In Esclusiva – Una regione in tumulto. La vittoria dei Talebani in Afghanistan vista dalla Tunisia, ne parliamo con Sofiane Ben Farhat
La ritirata dall’Afghanistan da parte di Stati Uniti e NATO non è stata di certo una scelta improvvisata, ma ben ponderata. Preceduta da mesi di dialogo a Doha. Le immagini di cittadini Afghani che cadono dall’ultimo aereo americano in partenza da Kabul, in un ultimo vano tentativo di attaccarsi alla vita,forse si potevano evitare. Ma che effetto ha tutto ciò in una regione in eterna transizione come il Nord Africa? Come i Tunisini, storicamente il popolo arabo più aperto e vicino al Mediterraneo, vedono oggi l’Occidente e la caduta di Kabul? Lo abbiamo ad uno dei giornalisti e scrittori più noti in Tunisia, Sofiane Ben Farhat.
– Grazie, innanzitutto, per aver accettato questo invito. Partiamo dalle notizie del giorno sullo scenario internazionale. Come viene vista in Tunisia e in Nord Africa l’ascesa dei talebani in Afghanistan?
“I tunisini, per una associazione di idee, non vedono molto bene la presa di Kabul da parte dei Talebani. Per due ragioni: prima di tutto il nostro Paese ha vissuto dieci anni neri per via dei terroristi, così come l’Algeria che li chiamava “gli Afghani” perché c’erano dei giovani algerini che sono stati mobilitati da Al-Qaeda e dai Talebani, che poi sono rientrati nel loro Paese. Dieci anni caratterizzati da centinaia di morti e migliaia di rifugiati. Secondo, i tunisini finora sanno che almeno 3-5mila tunisini si sono uniti ai gruppi terroristici nelle guerre in Siria, Iraq, Libia, Yemen, Mali ed in altri Paesi. Parliamo di vicende risalenti a cinque o sei anni fa. Quindi sebbene stiamo vivendo un momento di entusiasmo per ciò che avviene in Tunisia, seguiamo con apprensione gli eventi di Kabul. I tunisini si chiedono dove siano finiti queste migliaia di giovani che erano stati mobilitati dai gruppi estremisti, riconosciuti come tali dalle agenzie internazionali, dalla comunità internazionale, dagli osservatori e giornalisti, nonché dai capi di Stato e di Governo. C’è preoccupazione anche dal versante libico. Quest’ultimi giorni, le frontiere tra Libia e Tunisia restano chiuse, ufficialmente per l’emergenza sanitaria legata al COVID-19, ma anche per alcuni rapporti di un centinaio di terroristi che sono andati in Sabratha e Zawiya ed ora vorrebbero entrare in Tunisia. Sicuramente i tunisini non sono entusiasti dei Talebani”.
– Eppure, c’è stato qualche membro del Parlamento – oggi congelato – ed esponenti di partiti appartenenti alla galassia dell’Islam politico che hanno osannato l’ascesa dei Talebani e l’uscita dell’occidente e degli Stati Uniti dall’Afghanistan, proponendola come una “vittoria dei musulmani”. È davvero così? Che presa hanno queste parole sull’opinione pubblica tunisina?
“C’è un dirigente di un partito di centro, sebbene più vicino agli integralisti, che ha glorificato questo risultato dei Talebani in Afghanistan, ma l’opinione pubblica ha reagito chiedendosi come mai questo deputato non fosse un repubblicano, dove fosse il suo attaccamento alla Repubblica. C’è sempre in questa regione – che va dal Marocco all’Indonesia, e che gli Americani identificano con la cosiddetta area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) – una zona grigia di tempeste. C’è sempre un pericolo. Ma va detto che a mio avviso quanto avvenuto in Afghanistan non è un fallimento, ma bensì una scelta. Una decisione ben studiata in base agli interessi di Stato e alle zone di influenza. Nella classe politica tunisina, c’è sempre il tentativo di glorificare questi gruppi di “estrema destra”. Ed anche i Fratelli Musulmani, che dicono di essere più o meno diversi dagli altri, per me, fanno sempre parte della stessa famiglia, che sia Isis (Daesh), Al-Qaeda, Talebani, Boko Haram, o Hizb ut-Tahrir. Sono tutte facce di una stessa medaglia, in quanto condividono lo scopo ed obiettivi seppur con mezzi diversi. Sono tutti d’accordo nel creare un Califfato Islamico-Fascista, ma a livello di tattica, ognuno ha il suo approccio. I tunisini sono coscienti e sicuramente il nostro esercito, la polizia e le forze di sicurezza specializzate sono sempre attente a ciò che capita in Afghanistan, Iraq, Siria, Libano, o in Mali e nella regione Sub Sahariana. Non possiamo restare tranquilli a guardare quando è la casa del vicino a bruciare”.
