Il dubbio atomico dell’Europa

Il dubbio atomico dell’Europa

17 Aprile 2024 0

Una Caporetto Ucraina? 

Stando a quanto recentemente riferito dai media nazionali e internazionali la tenuta del fronte ucraino nel Donbass sarebbe fortemente a rischio. Kiev si aspetta infatti una nuova offensiva russa tra la primavera e l’estate. Il 3 aprile scorso l’agenzia italiana d’informazione Adnkronos riportava che: << il quadro per Kiev è estremamente precario [secondo] alti ufficiali che hanno collaborato con il generale Valeri Zaluzhny, ex comandante delle forze armate recentemente sostituito dal generale Oleksandr Syrsky. In caso di attacco russo, esiste il rischio di un collasso delle prime linee ucraine >>.

Secondo Kiev, l’iniziativa russa sarebbe resa possibile dalla rinnovata disponibilità di soldati da schierare, in numero considerevole, contro le forze ucraine. In tal senso e col senno di poi, la caduta di Avdiïvka, nel febbraio scorso, poteva già essere letta come un segnale della debolezza della macchina bellica ucraina. Per ovviare a tale deficit di uomini (cui si aggiunge quello di mezzi) il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato una legge che dal 3 aprile porta a 25 (dai precedenti 27) anni l’età minima per il reclutamento, con l’obiettivo di mobilitare 500.000 ucraini. La carenza di uomini, oltreché di armamenti, pare dunque il principale tallone d’Achille dell’Ucraina, in una fase, come quella attuale, che pare profilarsi decisiva per l’evoluzione della situazione bellica sul campo.

Occidente al bivio

Proprio tale impasse pare avere posto gli alleati di Kiev dinnanzi a un dilemma: sostenere ulteriormente Kiev, con armamenti e finanziamenti o iniziare a considerare l’ipotesi di una soluzione mediana. L’Occidente sembra continuare a preferire la prima opzione, benché nei mesi scorsi si fossero palesate, su entrambe le sponde dell’Atlantico, divergenze circa la natura e l’intensità dell’appoggio al governo ucraino.

Tradotto in altri termini, i Paesi membri della NATO paiono domandarsi se sia maggiormente auspicabile considerare la possibilità di una resa di Kiev per evitare il rischio di una escalation potenzialmente in grado di raggiungere anche la soglia nucleare (tattica), oppure correre quest’ultimo azzardo, al fine di impedire una disfatta ucraina che aprirebbe scenari del tutto inediti in Europa, forse accrescendo ancora di più l’assertività russa, andando inoltre a rappresentare per la Repubblica Popolare Cinese un precedente da imitare, quando essa dovesse risolversi ad affrontare, manu militari, la questione Taiwan.

È anche sullo sfondo di questo scenario amletico che andrebbero considerate le recenti parole del presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, e del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg. Il primo, aprendo l’ennesima finestra di Overton, aveva affermato che non si dovesse più escludere a priori l’eventualità dell’invio di truppe in ucraina. Dal canto suo, il 4 aprile Stoltenberg ha ribadito che sul fronte del Donbass “la situazione resta seria”. Sopra tutte, le parole del Capo dell’Eliseo avevano suscitato obiezioni provenienti da diverse direzioni, nonché la risposta piccata di Mosca, secondo cui il dispiegamento su suolo ucraino di truppe provenienti da Paesi NATO sarebbe costitutivo di casus belli tra essa e l’Alleanza Atlantica, finendo per condurre a uno scontro armato diretto.

Il Trattato di Washington e l’articolo 5

La questione sollevata da Macron è stata analizzata sulla stampa italiana in un articolo pubblicato per il grande pubblico da Il Foglio il 23 marzo scorso. In esso si riconosce che la vittoria russa è un’opzione realistica. Per scongiurare tale worst-case l’invio di truppe – come suggerito da Macron – contribuirebbe ad alzare le probabilità di successo di Kiev nella guerra d’attrito, dando un segnale chiaro alla Russia ovvero che il conflitto non cesserà “quando finiranno le truppe o le munizioni ucraine. Se la Russia vedeva un traguardo, la Francia dice di volerlo allontanare[1].

