Il delirio bonapartista di Macron: LFI chiede l’impeachment e prepara le barricate
Dopo la vittoria della coalizione delle sinistre, Macron, temendo l’impasse parlamentare, esclude un primo ministro del Nuovo Fronte Popolare (NFP). La France insoumise (LFI) insorge e annuncia che presenterà una mozione di impeachment contro il capo di Stato. Ma l’articolo 68 della Costituzione è una procedura molto complessa. Appello ai francesi per scendere in piazza il 7 settembre contro il “colpo di mano” presidenziale.
(Parigi). Emmanuel Macron continua a giocare col fuoco malmenando le istituzioni e la democrazia francese. Il presidente della Repubblica francese si è rifiutato di nominare un primo ministro proveniente dalla coalizione della sinistre unite che ha vinto le elezioni legislative di luglio. Elezioni, occorre ricordare, organizzate in fretta e furia dal presidente stesso in risposta alla débacle elettorale delle europee.
Lo stratagemma
Nel tentativo di mascherare la disfatta e di risollevare le sorti del suo partito, Macron ha organizzato delle elezioni lampo puntando sull’impreparazione della destra e sulle note divisioni della sinistra ma alla fine ha dovuto incassare l’ennesima sconfitta elettorale (pur riuscendo a riemergere dalle melme delle europee).
L’idea iniziale era quella di formare un grande centro attirando i moderati delle coalizioni di destra e sinistra, spigendo ai margini le fazioni che considera più estreme: il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen a destra e La France Insoumise (LFI) a sinistra. Lo stratagemma non ha funzionato e si è ritrovato con LFI alle soglie del potere, ovvero uno dei partiti che ha cercato in tutti i modi di disinnescare con discorsi velenosi e spesso violenti.
Giochi pericolosi
Ora però il suo gioco si fa più pericoloso ed irresponsabile perché un vincitore delle elezioni c’è ed ha tutta la legittimità ad esprimere un primo ministro per governare. La coalizione delle sinistre aveva proposto come primo ministro Lucie Castets, una vera outsider della politica, un’alta funzionaria della società civile, attualmente direttrice degli affari finanziari del Comune di Parigi.
Si tratta di un profilo totalmente a sorpresa, che Le Monde non ha lesinato a definire “sconcertante” per la sua estraneità alla politica ma che è riuscita a mettere d’accordo tutte le anime della coalizione, in piena ebollizione per riuscire a trovare il nome giusto.
Lucie Castets dunque, un profilo istituzionale, distinto, tutt’altro che politicizzato ma nonostante ciò il rifiuto del presidente è stato netto. “Tenendo conto delle opinioni dei leader politici consultati, la stabilità istituzionale del nostro Paese impone di non scegliere questa opzione“, ha dichiarato al termine delle numerose consultazioni condotte sin dalla settimana scorsa.
Addio alla neutralità presidenziale
Con questa decisione Emmanuel Macron abbandona completamente il terreno della neutralità che ha contraddistinto, pur con accenti diversi, i presidenti francesi che si sono susseguiti nella storia recente francese, dimostrando di continuare ad agire da scaltro leader politico, accantonando platealmente il suo ruolo super partes, trasformando la stessa carica presidenziale in uno scranno personale da cui portare avanti le sue battaglie politiche pur di mantenersi al potere.
Questo nuovo ruolo che si è ritagliato sin dal suo primo mandato, infarcito di bonapartismo, gli ha permesso di usare la forza schiacciando le contestazioni dei Gilets gialli (oltre 600 atti di violenza poliziesca illegittima repertoriati, oltre 2.000 condanne, migliaia il numero di feriti gravi, di arresti arbitrari, di accuse di sospensione dello stato di diritto), ha scavalcato il Parlamento facendo passare con un escamotage giuridico una contestatissima riforma delle pensioni senza la maggioranza del parlamento e negli ultimi tempi ha giostrato la scena politica a proprio piacimento, manipolando politicamente il voto dei cittadini.
La carta del ‘partito di guerra’
Il macronismo, un misto di neoliberismo rampante e di potere fluido di interessi sovranazionali e globali, con l’avvento dei gilet gialli, il ritorno delle lotte sindacali e la piaga del covid sembrava sul viale del tramonto. Ma la guerra, con il suo “effetto bandiera” che ha trasformato il presidente in capo militare che cerca una via d’uscita alla guerra scatenata da Putin, ha fatto risalire nel tempo le quotazioni del partito presidenziale per poi farle ridiscendere tempestivamente di nuovo alle ultime europee dopo l’uragano RN.
Ma il presidente è pur sempre sempre in sella come Napoleone nel famoso ritratto di Jacques-Louis David nonostante il suo cavallo bianco (la Francia) sia sempre più imbizzarrito. Questo la dice lunga sul dilemma della Francia, che per evitare di finire nelle mani del “drone di Putin” (come Charlie Hebdo ha sarcasticamente soprannominato Marine Le Pen) si è affidata per ben due volte ad un presidente che spesso ha guardato più agli interessi privati che a quelli pubblici.