– Come ne esce la politica statunitense dalla ritirata afghana, che viene sicuramente strumentalizzata dai media islamisti e della propaganda estremista, seguita troppo spesso anche da alcuni dei maggiori media europei? È una scelta che viene enfatizzata se vogliamo, e spesso anche accostata ad altre azioni USA e NATO nella regione, come gli interventi in Iraq e in Libia, che hanno avuto e continuano ad avere risultatati nefasti. Washington e NATO che immagine hanno oggi, cambia il loro peso politico in Nord Africa?
“La NATO da qualche tempo dice di essere diventata Madre Teresa, affermando di avere più uno scopo umanitario che militare. Mi ha stupito ascoltare certe dichiarazioni in occasione di una visita ufficiale perché dalla seconda guerra mondiale, ci sono istituzioni finanziarie come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, e istituzioni militari, per cui la NATO rappresenta gli interessi strategici dei Paesi capitalisti e nord atlantici. Dopo il disastro che la NATO ha combinato in Libia e in Afghanistan, non possono venirci a dire che sono una organizzazione umanitaria! La NATO rappresenta un dispositivo militare di difesa dell’Alleanza Atlantica. Sebbene dicano che sia un fallimento, va detto che fin da febbraio era stato raggiunto un accordo. Nei pourparlers di Doha, i Talebani erano ufficialmente al tavolo delle trattive con gli USA, la NATO ed altri gruppi meno conosciuti o che non appaiono pubblicamente. L’America è uno Stato che esiste da 250 anni, hanno fatto 120 guerre almeno, ogni due anni combattono una guerra, hanno più di un milione di soldati nelle basi all’estero in tutto il mondo, ma oggi c’è la voglia di tornare, di essere in America e rimpatriare le truppe. Questa è la dottrina Monroe, l’America per gli Americani. Io credo che il presidente Biden sta attuando questa politica. Credo inoltre che è in corso una guerra internazionale, non dichiarata, tra gli Americani e i Cinesi per il controllo dei mercati e delle risorse, oltre che con i Russi. Gli americani hanno preso due piccioni con una fava, ritirarsi dall’Afghanistan che è diventato costoso per loro, e nello stesso tempo, avere un dispositivo di destabilizzazione per Cina e Russia. Se guardiamo i confini dell’Afghanistan con più di sette Paesi, anche la Cina per circa settantasei chilometri e una fetta di territorio col problema degli Huguri musulmani che vogliono avere una qualche sovranità, capiamo che è un gioco tra Nazioni, un gioco intelligente e crudele. Sia il Fondo Monetario Internazionale che la Banca Mondiale dipendono principalmente dalla volontà degli Stati Uniti, in quanto il Paese più potente in Occidente. Sia a livello militare che finanziario. Gli Americani possono spostare da soli 500 mila soldati, in qualsiasi momento, in qualsiasi regione del mondo. Tutta l’Europa non potrà mai fare ciò. Gli Stati Uniti possono controllare il mercato petrolifero, dell’oro o di qualsiasi bene strategico. L’Europa è ancora abbastanza divisa per riuscire a fare questo. Quindi è stata una mossa molto intelligente da parte degli Americani”.
– I Talebani vengono anche definiti gli scolari islamici e spesso abbiamo sentito parlare della legge della Sharia. Che cos’è la Sharia e cosa vuol dire per le donne?
