Sulla svendita delle risorse ucraine Zelensky tira la corda tra USA e UE
Zelensky non ha abbandonato l’idea di svendere le risorse minerarie del suo Paese. Possibilmente agli Stati Uniti, strappando condizioni meno umilianti possibili. E senza dimenticarsi dell’altra sua grande ambizione, far assorbire l’Ucraina dalla UE.
La delegazione ucraina va negli States
L’idea di “condividere” le risorse minerarie nazionali con gli Stati Uniti era stata lanciata dallo stesso Zelensky lo scorso autunno. Si trattava di uno dei punto del suo “piano per la vittoria” che aveva presentato prima delle presidenziali americani ai due candidati, ma che non aveva ricevuto l’interesse sperato. Quando il consenso reciproco sembrava vicino, gli animi accesi del vertice pubblico alla Casa Bianca hanno fatto saltare tutto. Ma si è trattato solo di una pausa. Negli ultimi giorni infatti una delegazione ucraina si è recata a Washington per un nuovo giro di colloqui esplorativi. D’altra parte, nonostante la delusione e la rabbia verso l’amministrazione Trump, il governo di Kiev ha sempre tenuto aperta la porta. Sta provando però a fissare le sue condizioni minime, quella di un’equa ripartizione dei benefici e delle garanzie di sicurezza che l’Occidente deve dare, come specificato di recente dallo stesso Zelensky.
Un’intesa non scontata
Se il piano della vittoria non aveva entusiasmato Trump, una volta riconquistata la Casa Bianca la sua squadra è tornata sul punto relativo ai minerali per elaborarlo in un modo più rispondente agli interessi di Washington. E invece lo scopo di Zelensky era ed è ancora prima dare ossigeno vitale alla moribonda economia ucraina e poi ancorarla alle esigenze dei Paesi occidentali, legando a sua volta questi ultimi alle necessità del suo governo e dello Stato. Spera di diventarne il fornitore insostituibile di materie prime, ottenendo così supporto finanziario e materiale e naturalmente quello difensivo. Ma la cifra di un miliardo di dollari – il valore complessivo dell’export minerario ucraino – è troppo ghiotta per essere ceduta con facilità e rapidità, nonostante le urgenze impellenti di un’Ucraina sull’orlo della bancarotta. Per questo motivo ha sprezzantemente rifiutato la versione dell’accordo propostagli dagli USA a inizio febbraio.
Minerali rari o difficili da sfruttare
Interessante notare quello che tutti chiamano “l’accordo sulle terre rare” riguarda quelle materie così preziosi solo in via teorica. Infatti da un lato, per sfruttare efficacemente occorrono tecnologie di cui gli ucraini non dispongono e che possono messe a disposizione solo dagli americani. Per Zelensky il contratto dovrebbe garantire la modernizzazione dell’economia nazionale – meglio ancora la ricostruzione del Paese – con la creazione di posti di lavoro in imprese ad alta tecnologia e soprattutto a capitale statunitense. Dunque, gli USA ci mettono soldi e know how e l’Ucraina impegna terra e risorse. Tuttavia, la gran parte dei giacimenti in questione, compresi quelli degli elementi meno rari, ma altrettanto appetibili come il carbone, i metalli ferrosi e il gas, si trovano nelle zone incorporate dalla Federazione Russa. Gli esperti affermano che solamente litio e titano, che non sono terre rare, hanno un qualche valore effettivo nel contesto dell’accordo.
Il precontratto
Così, al primo giro Zelensky aveva detto seccamente “no”, riferendo il suo fastidio verso l’atteggiamento insistente del Segretario del Tesoro americano Scott Bessent, il quale cercava di fargli velocemente un precontratto senza cincischiare troppo sui dettagli. Il presidente ucraino (il cui mandato è scaduto da un anno) era quasi sdegnato dal fatto che alcuni articoli del patto non fossero conformi alla legislazione ucraina. Ma Trump non è tipo da mollare facilmente. Ed è uno che se la lega al dito. Dopo la piazzata di Zelensky alla Casa Bianca il 28 febbraio, ha quindi deciso di rendere se possibile ancora più ampi e pesanti i termini dell’accordo. E mancano ancora quei termini di sicurezza che Zelensky vorrebbe nero su bianco e che sono assolutamente fondamentali per lui. Ma Washington non sembra volerli includere proprio perché il fatto stesso di una tale intesa economica rappresenterebbe secondo gli americani una garanzia per Kiev.
Le linee rosse di Kiev
Al momento gli USA vogliono la metà delle entrate derivanti dallo sfruttamento di tutte quante le riserve del sottosuolo. Tutte, mica solo le fantomatiche terre rare, ma pure i più semplici e immediati gas e petrolio. E già che ci siamo, pure il 50% delle entrate dalle relative infrastrutture come i porti e i terminal. Esattamente come all’inizio della tormentata vicenda, Trump vuole che l’Ucraina ripaghi gli USA dei miliardi gentilmente e generosamente concessi da Biden a partire dal 2022. Ma ci sono “chiare linee rosse” che il governo di Kiev non è disposto a lasciar attraversare, come dichiarato dal premier Denys Shmyhal, a Bruxelles per partecipare alla riunione del Consiglio di associazione UE-Ucraina. Due di questi limiti invalicabili, dice, sono la Costituzione ucraina e l’integrazione europea del Paese, che richiede il rispetto di determinati impegni dai quali non si può derogare nemmeno col benestare di Washington.
Della sicurezza ucraina si occuperà l’Europa?
Per Smyhal, dunque, nessun accordo sui minerali con gli USA può danneggiare le aspirazioni del Paese a unirsi all’Unione Europea. Il concetto lo ribadisce pure il ministro degli Esteri Andrii Sybiha, per il quale tale contratto dev’essere reciprocamente conveniente e soprattutto non deve mettere a rischio l’adesione ucraina alla UE. D’altronde, se Zelensky vuol sfruttare l’accordo in chiave di deterrenza antirussa, e considerato che gli USA si stanno clamorosamente defilando da questo compito, non rimane che l’Europa a cui affidare il ruolo di guardia armata contro le presunte brame di Mosca. E a quanto sembra Bruxelles, Parigi, Londra e Berlino sono ben lieti di mettersi a disposizione. Persino senza avere – almeno apparentemente – nulla in cambio, se non l’onore di difendere i “valori europei”. Tanto il prezzo lo stanno facendo già pagare ai semplici cittadini, sia europei che ucraini.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.