I mandati di arresto nei confronti di Vladimir Putin e di Maria Lvova-Belova: la montagna ha partorito il topolino?
Il mese scorso, la Corte penale internazionale ha annunciato i mandati di arresto per il Presidente russo Vladimir Putin e per il commissario per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova. Entrambi sono accusati di essere i diretti responsabili di crimini di guerra, in particolare della deportazione e del trasferimento illegale di bambini dal territorio occupato dell’Ucraina alla Russia. Al Presidente Putin viene altresì mossa l’accusa, in qualità di comandante superiore, di non aver esercitato un controllo adeguato sui subordinati civili e militari che hanno commesso dei crimini.
Questo il quadro dell’impianto accusatorio al quale la comunità internazionale ha rivolto una larga approvazione, senza prendere sul serio l’impatto che questo “mandato” avrebbe avuto sulle trattative diplomatiche fra Russia e Ucraina, né fra Russia e i Paesi che questa appoggiano politicamente e militarmente.
Le questioni giuridiche che si agitano sull’importante fenomeno sono di vario tipo, tali da far dubitare della concreta validità dei mandati di arresto emessi dalla CPI.
Un primo motivo di perplessità deriva dal fatto che, pur avendo la Camera preliminare II ritenuto, sulla base delle istanze dell’accusa del 22 febbraio 2023, che vi fossero ragioni sufficienti per prospettare un’accusa per i crimini enunciati, che i mandati di arresto dovessero rimanere segreti al fine di proteggere vittime e testimoni, nonchè per salvaguardare le indagini. È, tuttavia, prevalso un diverso orientamento teso a rendere pubblico il mandato ritenendo che ciò avrebbe potuto contribuire a frenare la commissione di ulteriori reati. Da una lettura più attenta dei mandati di arresto ci si accorge di essere in presenza di un mandato provvisorio teso più che altro a proteggere i potenziali testimoni e le vittime che probabilmente testimonierebbero qualora il processo si celebrasse. Si è deciso di non pubblicare i mandati in sé, ma di annunciare quali sono i reati contestati e a chi sono contestati: non si sa ancora quali siano le prove specifiche sulle quali il pubblico ministero fondi l’accusa.
I mandati contro Putin e Lvova-Belova, inoltre, sono i primi ad essere stati emessi durante l’indagine della Corte penale internazionale (CPI) sulla situazione in Ucraina, iniziata ufficialmente nel marzo 2022, poco dopo l’invasione su larga scala da parte della Russia. Sebbene né la Russia né l’Ucraina siano Stati facenti parte della CPI, la Corte ha giurisdizione sulle persone sospettate di aver commesso genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sul territorio dell’Ucraina dal novembre 2013, in base alle dichiarazioni ad hoc presentate dall’Ucraina nel 2014 e nel 2015.
Oltre ai 123 Stati firmatari dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998, anche l’Ucraina si è obbligata a cooperare nell’esecuzione dei mandati di arresto pendenti, a seguito della legge sulla cooperazione tra Ucraina e CPI, adottata dal parlamento il 3 maggio 2022, in vigore dal 20 maggio 2022.
Da un punto di vista mediatico l’effetto è straripante. Questi mandati della Corte penale internazionale non sono i primi contro cittadini russi (due dei tre sospetti nominati l’estate scorsa in relazione al conflitto del 2008 in Georgia sono cittadini russi), ma l’emissione di un mandato di arresto internazionale e di accuse di crimini di guerra contro il leader di uno dei più grandi Paesi del mondo e membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite segnano un momento davvero storico per la giustizia penale internazionale.
E ciò non fa altro che accrescere il sospetto di essere in presenza di un avvenimento più propagandistico che giuridico, anche perché gli scenari che si profilano sono ben diversi da quelli riportati dalla stampa.
Una seconda serie di osservazioni può, conseguentemente, formularsi in relazione alla giurisdizione della Corte penale internazionale: essa ha una portata molto limitata in relazione al crimine di aggressione (cioè l’invasione stessa), a causa del regime giurisdizionale speciale che lo disciplina e ciò porta a discutere sull’istituzione di un tribunale internazionale speciale per perseguire la leadership della Russia in relazione alla guerra di aggressione.
Ancora. Il crimine di aggressione è un crimine di leadership: può essere commesso solo da decisori politici e militari. È, questa, una cerchia molto ristretta di persone, i leader dello Stato che, secondo il diritto internazionale godono dell’immunità personale all’esercizio dell’azione penale in un altro Stato.
Un eventuale tribunale “speciale” dovrà affrontare tale problema, dal momento che non sarà creato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (perché la Russia farà valere il diritto di veto), il quale è però l’unico organismo ad avere l’autorità di prendere decisioni vincolanti per tutti gli Stati.