“Taliban significa studente. Durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan c’era un branch di Talebani a Peshawar, in Pakistan. Loro affermavano di essere studenti in religione, ma questi studenti avevano formato truppe militari. Poi c’è un altro gruppo di Talebani, che durante la guerra tra Pakistan e India, i servizi segreti pakistani hanno anche fatto viaggiare Bin Laden dal Sudan, in al Qaeda in Afghanistan col Mullah Omar, con l’intenzione di strumentalizzare questi gruppi contro l’India per una questione etnico – religiosa. I Talebani sono diventati presto una scuola che non dà diplomi, ma armi per persone nate per uccidere. La storia dell’Afghanistan è caratterizzata da lotte tra leader di gruppi armati, religiosi e i potenti feudali locali armati. I Talebani studiano per uccidere, sono criminali politici. La grande famiglia dei fondamentalisti ha diverse branchie: la prima è quella dei Fratelli Musulmani, poi abbiamo conosciuto Al-Qaeda, poi abbiamo conosciuto Daesh ed altri gruppi, i quali condividono tutti la stessa ideologia o stato di affiliazione. Come in Europa, la destra in Italia, in Francia, Germania, la destra è la stessa famiglia, cosi come per i liberali. L’ideologia di questa grande famiglia di estremisti non prevede diritti umani, ne riconosce i diritti delle donne o delle minoranze. Loro sono contro l’emancipazione della donna, contro i giovani, lo Stato Repubblicano. Come diceva lo psicanalista Eric From, che divideva le persone in biofili e necrofili, nei valori insegnati dai Talebani prevale la necrofilia. Tutti i gruppi deboli diventano un target nei Paesi arabi che non hanno una tradizione democratica, ma che vivono attaccati al feudalismo e che sono arrabbiati contro il progresso e lo sviluppo. Utilizzano i mass media e i mezzi di comunicazione per veicolare valori passati, necrofili e tenebri. La lotta finora nel mondo arabo riguarda la scelta tra le tenebre o la luce. L’ha conosciuta l’Iraq, l’Egitto, la Libia per oltre dieci anni. In Tunisia, un Paese dove la donna ha ottenuto delle conquiste ancora prima di alcuni Paesi occidentali, come Malta o l’Italia per il voto, oggi assistiamo alla popolazione che sceglie la luce e una classe politica che opta per le tenebre. È un pericolo perché essere di destra non è un problema, ma essere fondamentalista sì. Significa negare l’istruzione alle donne, uccidere e promuovere la poligamia”.
– Questa Sharia che gli islamisti promuovono, sono valori realmente contenuti nel Sacro Corano o si tratta di misinterpretazione?
“Ogni religione rappresenta all’inizio una rivoluzione e nello stesso tempo un sistema. All’Inizio l’Islam, come il Cristianesimo o ogni altra grande religione erano una rivelazione, delle rivoluzioni che si sono trasformate in un sistema. In ogni religione possiamo trovare la luce o le tenebre come dicevo. È un problema di interpretazione. Se prendiamo ad esempio il Corano, rivelato quindici secoli fa, sicuramente le condizioni in cui le persone vivevano non erano come quelle odierne. Le società musulmane non hanno conosciuto il Rinascimento come in Europa, una liberazione dall’interpretazione della religione. La presenza della Chiesa Protestante è molto più forte nella vita delle persone rispetto a quella Cattolica, seppur con valori diversi. Il problema non è nella religione perché fin quando esisterà l’uomo ci saranno delle religioni, monoteiste o politeiste, ma è un problema di interpretazione. In Europa esiste una divisione tra credo e politica, ci sono dei tentativi di strumentalizzazione, ma il sistema distingue le sfere educativa, politica e religiosa. Il mondo arabo da secoli non ha avuto questo Rinascimento, sebbene i musulmani fossero in Europa in quel periodo storico, in Spagna, in Italia, a Venezia e altrove. Questo è il paradosso. Essere musulmano non significa essere estremista. Dobbiamo smentire questa dialettica di Islamofobia promossa dai partiti di destra europei, ma allo stesso tempo i Musulmani devono smettere di dire che siamo i migliori e che la nostra religione è la migliore al mondo”.