L’assunto di fondo di tale approccio è che “la guerra lanciata dalla Russia è un attacco a tutta l’Europa”. In virtù di tale presupposto, una vittoria russa in Ucraina avrebbe l’effetto di accrescere l’appetito di Mosca, che passerebbe quindi a minacciare i Paesi baltici, la Polonia o la Romania (confinante con la Moldavia dove è vivo il separatismo della Transnistria/Pridnestrovie sostenuto dalla Federazione Russa), mettendo così a rischio “l’intera architettura politica europea”. Addentrandosi nel campo degli scenari ipotizzabili, l’articolo decostruiva le obiezioni di coloro secondo i quali la perseveranza degli alleati europei nel sostegno all’Ucraina (il più antico partner della NATO)[2]

favorirebbe la scalata della soglia nucleare in Europa. Correttamente, veniva ricordato che la proposta francese non si riferiva a un intervento NATO, ma all’invio unilaterale di forze militari di singoli Paesi europei membri dell’Alleanza Atlantica. Una simile iniziativa non sarebbe sindacabile, poiché – si ricordava – gli Stati “europei sono sovrani in materia di difesa e dunque non esiste un meccanismo per scongiurare un intervento di un alleato”. Si eccepiva che la decisione di un singolo Paese europeo di inviare contingenti in Ucraina non determinerebbe necessariamente ovvero automaticamente anche un intervento delle organizzazioni di difesa e sicurezza collettiva cui esso fosse partecipe, in primis la NATO. A sostegno di tale tesi si ricordava, citando l’intervento della Repubblica Popolare Cinese nella guerra di Corea (1950-53), che “ci sono molti casi nei quali potenze nucleari sono entrate a contatto in [P]aesi terzi senza che ciò sfociasse in una guerra nucleare”, benché nell’articolo de Il Foglio si omettesse di precisare che la Cina comunista negli anni Cinquanta del secolo scorso – a differenza degli Stati Uniti – non disponesse affatto  dell’arma nucleare, che testò solamente il 16 ottobre 1964[3].

Nondimeno, nell’articolo si aggiungeva che non vi sono ostacoli alla richiesta di un Paese in merito all’intervento “della NATO o delle altre organizzazioni in sostegno ad una sua operazione militare, ma anche in questo caso non vi è l’obbligo a partecipare ad una tale missione”. Pur senza richiamarlo esplicitamente, il quotidiano italiano faceva riferimento, soprattutto in questi ultimi passaggi, ai contenuti dell’articolo 5 e al concetto strategico dell’Alleanza Atlantica, in particolare quello del 1999 riguardante casi di “conflict prevention and crisis management through non-Article 5 crisis response operations[4]. Secondo gli enunciati dell’articolo 5, un attacco condotto contro un Paese membro dell’Alleanza Atlantica verrebbe considerato come un attacco diretto contro tutte le parti. Pur tuttavia, il ricorso alla forza armata viene considerato solo una delle azioni cui ricorrere per soccorrere un membro alleato che fosse oggetto di azioni ostili.

Nessun membro della NATO è quindi obbligato – stricto sensu – a prestare in maniera automatica e immediata un sostegno che sia di natura esclusivamente militare. L’articolo 6 è ancora più esplicito e può essere considerato in diretta relazione con il possibile dispiegamento di truppe di Paesi NATO in Ucraina, contribuendo – almeno apparentemente – ad allontanare il dubbio connesso allo scenario di un’escalation potenzialmente (anche) nucleare. Tale articolo descrive infatti, in termini precisi, che per attacco armato si debba intendere un’aggressione contro il territorio di un membro NATO in Europa, nell’America settentrionale o nel Mediterraneo.

Il casus fœderis viene dunque legato a un principio di territorialità che sembrerebbe escludere lo scenario – per ora ipotetico – di uno scontro tra unità militari di Paesi NATO, eventualmente dispiegate in Ucraina, e forze russe. Peraltro, la natura strettamente difensiva dell’articolo 5 non è preclusiva, in termini assoluti, di un eventuale intervento collettivo di Paesi NATO in un contesto di peace-enforcement sulla base dello strategic concept del 1999 prima citato, qualora si realizzassero però due condizioni: la possibilità che il governo di Kiev acconsenta a un riconoscimento de facto della nuova geografia politica così come originatasi sul campo e, da parte russa, il raggiungimento del cessate il fuoco.

