al conflitto in tempi realistici senza provocare pericolosamente un’escalation, allora tagliare il sostegno diventa l’unica opzione per evitare un’altra guerra infinita. Le proposte dei Repubblicani di aumentare contemporaneamente la pressione sul Cremlino e su Kiev potrebbero funzionare e non dovrebbero essere ignorate dai Democratici. Israele, a cui gli USA forniscono assistenza militare per 3,8 miliardi di dollari all’anno, ha fatto ampio uso di bombe americane nei suoi attacchi su Gaza e adesso in Libano.

Valori e interessi americani

Se venisse eletta, la Harris potrebbe dover fare dei passi in più rispetto a quelli che fa Biden nel limitare le consegne di armi offensive e nel premere su Netanyahu, al tempo stesso mantenendo la severità contro l’Iran e i suoi sodali. L’amministrazione Trump purtroppo sarebbe lieta di questa severità, ma sarebbe anche timida nei confronti di Netanyahu, proprio come lo è stato Biden con Zelensky. Gli americani – anzi tutto il mondo – meritano più coerenza e meno partigianeria da parte della politica estera degli USA. Chiunque subentri a gennaio alla Casa Bianca dovrà allinearla bene ai valori americani e concentrarsi più chiaramente sugli interessi nazionali, senza rifuggire il dialogo difficile con gli amici.

Redazione Strumenti Politici
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