Il ruolo nei BRICS e le prospettive dell’Etiopia come potenza regionale stabile e affidabile. Intervista esclusiva con Mukerrem Miftah
L’ingresso di quattro nuovi Paesi nel gruppo BRICS ha destato curiosità e interesse. Tra di essi l’Etiopia, che ha partecipato per la prima volta in qualità di membro al summit di ottobre tenutosi a Kazan. A guidare la delegazione in Russia c’era il premier Abiy Ahmed. Quali sono le ragioni dell’ammissione etiope a questo blocco intercontinentale, del quale oggi fanno parte tre Paesi africani? E quali speranze e prospettive presenta? Lo abbiamo chiesto a Mukerrem Miftah, assistente presso l’Università Etiope della Pubblica Amministrazione (ECSU) di Addis Abeba. Già collaboratore dell’Università di Scienze Sociali di Ankara (ASBÜ), è autore di numerose pubblicazioni accademiche e giornalistiche su politica, cultura e religione nel Corno d’Africa.
– L’Etiopia è stata ammessa come nuovo membro in questa prima fase di allargamento dei BRICS, scavalcando la concorrenza di candidati africani di notevole peso come la Nigeria e l’Algeria. Come spiega questo grande risultato, che apre le porte a ulteriori conseguimenti sociale ed economici?
– Ritengo che vi siano tre o quattro motivi cruciali per l’ammissione nel “club”. Il principale forse è che l’Etiopia è uno degli Stati più influenti dell’Africa. È infatti uno dei fondatori dell’Unione Africana, della quale Addis Abeba è oggi una delle sedi istituzionali. Nel corso nei secoli il nostro Paese ha sempre mantenuto una posizione importante nel continente africano e non solo. Ricordiamo peraltro che l’Etiopia è stata anche un impero. Tale eredità storica e politica è superiore alle difficoltà che stiamo vivendo adesso, come l’insurrezione nel Tigrè, le azioni dei miliziani islamisti e una certa crisi economica. Ma è innegabile la costante presenza etiope nella storia del continente e la sua postura politica. Ed è proprio ciò che ha interessato e ha convinto i fondatori dei BRICS ad accogliere l’Etiopia nel gruppo.
Il secondo elemento significativo è il peso demografico del Paese: 120 milioni di persone, che costituiscono un enorme mercato per i prodotti degli Stati BRICS. Per l’Etiopia i benefici dell’adesione consistono in particolare nell’afflusso di valuta straniera. È un fattore divenuto rilevante dal 2018 in avanti, con le riforme politico-economiche e lo sforzo di rimodellare il sistema andando verso aspirazioni di liberalizzazione. Dopo la bancarotta del 2023 il contributo finanziario di Stati più grandi e potenti è ormai una necessità evidente e proprio l’ingresso nei BRICS potrà permettere l’accesso alla valuta e gli investimenti stranieri. Oggi sono molti stretti i rapporti commerciali con l’India e con la Cina. Le importazioni arrivano soprattutto da Pechino, oltre che dalla Turchia (che però non fa parte dei BRICS). Tali relazioni esistevano già prima dell’emergere del gruppo sulla scena internazionale e oggi grazie a questa piattaforma multilaterale potranno rafforzarsi ancora di più.
– Quale sarà il ruolo dell’Etiopia nelle interazioni con i partner BRICS e in più in generale a livello strategico?
– Sul piano geostrategico dobbiamo dire che l’Etiopia ha sempre rappresentato un’ancora per i Paesi dell’Africa orientale che la circondano, quelli del cosiddetto Corno d’Africa. In termini etnici, religiosi, culturali e storici tali nazioni devono in un modo o nell’altro confrontarsi e guardare all’Etiopia. Dunque c’è una storia molto variegata che è condivisa con altri popoli come gli eritrei a nord, a est gli ogadeni e i somali, a sud i kenyani. Dai tempi del regime socialista di Menghistu combattiamo contro il fondamentalismo islamico e oggi il terrorismo di al-Shabaab. Inoltre non dimentichiamo che a partire dal 2004 abbiamo avuto per un decennio una crescita in doppia cifra del PIL. Sebbene siano poi arrivati il default e la crisi economica, abbiamo mantenuto la stabilità e un forte ruolo politico e di guida a livello regionale.
Anche l’Eritrea aveva mostrato interesse a entrare nei BRICS, ma rispetto ad essa l’Etiopia è più solida e certamente più prospera. I BRICS considerano Addis Abeba affidabile e sicura, mentre ad Asmara non c’è libertà, bensì il regime di un solo uomo che da tre decenni non ha fatto crescere l’economia e anzi nel Paese oggi operano gli integralisti di al-Shabaab. Dunque un’altra ragione per cui i fondatori dei BRICS hanno scelto l’Etiopia è il suo essere un attore forte, affidabile e qualificato in grado lavorare con loro, nonostante i problemi che viviamo dal 2018. Oggi possiamo garantire un ambiente politico stabile e la sicurezza sociale per accogliere gli investimenti.
– A suo parere, i BRICS possono essere una forza emergente tale da contrastare il sistema unipolare a guida americana? E cosa può dirci del Sud Globale come movimento che sfidi la dominazione post-coloniale di certi Paesi occidentali? Quale sviluppo vede per questi blocchi, ovviamente con particolare riferimento al ruolo dell’Etiopia?
– Vi è una tendenza generale a osservare il deterioramento dei termini delle relazioni del Sud Globale con la Francia, il Regno Unito e gli USA. Vediamo come i Paesi francofoni, soprattutto quelli dell’Africa occidentale, si stiano ribellando al ruolo dominante di Parigi nella regione, che estrae e sfrutta le risorse e impone la sua influenza politica. Dunque tali Paesi vorrebbero allinearsi alle economie in crescita come quelle russa e quella cinese, per poi estendere l’ambito dei rapporti e passare dagli scambi economici alle relazioni politiche e agli con accordi militari o di sicurezza.
Per secoli le relazioni dell’Etiopia con l’Occidente hanno avuto due facce. Da un lato, le élite politiche etiopi vedono l’Occidente come una sorta di partner politico o economico, di controparte con cui trattare e fare affari. Dall’altro lato riconoscono che si tratta di potenze pronte a fare qualunque cosa pur di sfruttare le risorse locali e talvolta di sponsorizzare le guerre di prossimità, finanziare le forze di opposizione politica o di insurrezione e rappresentare quindi una sorgente di instabilità. Certo, vi sono anche gli investimenti, l’assistenza allo sviluppo, gli aiuti umanitari, ma Pechino, Mosca o anche altri ex alleati del passato socialista stanno facendo del loro meglio per controbilanciare l’influenza dei Paesi dell’Europa occidentale.
La politica estera etiope di base è sempre stata quella di mantenersi in equilibrio sotto molti profili fra le sfere di influenza dell’Ovest e dell’Est. A mio parere, sfortunatamente in questo momento – memori del default nel recente passato – la necessità di valuta straniera sta diventando preponderante su altre importanti sfere di relazione con i Paesi stranieri. Al governo interessa in primo luogo rendere aperto il mercato, ridurre la spesa pubblica e infine implementare le riforme liberiste.
Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.