– La Tunisia per questo è stata da sempre un baluardo. Anche la Rivoluzione non ha portato solo morte e distruzione, come è avvenuto per altri Paesi, ma avete fatto anche delle conquiste. Lo scorso 25 luglio il presidente della Repubblica ha preso delle decisioni importanti. Cosa sta succedendo oggi in Tunisia?
“Non voglio essere sciovinista, ma parlando di questo soggetto potrei sembrarlo. Non c’è una Primavera Araba, ma una eccezione tunisina da molti anni. I Tunisini con il presidente Bourguiba nel 13 agosto del 1956 hanno vietato la poligamia, in quel periodo solo l’1% usava avere più di una moglie. La società Tunisina così vicina all’Europa, alle isole italiane, è un miscuglio di culture, popoli e tradizioni. La Tunisia è sempre stata aperta e Bourguiba ha sempre sostenuto l’educazione dei giovani, specialmente delle giovani donne. Abbiamo un livello di educazione molto più sviluppato di altri Paesi, così come in campo di diritti umani, dei rifugiati, delle minoranze e della donna come statuto personale. Il presidente Kais Saïed non è un rivoluzionario. Non è il Che chi è venuto per dire c’è un rovesciamento, ma nel suo discorso, è un uomo più di destra che di sinistra, sebbene non abbia un proprio e vero partito. È un conservatore, legalista ma applica la costituzione almeno. I Tunisini, così come gli Italiani e i Francesi, quando parlano o gridano sono a sinistra, ma quando fanno una scelta, spesso la prendono a destra, o centro destra, perché i popoli del Mediterraneo amano la vita, la storia, la festa, il divertimento, il corso, le spiagge. Il presidente Kais Saïed ha semplicemente risposto ad una richiesta popolare. Abbiamo fatto una rivoluzione, gli eventi hanno confermato che siamo una eccezione positiva nel mondo arabo, non vogliamo tornare indietro. Anche la tradizione di questo Paese non ha conosciuto particolari violenze, se non per gli ultimi anni segnati dal terrorismo. I tunisini hanno chiesto di tornare al patto della Costituzione, ai valori della Repubblica. In Tunisia, i Fratelli Musulmani, rappresentati da Ennahdha – sebbene abbiano cambiato nome – hanno strumentalizzato la democrazia per ottenere un potere politico feudale. Fascista in fin dei conti. I deputati dei partiti alleati di Ennahdha come al-Karama lo dicono pubblicamente: siamo contro l’emancipazione femminile, le minoranze, la società civile, gli intelletuali e i giornalisti. Ennahdha nasconde i suoi principi. Con Kais Saïed, per la prima volta contro gli islamisti c’è un uomo di destra piuttosto che di sinistra o della destra liberale com’era Caid Essebsi. Perciò il Presidente della Repubblica conosce bene queste dinamiche, sa chi sono i Fratelli Musulmani. Hanno fatto ‘etamkin’ in arabo, ossia hanno occupato posizioni di leadership all’interno delle Istituzioni statali, non c’è stata una riforma educativa, è aumentata la paura per la criminalità, le donne hanno paura. E soprattutto, c’è un fattore che l’Italia conosce molto bene, i Fratelli Musulmani hanno applicato un tipo di capitalismo di stampo mafioso. Questo capitalismo ha tre caratteristiche fondamentali: un capitalismo selvaggio per cui il costo della vita in Tunisia è più cara che in Europa talvolta; hanno alimentato il regionalismo; e militarizzazione, con gruppi armati che ricordano molto la Corona Unita, la Camorra, la ‘Ndrangheta, o Casa Nostra. Kais Saïed ha capito che i tunisini erano stanchi di tutto ciò. I Tunisini sono contenti dal 25 luglio, non perché Saied sia un leader – di cui non ha le caratteristiche – ma perché rappresenta loro volontà. Antropologicamente i Tunisini sono un popolo mediterraneo. L’Arabo