Kiev cancella le elezioni e negli USA pensano a come sostituire Zelensky

Kiev cancella le elezioni e negli USA pensano a come sostituire Zelensky

5 Dicembre 2023 0

Nel riprendere le dichiarazioni dei politici americani, i media hanno iniziato a sottolineare come la presenza di Zelensky si stia facendo ingombrante. Come se non bastassero i licenziamenti a raffica dei vertici statali e il costoso fallimento della controffensiva, il presidente ucraino ha rimandato – per meglio dire cancellato – le elezioni previste a primavera.

In questo modo Zelensky resta in sella, ma per quanto? E per fare cosa adesso? I suoi protettori americani stanno pensando alla maniera migliore in cui realizzare la sua uscita di scena, nel quadro dei loro interessi economici e geopolitici.

“Non è tempo di elezioni”

Zelensky diceva di voler concorrere a un secondo mandato, sia che le elezioni si svolgessero dopo il conflitto, sia a guerra ancora in corso. Forse pensava di riuscire a mantenere il consenso degli elettori fino ai primi mesi del 2024, magari grazie ai trionfi della tanto annunciata controffensiva. E invece la sua popolarità ha iniziato a scendere prima di quanto previsto, piegata dal fallimento dell’azione militare che ha trasformato l’inizio della gloriosa riconquista in un pesante stallo del fronte.

Così, tre settimane fa ha affermato in televisione che adesso non è il momento di pensare a votare, ma a difendersi e a combattere. Purtroppo per lui, il messaggio alla nazione non è bastato per mettere da parte la questione delle presidenziale.

Oggi il suo ministro degli Esteri Dmytro Kuleba rivelato che Zelensky sta “valutando i pro e i contro” delle elezioni in tempo di guerra. Per adesso ritiene che i contro valgano di più, ma non è dato sapere in base a quali considerazioni o “suggerimenti” esterni.

Le reazioni negative alla cancellazione

Ancora ad agosto insisteva per le elezioni il senatore Lindsey Graham, un “falco” repubblicano, instancabile promotore della guerra contro la Russia e degli aiuti miliardari a Kiev (città che ha visitato più volte nel corso dell’ultimo anno e mezzo). La questione ucraina è uno dei temi caldi della campagna elettorale americana, ma oggi si infiamma ancora di più.

Il candidato repubblicano Vivek Ramaswamy ha dichiarato che rimandare le elezioni è un modo per Kiev di forzare Washington a continuare a donare soldi e che l’Ucraina non è un modello di democrazia. Lo pensano anche i due ex diplomatici David H. Rundell e Michael Gfoeller, veterani della politica estera americana.

A chi giustifica la decisione di Zelensky con l’impossibilità materiale di effettuare una tornata elettorale in questo momento, rispondono ricordando che le elezioni si tennero negli Stati Uniti e in Gran Bretagna persino nel corso della Seconda Guerra mondiale. Fanno poi notare che una sfida politica equa e libera non sarebbe comunque possibile, perché il governo di Kiev ha già provveduto a mettere al bando i partiti di opposizione.

Le elezioni un giorno o l’altro si faranno

Vi sono politici ed esperti ucraini concordi nel ritenere che occorra comunque prepararsi alle elezioni, almeno a quelle post-belliche. Persino nel partito di governo sanno che non potranno tenere Zelensky molto tempo oltre la scadenza naturale. La Costituzione consente al capo dello Stato di adempiere le sue funzioni fino al momento in cui un nuovo presidente eletto entri in carica.

Come spiega la deputata Alina Zagoruyko, capo della sottocommissione parlamentare che si occupa di elezioni e referendum, se il conflitto si dovesse trascinare troppo a lungo, diventerebbe problematico giustificare la permanenza di Zelensky al potere e bisognerebbe capire come effettuare le elezioni anche nelle circostanze del conflitto armato.

Intanto sono emerse due figure in grado di competere alla presidenza. Entrambe sono state in qualche modo già accettate dagli alleati occidentali: infatti, se è da Washington che dipende finanziariamente l’esistenza dello Stato ucraino, è chiaro che gli sfidanti di Zelensky dovranno essere graditi ai protettori americani.

Due possibili sostituti

Si tratta anzitutto di Valery Zaluzhny, comandante in capo delle Forze armate. Lo Washington Post lo descrive come largamente popolare presso i cittadini e come serio pretendente alla presidenza nel caso in cui decida di scendere in politica. Fino ad oggi non ha dato segnali in questo senso, ma evidentemente a Zelensky non piace il suo prestigio.