Una eventualità (per ora teorica) che nella sostanza porterebbe a una soluzione coreana del conflitto. Escludendo quest’ultima ipotesi, le parole di Macron – e l’articolo del Foglio – sembrano lasciare intendere che l’eventuale dispiegamento di forze militari provenienti da Paesi NATO avrebbe come unico scopo il contrasto alle unità russe per evitare la sconfitta di Kiev.

Le dottrine e gli scenari

Se così fosse – e nonostante quanto sostenuto nell’articolo de Il Foglio sin qui citato – non sembra (più oramai) un esercizio (del tutto) ozioso considerare in quali casi e come potrebbe esplicitarsi il ricorso all’uso del nucleare nell’ambito del conflitto attualmente in corso tra la Federazione Russa, da un lato, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali, dall’altro. Il 13 marzo scorso il leader del Gran Palazzo del Cremlino, Vladimir Putin, aveva affermato che la componente nucleare russa è la più avanzata e sofisticata esistente, spiegando che la Russia è tecnicamente pronta a condurre (anche) una guerra nucleare, aggiungendo che le armi, comprese quelle atomiche, esistono per essere usate. In merito ai soli ordigni nucleari tattici Putin aveva ricordato che la dottrina militare di Mosca in merito al loro utilizzo non è cambiata ed è molto chiara quando afferma che esse sono uno strumento cui ricorrere sul campo quando l’esistenza o la sovranità della Federazione Russa siano minacciate.

In rapporto a tale questione, l’adeguamento ad opera di una delle parti coinvolte – la Russia – delle proprie capacità di radiological nuclear training risulta indicativo. Nel gennaio scorso la TASS aveva infatti dato notizia che gli scienziati dell’Accademia militare russa per la logistica ‘generale A. V. Khrulev’ avessero sviluppato un nuovo simulatore nucleare per la componente terrestre delle forze armate, poiché il precedente modello IU-59 era considerato oramai obsoleto. Secondo l’agenzia di stampa russa, scopo del nuovo dispositivo sarebbe quello di simulare un attacco nucleare sul campo di battaglia, venendo utilizzato per l’addestramento pratico di unità militari, al fine di prepararle per operazioni di combattimento in contesti che contemplino l’uso di armi nucleari.

Escludendo il caso in cui Mosca intenda colpire i caccia F-16 ucraini eventualmente ospitati in basi aeree di Paesi NATO, un simile scenario potrebbe originarsi principalmente da due circostanze ipotetiche: un arretramento significativo delle posizioni russe nel Donbass e/o in Crimea (due regioni ucraine unilateralmente annesse da Mosca e quindi da essa considerate parti integranti dello Stato russo) imputabile al sostegno (diretto) alle operazioni ucraine da parte di forze militari di Stati terzi e, quindi, il conseguente ricorso del Cremlino al cosiddetto nucleare tattico, per evitare una sconfitta non più considerata (unicamente) tattica ma ritenuta strategica, per la sue ricadute politiche oltreché militari.

Questa decisione sarebbe presa dal Presidente della Federazione Russa dopo un dibattito ai massimi livelli politico-militari (che coinvolgerebbero il ministro della Difesa e il Capo di Stato Maggiore delle forze armate) e in legittima conformità alla vigente dottrina militare di Mosca. Siffatto primo colpo limitato, innescherebbe (presumibilmente) il meccanismo della graduazione nucleare ovvero una risposta simmetrica e proporzionata degli alleati occidentali di Kiev presenti con proprie forze sul suolo ucraino.

Tale risposta sarebbe modulata secondo le regole d’ingaggio delle rispettive dottrine nucleari. Nel caso della Francia potremmo assistere a quello che la Force de dissuasion nucléaire française è usa definire ultimo colpo d’avvertimento unico e irripetibile, tale in quanto fatto detonare in spazi aperti ossia senza (necessariamente) colpire obiettivi, con lo scopo di de-scalare la soglia nucleare. Il Regno Unito, facendo ricorso a quello che la Integrated Review Refresh 2023 definisce il proprio minimo credibile deterrente nucleare indipendente assegnato alla difesa integrata NATO, agirebbe qualora – secondo una definizione vaga – fosse richiesta un’azione di risposta a una iniziativa nemica che avesse lo scopo di dissuadere le forze britanniche dall’intraprendere quanto ritenuto necessario per mantenere la sicurezza e la stabilità regionale (oltreché globale).