parlato tunisino è un mix di francese, italiano, spagnolo, di tutte le grandi civiltà che hanno attraversato il nostro Paese lasciando qualcosa. Con tutto il rispetto per i nostri vicini, libici ed algerini, le vicende della Tunisia non sono sempre le stesse a livello di valori e delle istituzioni. I tunisini sono più vicini all’idea di modernità e internazionalizzione. Ma come l’Italia, la terra di Raffaello, Giotto, Dante e i più grandi artisti, ha dato alla luce anche al Duce; la Germania, la terra di Marx, Hegel, Kant ha anche dato alla luce il Terzo Reich. Questo per dire che i popoli possono finire nella trappola ideologica che per un breve periodo cancella i loro valori. Kais Saïed è la rappresentazione dell’antropologia tunisina contro l’estremismo di Stato di Ennahdha e i suoi alleati, dal 2011 al 25 luglio. Ma la Tunisia, come l’Italia, la Grecia, la Spagna, la Francia, è piuttosto uno spirito, un modo di vivere. Ecco perché il piano di Ennahdha di governare per cinquant’anni è fallito. Facendo teatro, prosa e giornalismo, ho sempre detto: sogno un giorno in cui la Tunisia tornerà a casa. Dal 25 luglio sembra che un passo importante sia stato fatto, ma ovviamente questo processo non è ancora finito”.
– Come lei ha perfettamente descritto l’Italia ha dato i natali ai più grandi artisti e pensatori, ma anche a Benito Mussolini. Allo stesso modo, usando le sue parole, la Tunisia ha partorito grandi nomi della musica, della letteratura e dello spettacolo, ma ha anche dato i natali a Rachid Ghannouchi. Abbiamo visto lo scandalo delle mascherine che ha visto coinvolti dei deputati, 20mila morti per il coronavirus che forse si potevano evitare, visto che all’inizio la Tunisia ha gestito la pandemia in maniera esemplare. Secondo lei, Ghannouchi ha compreso i suoi errori? E quanta responsabilità ha in questa crisi economica, sociale e sanitaria?
“Mi lasci dire che Rached Ghannouchi è un uomo del passato. Vive in un sistema del passato, agli anni ‘60 del ventesimo secolo, quando in Egitto e in Yemen si combatteva una feroce guerra tra gli islamici di Said Qotb e soprattuto di hassen Al-Bennah contro le giovani repubbliche di Nasser, o laicisti come Abdelkarim Kassam in Iraq, o Shukri Al Qweitli in Siria. Quest’uomo del passato vuole avere la sua rivincita contro la Repubblica. A livello delle sue scelte è arcaismo, anche se pretende di aver aggiornato le sue tesi. Ma la realtà non è così, basta entrare nella pagina Facebook di Ennahdha per vedere un testo del 1986 che parla degli apostati. Nel 2011, Ghannouchi non ha fatto nulla per la Rivoluzione, spontanea, fatta dai giovani della Tunisia più profonda. La Rivoluzione non aveva una leadershi, una ideologia o un programma, ma è stato un movimento che ricorda quella in Messico del 1910. È tornato dopo pochi mesi, dicendo di non voler assumersi nessuna responsabilità, ma di volere vivere nel suo Paese. Nello stesso tempo, tuttavia, ha strumentalizzato la nostra Rivoluzione per il disegno oscuro della Fratellanza Musulmana. Dalle libertà, così siamo passati ad un modello di vita più crudele di quello che avevamo conosciuto. Anche i giovani oggi dicono la Tunisia al tempo di Ben Ali era un posto migliore. Peccato! Ma, oggi, abbiamo una Costituzione ed elezioni trasparenti. È cambiato tutto, anche gli slogan. Oggi prima di tutto per la società non viene la sicurezza, ma la libertà. Ghannouchi sembra che non ha capito niente: ha parlato di golpe, ha lanciato minacce tramite la stampa come al Corriere della Sera. Il 25 luglio c’è stato questo cambiamento, e il 27 Ennahdha aveva già firmato un contratto con un gruppo di