È possibile altresì osservare come l’Ucraina sia obbligata, ai sensi di diritto internazionale, a perseguire tutti i principali crimini presumibilmente commessi sul suo territorio, compresi quelli dei suoi cittadini e dei combattenti stranieri al suo servizio. Se si scopre che le indagini ucraine si concentrano esclusivamente su possibili atti e autori russi, allora non solo l’Ucraina ma anche l’Occidente avrà un enorme problema di credibilità. Inoltre, se i combattenti ucraini commettono crimini di guerra o altri crimini internazionali usando armi occidentali, ciò non può essere passare inosservato, potendosi giungere ad affermare (non solo provocatoriamente) la responsabilità, ai sensi del diritto internazionale, di coloro che hanno agevolato, mediante il supporto logistico, la realizzazione di detti crimini
Ma cos’è la Corte penale internazionale?
La Corte penale internazionale è un organo giudicante internazionale permanente con giurisdizione penale su individui responsabili di crimini internazionali: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione. La Corte è stata istituita nel 1998 dopo l’adozione dello Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Corte, ed è entrata in funzione nel luglio 2002.
Dal punto di vista del diritto internazionale, la CPI è un’organizzazione internazionale intergovernativa. Come altre organizzazioni internazionali, deve fare affidamento sulla cooperazione degli Stati parte e sulla rara fortuna dell’assistenza volontaria di Stati non parte o “terzi”. Inoltre, la giurisdizione della CPI è limitata ai crimini commessi sul territorio degli Stati contraenti o da cittadini di tali Stati. La Corte può andare oltre nei casi in cui una situazione venga deferita dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o da una dichiarazione unilaterale di uno Stato che riconosce la giurisdizione della Corte. L’Ucraina ha utilizzato quest’ultima opzione quando ha presentato le sue dichiarazioni ad hoc.
La Corte penale internazionale è complementare alle giurisdizioni nazionali: può procedere solo se lo Stato competente non è in grado di indagare o perseguire il reato. I tribunali nazionali hanno quindi la priorità, ma solo se funzionano “correttamente”, non mettendo in moto meccanismi in grado di “coprire” eventuali responsabili.
Durante le indagini, la CPI deve esaminare il comportamento di tutte le parti in conflitto. I capi di Stato e altri funzionari statali di alto livello sono obiettivi prioritari naturali per le indagini della CPI. Secondo lo Statuto di Roma, la posizione ufficiale dell’imputato e le immunità non lo proteggono dalla responsabilità penale.
Tuttavia, la CPI non è riuscita a perseguire funzionari statali di alto livello; finora, tutte le persone condannate dalla CPI erano comandanti di ribelli di livello medio-altro di Stati africani. L’unico capo di Stato in carica processato è stato il presidente keniota, Uhuru Kenyatta, condotto davanti alla Corte prima di essere eletto presidente, nel qual caso il procuratore ha ritirato le accuse di crimini contro l’umanità per insufficienza di prove. L’ex presidente ivoriano, Lorain Gbagbo, è stato assolto da tutte le accuse. Nel frattempo, i mandati di arresto dei capi di Stato Muammar Gheddafi della Libia e Omar al-Bashir del Sudan non sono mai stati eseguiti. Pertanto, nessun capo di Stato in carica è stato arrestato e consegnato alla CPI.
La Russia e la CPI
La Russia, come già detto, non è uno Stato parte dello statuto della CPI e non è mai stata vicina all’adesione alla Corte anche se, fino al 2016, non si era mai espressa in senso contrarioI rappresentanti russi hanno partecipato alla stesura e all’adozione dello Statuto di Roma nel 1998 e la Russia ha firmato lo Statuto nel 2000, anche se non lo ha mai ratificato per diventare uno Stato membro. In realtà, la sua posizione ufficiale nei confronti della CPI in quegli anni è stata probabilmente più amichevole di quella degli Stati Uniti. In seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Russia ha votato a favore del deferimento alla CPI delle situazioni del Darfur e della Libia, collaborando con la CPI nelle indagini sulla Georgia, con delegazioni dell’Ufficio del Procuratore della CPI che si sono recate a Mosca diverse volte durante l’esame preliminare nel periodo 2008-2016. Tuttavia, dopo il rapporto del 2016 dell’OTP, secondo cui il conflitto in Ucraina equivale a un conflitto armato tra Ucraina e Russia, Mosca ha dichiarato ufficialmente di non voler diventare “parte” del trattato istitutivo.