Londra ricorrerebbe quindi al proprio arsenale nucleare secondo la formula: “only in extreme circumstances of self-defence, including the defence of our NATO allies”. In questi due casi, la decisione spetterebbe, rispettivamente, al Presidente della Repubblica e al Primo Ministro del governo di Sua Maestà, fatto salvo, quanto stabilito dal principio negative security assurances, che inibisce l’uso degli arsenali atomici contro Stati non nucleari.

La postura nucleare statunitense 

Ai due partner europei di Kiev con arsenali nucleari propri potrebbe sommarsi la risposta del più importante sponsor dell’Ucraina: gli Stati Uniti. È plausibile ritenere che, secondo la più recente evoluzione del pensiero strategico statunitense, un eventuale ricorso occidentale al nucleare tattico che coinvolga Washington a livello decisionale potrebbe assumere due forme.

Nel primo caso potremmo assistere a una sorta di luce verde agli alleati nucleari europei, vale a dire Francia e Regno Unito, lasciando quindi iniziativa e rischi (pressoché) interamente in capo a essi. Nella seconda ipotesi Washington farebbe ricorso al suo deterrente nucleare esteso, nuovamente delegando l’iniziativa agli alleati europei non dotati di un arsenale nucleare proprio però partecipi dei NATO’s Nuclear Sharing Arrangements che prevedono, attraverso la dottrina della condivisione nucleare, la cessione – nei casi previsti – di ordigni nucleari statunitensi ad alcuni Paesi, tra cui l’Italia (basi di Ghedi e Aviano), sul cui territorio i dispositivi alleati NATO e statunitense sarebbero in grado di disporre di bombe termonucleari per impiego tattico aviolanciate tipo B61-12.

È comunque presumibile considerare che quest’ultima opzione sarebbe ipotizzabile unicamente nei casi specificati dagli articoli 5 e 6 del Trattato Nordatlantico, pertanto non nello scenario ucraino dove a essere impegnato in un conflitto difensivo non è un membro dell’Alleanza, bensì un partner. Questo sebbene nella versione declassificata della Nuclear Posture Review statunitense del 2022 si affermi che l’arsenale nucleare statunitense (il cui uso è prerogativa del Presidente) ha tra i suoi scopi anche quello di assicurare alleati e partner. Una distinzione sottile ma sostanziale, se si considera che nella United States-Ukraine Charter, siglata a Washington nel 2008, Kiev viene considerata dagli Stati Uniti un partner strategico. Nel caso di uno scenario nucleare la graduazione, dopo avere toccato la soglia tattica, è probabile, benché non automatico, che giunga sino a quella strategica, tramite il ricorso alle armi cosiddette termonucleari (ossia a fusione con nuclei di deuterio e trizio).

Questo ennesimo gradino vedrebbe direttamente protagoniste quelle potenze dotate della cosiddetta triade nucleare completa composta di Ground-based ICBMs (intercontinental ballistic missiles), SLBMs (submarine-launched ballistic missiles), e ALBMs (air-launched ballistic missiles). In questo caso, una potenza lancerebbe un primo colpo nucleare (first strike) – forse giustificato dal principio del sole purpose – con l’obiettivo di annichilire le capacità offensive del nemico. L’ultima fase della soglia strategica sarebbe rappresentata dal secondo colpo di rappresaglia (second strike), concepito per una massive retaliation (ritorsione massiva).

Un ruolo significativo in questo scenario potrebbe essere assunto dagli Scudi anti-missile, che soprattutto gli Stati Uniti, dopo il loro ritiro nel 2002 dal Trattato ABM (Anti-Ballistic Missile), hanno sviluppato (anche) in Europa attraverso il progetto European Phased Adaptive Approach, concepito in sinergia con il programma NATO BMD (Ballistic Missile Defence).

