I cinque desideri improbabili di Zelensky e la sua ennesima tournée europea

I cinque desideri improbabili di Zelensky e la sua ennesima tournée europea

12 Ottobre 2024 0

Il presidente ucraino Zelensky ha compiuto la sua ennesima tournée europea in cerca di armi e di soldi e del permesso di estendere ancora lo scontro con la Russia. È un persuasore bravo, ma non abbastanza: porta sempre a casa qualche miliardo di euro, ma per l’ingresso nella NATO e per l’uso dei missili a lungo raggio ottiene soltanto promesse.

Un altro giro d’Europa

Il viaggio lampo di Zelensky è stato motivato anche all’imminenza delle elezioni americane. Un cambio alla Casa Bianca è un’incognita che lo spinge a cercare di massimizzare gli aiuti e il più in fretta possibile. Così si è recato presso gli alleati e ha presentato le solite richieste materiali e strategiche. Poiché l’uragano Milton ha costretto Biden a restare in America, impedendogli di recarsi al previsto vertice alla base Ramstein in Germania, Zelensky ha deciso di andare personalmente a a Londra, Parigi, Roma e Berlino. Eppure sapeva che la reazione degli alleati al suo “piano per la vittoria” (presentato due settimane fa) era stata fredda e scettica. Anzi, cercano di fargli capire che ormai hanno un margine progressivamente ridotto per assecondare i suoi piani. Il giornale americano Politico ha assegnato a ciascuna delle richiesta della “lista dei desideri” un punteggio di probabilità di realizzazione.

Ingresso nella NATO

In testa all’elenco c’è l’accettazione nella NATO. Già l’ex ministro degli Esteri Kuleba si lamentava che gli alleati rimandassero sempre l’ingresso nell’Alleanza a un ignoto futuro. Ignoto, ma – badate bene – sicuro! Lo ha detto il nuovo segretario generale Mark Rutte nella sua prima conferenza congiunta col leader di un Paese membro, il presidente della Finlandia. Alla domanda se l’Ucraina possa aderire seppur parzialmente occupata e se sì, quando, Rutte ha risposto che il percorso verso la membership della NATO è irreversibile e che i russi non posso metterci il veto. Ma spegne gli entusiasmi: alla fine, ovviamente, spetta a noi 32 decidere esattamente quali saranno i prossimi passi e ovviamente tenere conto di ciò che accade in generale. Chiude dicendo di non voler fare speculazioni. Manca la timeline e c’è lo scetticismo di USA e Germania, dice Politico, che assegna a questo desiderio ucraino il voto più basso.

Coinvolgere i Paesi NATO nella protezione dei cieli ucraini

Se chiedere agli alleati di regalare altri sistemi di difesa aerea è un compito fattibile, dice Politico, convincerli a intercettare i missili russi direttamente dal loro territorio è una mission impossible. Infatti, forse con l’unica eccezione della Polonia, nessuno è disposto a rischiare lo scontro aperto con Mosca. Da Washington chiariscono che gli alleati “non sono ancora pronti” ad azioni del genere e che Biden si è impegnato a non mandare i soldati americani sul campo. Il 3 ottobre la vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh ha dichiarato che consentire ai polacchi o ai romeni di sparare con l’artiglieria direttamente dalle proprie basi sarebbe come il lasciarci coinvolgere in guerra in un modo diverso. Ha poi aggiunto che in questo momento l’Ucraina è in grado di difendersi efficacemente da sola contro gli attacchi aerei dei russi e che gli USA continueranno a sostenerla fornendo il necessario.