In base alla sua attuale politica di “non riconoscimento”, la Russia avanza la stessa obiezione alla CPI che hanno mosso prima di lei gli Stati Uniti e Israele: la Corte non ha la giurisdizione per processare cittadini di Paesi terzi, in quanto tali Stati non hanno acconsentito alla sua giurisdizione. Questa argomentazione è giuridicamente infondata, in quanto confonde gli obblighi internazionali degli Stati di cooperare con la CPI e la giurisdizione penale degli Stati, che possono delegare individualmente o collettivamente a un tribunale internazionale. Così, l’Ucraina ha delegato al tribunale la giurisdizione territoriale, per la quale la nazionalità del colpevole è irrilevante. La stessa logica si applica alle indagini sui crimini presumibilmente commessi da cittadini statunitensi sul territorio dell’Afghanistan, uno Stato parte della CPI.
I mandati d’arresto e la loro esecuzione
Il mandato d’arresto non scade, a meno che non venga richiamato dal tribunale, e le limitazioni legali non si applicano ai crimini della CPI. Con il passare del tempo, il mandato può essere ritirato dai giudici e sostituito dalla richiesta di comparizione, oppure può terminare a seguito della declaratoria di inammissibilità del caso davanti al tribunale o per la morte dell’indagato.
La CPI non può processare in contumacia: per iniziare il processo gli imputati devono essere arrestati e consegnati alla Corte. La Corte non ha poteri di polizia propri e l’esecuzione del mandato d’arresto spetta agli Stati. Formalmente, 124 Stati (123 parti dello Statuto di Roma e l’Ucraina che ha accettato ad hoc la giurisdizione della Corte) sono obbligati a eseguire i mandati di arresto per Putin e Lvova-Belova. La Corte può anche inviare richieste di arresto e consegna a Stati terzi, ma questi non hanno l’obbligo legale di arrestare i sospetti e portarli in tribunale.
Gli obblighi degli Stati-parte nei confronti del tribunale, compresa l’esecuzione del mandato d’arresto, non dipendono dalle disposizioni di legge nazionali. La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che regola lo statuto della Corte penale internazionale, afferma che le disposizioni di diritto interno (o la loro mancanza) non giustificano il mancato adempimento degli obblighi internazionali dello Stato. Secondo la giurisprudenza della Corte penale internazionale, il mancato rispetto della richiesta di arresto e consegna da parte della Corte rappresenta una violazione degli obblighi degli Stati previsti dallo statuto. La Corte, tuttavia, non dispone di un meccanismo di esecuzione.
Nel caso di Putin il vero problema, come detto, è la sua immunità come capo di Stato ad interim. Tale immunità esiste per la durata del mandato di una persona e preclude qualsiasi azione coercitiva da parte di un altro Stato. L’immunità si basa sul principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati. Un processo in uno Stato contro i leader di un altro Stato significa di fatto che uno Stato giudica un altro Stato, il che è contrario al diritto internazionale. Poiché i tribunali penali internazionali non sono organi di alcuno Stato, la situazione è diversa e l’immunità non è un ostacolo all’azione penale, come espressamente affermato nell’articolo 27 dello Statuto di Roma. Inoltre, la Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudiziario dell’ONU, ha riconosciuto che l’immunità potrebbe non ostacolare il processo davanti a “certi tribunali penali internazionali, quando essi esercitano la funzione giurisdizionale”.
Se, da un lato, è chiaro che all’Aia Putin non può essere protetto dall’immunità, dall’altro il suo effettivo arresto da parte di Stati diversi dalla Russia potrebbe essere visto come una trappola per gli Stati in un conflitto di obblighi: nei confronti della CPI (consegnare un sospetto alla corte) e nei confronti della Russia (rispettare l’immunità del capo di Stato). Lo statuto della CPI, all’articolo 98, riconosce la possibilità di un tale conflitto, stabilendo che la CPI “non può procedere con una richiesta di consegna che comporti, per lo Stato richiesto, di agire in contrasto con i suoi obblighi derivanti da accordi internazionali”. Gli Stati Uniti hanno fatto riferimento a questa clausola, avendo concluso accordi bilaterali con 93 Stati, sia parti che non parti dello Statuto di Roma, che vietano la consegna di cittadini statunitensi alla CPI. Sebbene tali accordi non siano in linea con il diritto internazionale in generale o con lo stesso Statuto di Roma, l’Armenia ha annunciato di recente che prenderà in considerazione la possibilità di stipulare un accordo di questo tipo con la Russia nel caso in cui Yerevan ratifichi lo Statuto di Roma.