La simulazione dell’Università di Princeton 

Accanto alle dottrine per l’impiego delle armi nucleari sono stati concepiti via via modelli previsionali, l’ultimo dei quali, frutto della ricerca in ambito civile, è quello dalla Princeton University[5] prodotto nel 2022, particolarmente rilevante per via del fatto che contempla il caso specifico di uno scambio nucleare tra Stati Uniti e Federazione Russa. Il raggiungimento della soglia nucleare, secondo una escalation plausibile considerata dalla metodologia del programma Science & Global Security dell’ateneo statunitense, comincerebbe nel contesto di un conflitto (inizialmente) convenzionale.

La Russia farebbe ricorso (secondo i dettami della propria dottrina strategica) a un’arma nucleare tattica lanciata dall’exclave di Kaliningrad, a cui la NATO risponderebbe con un singolo ordigno (anch’esso tattico) aviolanciato. Toccata in tal modo la soglia nucleare l’Europa diverrebbe il terreno di scontro non-convenzionale tra Alleanza Atlantica e Russia, preludendo all’impiego anche degli arsenali strategici di Washington e Mosca. Solo dopo questa fase tattica – secondo la simulazione – verrebbe utilizzato l’arsenale strategico statunitense, con il ricorso a ICBMs e SLBMs per la distruzione delle forze nucleari russe. Nella terza e ultima fase della soglia nucleare (countervalue plan) entrambi gli schieramenti, con l’obiettivo di inibire la resilienza ovvero le capacità di risorgenza dell’altra parte, prenderebbero a bersaglio le città e i centri economici più importanti del nemico, utilizzando testate strategiche di potenza proporzionata al numero della popolazione.

Il passaggio dal livello tattico a quello strategico potrebbe spingere le due potenze nucleari a spostare in luoghi sicuri i rispettivi vertici politico-militari. Nel caso degli Stati Uniti, ad esempio, verrebbero attivate le capacità di survivable, reliable and endurable airborne NC3 (Nuclear Command, Control, and Communications), assicurando la continuità della catena di comando in caso di guerra nucleare. Il trasferimento dei comandi è garantito (in particolare) da due velivoli. Il primo di questi è il Boeing 747-200B Vc-25A (più comunemente noto come Air Force One), destinato al Presidente degli Stati Uniti e assegnato all’Air Mobility Command’s 89th dell’USAF (United States Air Force), con base nel Maryland; si tratta di un velivolo in grado di essere rifornito in volo e dotato di sistemi di sicurezza e difesa classificati, comprese misure per proteggere l’elettronica di bordo dagli impulsi elettromagnetici di un’esplosione nucleare. Il secondo è uno dei Boeing E-6B Mercury in dotazione alla US Navy, avente il compito di accogliere il Presidente, il Segretario alla Difesa e personale militare dello USSTRATCOMM (United States Strategic Command). Nel giugno 2022 un E-6B Mercury è stato dispiegato in Europa, esattamente nella base RAF (Royal Air Force) di Mildenhall nel Suffolk (Regno Unito).

Benché tali simulazioni prevedano lo scenario peggiore, nella realtà tra i vertici militari di Stati Uniti e NATO è recentemente emersa la questione della prevenzione di una scalata non-convenzionale nell’attuale crisi europea. L’8 aprile scorso, infatti, il SACEUR (Supreme Allied Commander in Europe) dell’Alleanza Atlantica e responsabile dell’USEUCOM (United States European Command), generale Christopher G. Cavoli (che tra i suoi passati incarichi ha ricoperto anche quello di Director for Russia per il Joint Staff), nel suo discorso tenuto alla Georgetown University di Washington all’interno della conferenza NATO at 75: Charting a New Corse, organizzata in occasione del 75esimo anniversario dalla nascita dell’Alleanza Atlantica, ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero riattivare quelle linee di comunicazione con Mosca che durante la Guerra Fredda avevano aiutato entrambe le superpotenze a evitare il pericolo di un conflitto nucleare.

[1] “Perché mandare truppe a Kyiv non alimenta l’escalation nucleare e può aiutare la pace”, Il Foglio, 23 marzo 2024, di Andrea e Mauro Gilli, pag. 4.

[2] https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_37750.htm.

[3] https://www.atomicarchive.com/history/cold-war/page-12.html.

[4] https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_27433.htm.

[5] https://sgs.princeton.edu/the-lab/plan-a.

Roberto Motta Sosa
RobertoMottaSosa

Iscriviti alla newsletter di StrumentiPolitici