L’affare McKinsley
Un esempio ne è l’affare McKinsley: l’uso delle consulenze private da parte dei ministeri durante i cinque anni del primo mandato di Emmanuel Macron, i conti offshore in cui il presidente ha ricevuto prebende e premi lontano dagli occhi indiscreti delle autorità finanziarie francesi, affari insabbiati politicamente e mediaticamente.
E il fatto che queste consulenze McKinsey in Francia – che hanno fruttato un fatturato di 329 milioni di euro nel 2020, di cui circa il 5% nel settore pubblico – non abbiano mai pagato tasse per almeno 10 anni è solo un dettaglio ininfluente. Nell’arena politica animata da forze spesso estreme e violente Macron assurge sempre a presidente moderato, un presidente piromane che spegne gli incendi dai lui stesso creati.
Analisi a confronto
Come abbiamo già spiegato, diversi psicologi e psichiatri si sono cimentati in sperticate analisi del comportamento presidenziale e le diagnosi sono poco lusinghiere: narcisismo patologico, megalomania, bonapartismo, distaccamento dalla realtà.
Al di là però dei suoi bruschi rilievi psicologici, c’è il fatto che da oramai un decennio Macron domina la scena francese agitando lo spauracchio degli estremismi e assumendo il ruolo di traghettatore e di moderatore della vita politica francese. Una carta che continua a giocare tutt’oggi, rifiutando un primo ministro di sinistra. Si legge nel comunicato stampa emesso dalla presidenza francese:
Il Presidente della Repubblica ha notato che un governo basato esclusivamente sul programma e sui partiti proposti dall’alleanza con il maggior numero di deputati, il NFP, sarebbe immediatamente censurato da tutti gli altri gruppi rappresentati nell’Assemblea Nazionale. Un governo di questo tipo avrebbe quindi immediatamente una maggioranza di oltre 350 deputati contro, impedendogli di fatto di agire.
Dichiarazioni immediatamente criticate con veemenza dalla sinistra. “Si tratta di una presa di potere antidemocratica assolutamente inaccettabile, basata su argomentazioni che non hanno alcun senso”, ha tuonato Manuel Bompard, coordinatore di La France insoumise.
La Costituzione francese
La domanda che sorge spontanea è la seguente: Emmanuel Macron può legittimamente opporsi alla nomina di un primo ministro perché ritiene che il governo del primo ministro proposto da LFI verrebbe rapidamente rovesciato? In realtà, la Costituzione francese non prevede nulla che gli impedisca di fare questa scelta.
“Il Presidente della Repubblica garantisce il rispetto della Costituzione. Con il suo arbitrato, assicura il regolare funzionamento dei poteri pubblici e la continuità dello Stato”, recita l’articolo 5. Come ha dichiarato a France Info Arthur Braun, docente di diritto pubblico, “le prerogative del Capo dello Stato possono essere collegate alla continuità dello Stato”, e dunque in questo contesto puo’ operare per evitare il blocco parlamentare.
Basti immaginare cosa accadrebbe ad ogni progetto di legge o di riforma presentato dalla sinistra con il fuoco incrociato dell’estrema destra, dei macronisti e dei centristi fedeli a Macron. Non si avanzerebbe di un millimetro e alla minima difficoltà ci sarebbe un blocco, una sfiducia parlamentare. Ma non è forse questa la forza della democrazia? Il compromesso, il dialogo, lo scambio?
Lo schiaffo della mozione di Impeachment
Di fronte a questa presa di posizione chiaramente antidemocratica ed irrispettosa del voto dei cittadini la reazione del NFP è stata immediata: in una dichiarazione pubblicata su X lunedì 26 agosto, La France insoumise (LFI) ha annunciato l’intenzione di presentare, tramite i suoi deputati, una mozione di impeachment contro Emmanuel Macron all’ufficio di presidenza dell’Assemblea Nazionale.
Una mossa certo disperata, perché fior di costituzionalisti spiegano che non ha praticamente alcuna possibilità di successo, data la natura restrittiva della procedura di impeachment, disciplinata dall’articolo 68 della Costituzione francese. Solo il Parlamento infatti può mettere in stato di accusa il Presidente e solo se la mozione di impeachment è motivata e firmata da almeno un decimo dei membri della camera da cui proviene (Assemblea Nazionale o Senato).
Numeri e argomentazioni giuridiche difficili
Con i suoi 72 deputati, il gruppo LFI può certo presentare da solo una proposta di impeachment. ma con quale successo? La richiesta deve essere convalidata dall’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea Nazionale, che si assicura che i criteri stabiliti dall’articolo 68 siano soddisfatti.