Nel caso di al-Bashir in Sudan, la Corte penale internazionale ha sostenuto che la non applicazione delle immunità in una situazione di cooperazione degli Stati con la Corte è una norma di diritto internazionale consuetudinario, che renderebbe l’articolo 98 inapplicabile al caso di Putin. Questa sentenza non ha riscontrato molti favori. C’è anche una differenza degna di nota tra i casi di al-Bashir e Putin: la situazione in Darfur è stata deferita alla CPI dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e i suoi poteri hanno svolto un ruolo significativo nelle discussioni sul mandato di al-Bashir, cosa che non è avvenuta nel caso di Putin e della Russia.
Ci sono altresì diversità di vedute sulle possibilità legali e politiche di arrestare Putin durante le sue visite all’estero. Diversi Stati, prima fra tutti la Germania, hanno annunciato che se i sospetti si presenteranno sul loro territorio saranno arrestati.
I piani di viaggio di Putin non sono ancora stati rivelati e non è certo che viaggerà molto al di fuori della Russia. Nel 2023 i vertici della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e del G20 si terranno tutti in Paesi non appartenenti alla CSI, come il Kirghizistan e l’India. Non è peregrina l’idea che la visita in uno Stato che è sia parte della CPI che alleato della Russia, come il Tagikistan, venga utilizzata proprio per dimostrare che la CPI è impotente.
Tra i membri delle organizzazioni regionali a cui partecipa il Cremlino ci sono solo pochi Stati aderenti alla CPI. Il Tagikistan e la Moldavia sono membri della CSI, ma l’appartenenza di quest’ultima è una pura formalità, poiché i leader moldavi non partecipano alle riunioni della CSI. Un altro membro della CSI, l’Armenia, sta valutando seriamente la possibilità di aderire alla Corte penale internazionale e ha già ricevuto un rimprovero da Mosca. Il Tagikistan è l’unico Stato membro della CPI tra i membri a pieno titolo della SCO. Brasile e Sudafrica sono entrambi Stati membri della CPI e membri dei BRICS.
L’unico banco di prova noto per il mandato di Putin nel 2023 sarebbe il vertice dei BRICS a Durban, in Sudafrica, dove Putin è stato invitato dai padroni di casa (il Cremlino non ha confermato che Putin parteciperà di persona al vertice). Il Sudafrica starebbe tenendo “consultazioni” sulla visita di Putin, consapevole della sua posizione scomoda di fronte ai tribunali che hanno dichiarato l’obbligo per lo Stato di applicare le sentenze della Corte penale internazionale, compreso l’arresto dei capi di Stato. Il vertice di Durban coinvolgerebbe anche il Brasile, un altro Stato parte della CPI, in trattative personali con un sospettato della CPI.
Molto probabilmente, Putin non si recherà nei Paesi aderenti allo Statuto di Roma anche se i rischi di un arresto effettivo fossero minimi. L’interesse per l’arresto della Lvova-Belova è decisamente minore, ma probabilmente i suoi spostamenti saranno ancora più limitati. I mandati d’arresto potrebbero creare problemi anche ai potenziali sostituti di Putin a questi vertici, come il Primo Ministro Mikhail Mishustin o il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov.
Il significato del mandato d’arresto
Resta da vedere se Putin, Lvova-Belova o entrambi i sospettati finiranno un giorno all’Aia. Oggi questo scenario appare estremamente improbabile. Tuttavia, bisogna considerare l’importanza del messaggio inviato dal tribunale. È un passo coraggioso nella giusta direzione. È un messaggio forte e un richiamo alla responsabilità.
Questo messaggio è importante per gli ucraini, le principali vittime dei crimini del regime di Putin. Il mandato riconosce il loro ruolo di vittime e promette loro un protagonismo processuale nel prossimo futuro oltre a costituire, nonostante lo scetticismo, un deterrente per futuri crimini di natura simile.
I mandati, infine, sono un messaggio per la Russia. La designazione internazionale di Putin come sospettato di crimini di guerra aumenta l’isolamento internazionale del Paese ma gli equilibri sono precari e dimentichi, forse, del grosso potenziale bellico e militare del colosso Russo in grado di protrarre il sanguinoso conflitto ad libitum, oltre a costituire un pericolo per i Paesi europei.
Forse il lavoro della diplomazia sarà lungo e faticoso ma è l’unica strada percorribile e il mandato di arresto non rappresenta un passo avanti in questo senso.
È Professore di Diritto penale presso l’Università del Piemonte Orientale. È autore di numerosi saggi in materia di diritto penale sostanziale, comparato e internazionale. Ha compiuto numerosi soggiorni di studio all’estero ed è stato visiting Professor presso l’Università di Lucerna (CH). Ha vinto prestigiose borse di studio fra cui la borsa di Ricerca della Fondazione Alexander von Humboldt presso l’Istituto Max-Planck per il diritto penale straniero e internazionale di Friburgo in Brisgovia.