lobbying statunitense per influenzare le politiche USA. E la legge tunisina vieta di ricevere o avere fondi all’estero e di impiegarli per la politica. Rachid Ghannouchi vuole ancora restare a capo di Ennadha, del Parlamento, e prendersi la sua rivincita contro Bourguiba, la sua maggiore ossessione. Bourguiba pur essendo morto da anni, resta una icona per i tunisini. L’ex presidente veniva ricevuto dai Kennedy a New York nel 1961, perché era considerato da Fanfani in Italia, da De Gaulle in Francia, come uno dei più grandi dirigenti al mondo. Era un uomo senza ideologia, progressista, uno pratico. Per questa sua ossessione Ghannouchi ha perso tutto, il partito, la fiducia e la credibilità all’interno del Paese e per la Fratellanza internazionale che aveva perso ovunque tranne in Tunisia. È finito, game over per Ghannouchi. È uno spettro, non è una scelta nel presente né nel futuro dei tunisini. È arrivato il tempo di andarsene per limitare i danni. Questa è una scelta di coraggio. Non so ciò che avviene nella sua testa…”.
– Tra l’altro, una esponente di Ennahdha proprio ieri difendeva il suo partito dicendo: “tra i tanti arresti che ci sono stati, solo tre deputati sono di Ennahdha”. In tutti i Paesi in cui governa, la Fratellanza Musulmana si infiltra nelle istituzioni dello Stato, arrivando ai vertici della Magistratura, ricordando come accennava poco fa, alcuni scenari italiani nella lotta tra Stato e mafia. Il presidente Kais Saïed ha cambiato tutti i vertici del Ministero degli Interni e delle agenzie di sicurezza, perché secondo lei? Ci saranno altri arresti o Ennahdha è davvero un movimento politico, forse non è tutto vero quello che si dice?
“Non sono nei servizi segreti o nel segreto dei dei per sapere tutto ciò che avviene, ma so che ci sono diversi dirigenti di Ennahdha che sono stati arrestati, così come esponenti di al-Karama o l’anziano ministro Al-Marouf. Allo stesso tempo, bisogna dire che le misure introdotte da Kais Saïed hanno colpito la maggior parte dei movimenti sorti nell’ultimo decennio sulla scena politica tunisina e coinvolti in malaffare e corruzione. Su Ennahdha c’è un dossier fondamentale che non è stato ancora rivelato riguardante l’uccisione di Chokri Belaid, Mohamed Brahmi, dirigenti della sinistra (il fronte popolare) ed altri ufficiali dell’esercito. Questo fascicolo è stato sollevato anche durante il Governo di Beji Kaid Essebsi, e riferito di fronte al Consiglio di Sicurezza Nazionale. Ora, c’è un magistrato di Ennahdha, Bechir Akremi, che è stato arrestato proprio per aver coperto o nascosto fatti rilevanti su questa inchiesta come l’aula nera all’interno del Ministero degli Interni. Il Gruppo di Difesa e dei due Martiri ha riferito dell’esistenza di questa misteriosa stanza oscura. Ennahdha ha detto che non esiste, ma un magistrato l’ha trovata, chiudendola ed istallando telecamere di sorveglianza, dopo aver trovato migliaia di documenti al suo interno. Sappiamo che Ennahdha è implicata, ma fino ad ora non è mai stato fatto niente. Come l’Italia ancora oggi combatte contro le organizzazioni di stampo mafioso, la Tunisia impiegherà anni per avere un landscape chiaro su Ennahdha, i loro crimini e collegamenti. Ma credo che siamo giunti ad un punto di non ritorno:mai più come prima. Oggi che i membri della confraternita iniziano a vedere che ci sono indagini serie e che non è solamente una mossa politica da parte del Presidente, io credo che ci sarà qualcuno che parlerà e che donerà le chiavi di questa famosa aula nera non solo al Ministero degli Interni, ma dell’intero gruppo”.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.