Per essere sottoposto a impeachment, il Presidente della Repubblica deve essere responsabile di un “inadempienza manifestamente incompatibile con l’esercizio del suo mandato“. Per “inadempienza” si intende “il comportamento politico e privato del Presidente, sempre che le sue azioni abbiano minato la dignità della sua carica“.
Secondo diversi costituzionalisti, il concetto di “inadempienza” è volutamente vago e, come spesso accade nella Costituzione, aperto all’interpretazione. Cioè può riguardare il comportamento politico del Presidente, ma anche questioni private se gli atti in questione minano la carica.
L’idea d’impeachment, nella revisione costituzionale del 2007, è stata pensata in caso di abuso di potere da parte del Capo dello Stato. Gli Insoumis ritengono che sia questo il caso, ma lo è realmente se il presidente sostiene di escludere un primo ministro proveniente dalla coalizione di sinistra per evitare che il governo venga prontamente rovesciato?
Il processo articolato di Impeachment
La procedura di impeachment poi prevede diverse fasi. Se approvata da una maggioranza di due terzi dell’Assemblea Nazionale, la mozione viene trasmessa all’altra camera, il Senato, che deve a sua volta approvarla con una maggioranza di due terzi. Se entrambe le camere adottano la mozione di impeachment, il Parlamento convoca una sessione straordinaria dell’Alta Corte.
L’impeachment viene dichiarato entro un mese se la mozione viene approvata da una maggioranza di due terzi dei membri dell’Alta Corte. Insomma, aritmeticamente è un’operazione quasi impossibile. A peggiorare le cose poi sono gli alleati di LFI, i socialisti, per i quali la proposta di impeachment “impegna solo il movimento Insoumis”, come ha dichiarato Olivier Faure segretario del Partito Socialista, su X, dove ha fatto sapere che il suo gruppo non avrebbe aderito alla proposta ritenendo la procedura “impraticabile“.
I precedenti
A differenza poi di una procedura all’americana, in Francia, dalla revisione costituzionale del 2007, che stabilisce le condizioni per la destituzione di un presidente in carica, l’impeachement è stato proposto solo una volta. Fu richiesto ai danni di François Hollande, nel 2016, in quanto il presidente all’epoca aveva affidato ai giornalisti le cosiddette informazioni di “difesa segreta”, rivelate nel famoso libro Un président ne devrait pas dire ça.
I deputati di destra avevano tentato di invocare l’articolo 68. Ma l’iniziativa non aveva nemmeno superato l’ufficio di presidenza dell’Assemblea Nazionale. La situazione sembra quindi essere segnata, con i tre blocchi politici principali che non intendono fare concessioni l’uno all’altro. Senza un compromesso quindi, il prossimo governo dovrà affrontare una mozione di sfiducia da parte di tutte le altre forze, il fuoco incrociato di un tutti contro tutti.
“La Costituzione consente a Emmanuel Macron di avere il controllo della situazione, ma si troverebbe in una configurazione che ricorda la Quarta Repubblica”, con una grande instabilità di governo, ha riassunto l’esperta di diritto francese Jennifer Halter. Dal canto suo Emmanuel Macron continua tranquillamente il suo giro di consultazioni sapendo che volente o nolente, ed ancora una volta, sarà sempre lui l’arbitro degli eventi politici. Ma la Francia profonda, la Francia che ribolle e che ha inondato le strade durante la più grave crisi istituzionale degli ultimi decenni, si prepara di nuovo a scendere in piazza contro il colpo di mano, contro il presidente accentratore che ha svuotato di senso le istituzioni democratiche francesi lasciando oramai soltanto alle piazze il diritto di parola.
Giornalista professionista ed autore. Dopo la laurea in filosofia all’Università di Napoli ed un Master in filosofia alla Sorbona di Parigi lavora per l’agenzia nazionale ANSA, al desk di ANSAmed. Ha collaborato per ResetDoc e Gruppo Espresso. Da Parigi scrive per Strumenti Politici, Micromega, Linkiesta, Pagina99, The Post Internazionale, Atlantico, Valigia Blu, Focus On Africa, Imbavagliati.it, Articolo 21. Nel 2012 ha pubblicato un libro sulla censura in Turchia dal titolo « Sansür: Censura. Giornalismo in Turchia » (Bianca&Volta) che nel 2015 s’aggiudica un premio al Concorso Internazionale Giornalisti del Mediterraneo di Otranto. Nel 2016 per il suo libro « Medin. Trenta Storie del Mediterraneo » (Rogiosi), s’aggiudica il Premio di Letteratura Mediterranea Costa d’Amalfi Libri 2016. Dal 2016 coordina con la giornalista Désirée Klein il Festival Internazionale di Giornalismo Civile “Imbavagliati” al PAN di Napoli. Oggi lavora a Parigi presso l’agenzia stampa Kantar per conto della Commissione Europea, la NATO ed il ministero degli interni francese.