Qualche giorno fa ha licenziato un suo stretto collaboratore praticamente senza nemmeno informare il generale. Un altro aiutante invece è rimasto ucciso qualche giorno fa da una granata esplosa in casa sua, in quello che gli inquirenti descrivono come un incidente. Un altro personaggio a cui gli ucraini riconoscono un certo carisma è l’ex consigliere presidenziale Oleksii Arestovych, che ha dichiarato espressamente di voler correre alle elezioni non appena verranno annunciate. Da tempo critica apertamente l’operato di Zelensky sia al fronte che in politica interna, accusandolo di incompetenza e di autoritarismo. Ha già presentato il suo programma, che prevede negoziati con Mosca per raggiungere un accordo con cui terminare o almeno sospendere il conflitto, anche a condizione che Kiev rinunci ai territori già entrati a far parte della Federazione Russa.

Il suo obiettivo è garantire al Paese la sicurezza e ristabilire le libertà civili annullate da Zelensky. Arestovych è un personaggio discusso e impegnato in diversi indirizzi: ex portavoce presso il Gruppo di contatto trilaterale per la soluzione diplomatica della questione del Donbass, oggi conduce un canale YouTube con un milione e mezzo di iscritti, realizzato quasi totalmente in lingua russa.

Per adesso Zelensky resiste

L’appoggio di Bruxelles e dei Paesi europei conta molto per l’Ucraina, ma quello degli Stati Uniti è semplicemente fondamentale. Dunque Zelensky deve rispondere in primo luogo a Washington, che fornisce la gran parte degli equipaggiamenti militari e del sostegno economico. A determinare i pacchetti di aiuti è l’attuale amministrazione democratica, ma con le prossime presidenziali lo scettro potrebbe passare in mano ai repubblicani.

Ed è proprio nel Partito Repubblicano che si sono levate le maggiori voci critiche verso la cancellazione delle elezioni da parte di Zelensky. Quest’ultimo ne è consapevole, ma insiste nel dire che al momento le circostanze non permettono di organizzare una tornata elettorale. Quel che è certo è che a Zelensky conviene “cooperare”, altrimenti rischia di fare la fine di altri politici saliti in auge grazie all’appoggio di Washington e poi finiti nel dimenticatoio (o finiti male) una volta scaricati.

Inquietanti precedenti

I precedenti non sono pochi; alcuni sono tragici, altri imbarazzanti. Il caso dell’autoproclamato presidente del Venezuela Juan Guaidó è emblematico: sostenuto con enfasi dalla grancassa mediatica occidentale e poi messo frettolosamente da parte. Forse aiutato anche dalla vaga somiglianza con Obama, è rimasto sulla cresta dal 2018, ma l’anno scorso l’amministrazione Biden ha smesso di considerarlo come leader dell’opposizione venezuelana e oggi è in esilio.

È mal visto anche l’ex presidente dell’Afghanistan Mohammad Ashraf Ghani, rimasto in carica dal 2014 fino al fatidico agosto 2021, quando scappò da Kabul mentre le truppe americane abbandonavano il Paese ai talebani. Dopo quella fuga, gli USA lo hanno fortemente criticato, non fornendogli più né appoggio né asilo. È andata peggio all’ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili, che gli USA appoggiarono a partire dalla “rivoluzione delle rose” del 2003 (con uno schema usato dopo in Ucraina con la “rivoluzone arancione” e infine col Maidan del 2014).

Salito al potere per portare Tbilisi nella UE e nella NATO, Saakashvili perse disastrosamente il conflitto con la Russia. Dopo alti e bassi, tra cui un’esperienza come governatore della regione ucraina di Odessa, oggi Saakashvili è in carcere nel suo Paese, fisicamente malridotto, spesso ricoverato, e senza alcun politico del blocco euroatlantico che lo assista e nessun media occidentale che ne pianga le disgrazie.

Nel riprendere le dichiarazioni dei politici americani, i media hanno iniziato a sottolineare come la presenza di Zelensky si stia facendo ingombrante. I suoi protettori americani stanno pensando alla maniera migliore in cui realizzare la sua uscita di scena, nel quadro dei loro interessi economici e geopolitici.

Martin King
Martin King

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