Sparare i missili dentro la Russia

Ed è altrettanto improbabile che Zelensky ottenga il via libera per colpire in profondità nel territorio russo coi missili donati dagli alleati. Lui gli armamenti li ha chiesti e ha chiesto il relativo permesso, ma ci sono il veto americano e l’ambiguo “ni” dell’Alleanza Atlantica. Rutte infatti ha detto che in linea di principio Kiev sarebbe giuridicamente giustificata nell’eventuale uso delle armi occidentali per colpire obiettivi situati in Russia, qualora questi ultimi costituiscano una minaccia per l’Ucraina, ma rimane sempre in capo ai singoli Stati membri la concessione all’utilizzo. Per adesso, comunque, vi sono state forniture limitate di missili a lunga gittata americani, britannici e francesi, mentre la Germania ha ribadito che non intende dare i suoi. Nonostante le pressioni politiche interne, infatti, il cancelliere Olaf Scholz ha detto un’altra volta no all’invio dei Taurus di fabbricazione tedesca, sebbene abbia promesso altri 1,4 miliardi di euro di assistenza militare.

L’arsenale della democrazia

Questo è l’unico punto su cui Politico dà il massimo della probabilità. Ma c’è da fare dei distinguo. Se si parla di trasformare l’Ucraina in un arsenale, cioè riempirla di armi, allora non è una novità, perché sono anni che la NATO si sforza di renderla un avamposto fortificato. Impiantare fabbriche e processi produttivi di attrezzature militari è una questione di investimenti, sebbene con l’incognita di vederli distrutti dall’artiglieria russa: ma in fondo è solo un “rischio di impresa” da calcolare a tavolino. Dunque Zelensky è sempre a caccia di capitali esteri. Qualche giorno fa ha presieduto a un incontro con diversi produttori, ricevendo riscontri positive da parte di grossi gruppi dell’industria della difesa, ad esempio la tedesca Rheinmetall e la franco-tedesca KNDS. È intervenuto anche il primo ministro Denys Shmyhal, che ha esaltato i numeri ucraini dicendo che la produzione di armi, già triplicata nel 2023, quest’anno è raddoppiata.

Aiuti a rendere

Il 29 settembre, il Ministro della Difesa della Danimarca ha sottoscritto col suo omologo ucraino un memorandum di intesa, con cui promette di destinare alla produzione militare di Kiev più di 620 milioni di euro. Non bisogna illudersi su una tale magnanimità danese: circa metà della cifra viene infatti dai fondi russi confiscati dall’Unione Europea. A sua volta, il Regno Unito sta finanziando l’Ucraina con 3,5 miliardi di sterline per l’acquisto di pezzi di artiglieria fatti dalla Sheffield Forgemasters. Da Londra precisano che non si tratterà di forniture immediate, ma di un programma grazie al quale l’industria pesante britannica verrà messa in condizione di produrre di più e più rapidamente. Perciò anche qui non è una generosità fine a se stessa (o peggio ancora “per salvare la democrazia”), ma un modo per ottenere potenza e consensi ad uso nazionale e internazionale.

Ma quale democrazia?

Se invece si mette l’accento sull’arsenale della “democrazia”, allora molti storcere il naso anche in Occidente. È lo stesso Politico che in un articolo di settembre raccontava con espressioni edulcorate e parole gentili che la presa sul potere di Zelensky fa male all’Ucraina. A proposito del rimpasto ministeriale, riportava le confidenze di un funzionario governativo rimasto anonimo (strano, eppure a Kiev tollerano bene le voci dissidenti!) che accusa il presidente di non aver preso facce nuove dalla società civile, ma di aver scelto solo personaggi a lui fedelissimi. Ed è un problema, ammette Politico. Ne ha fatto le spese il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, colpevole di aver irritato il potente capo dello staff presidenziale Andriy Yermak, che desidera un maggiore controllo sul ministero. Sfortunatamente il rimpasto non sta facendo nulla per alleviare le prolungate preoccupazioni sul modo di governare di Zelensky, che è altamente autoreferenziale e, secondo alcuni, autocratico.

Progressi nella corruzione

Eppure Bruxelles si sta affrettando ad accogliere l’Ucraina nella grande famiglia UE: evidentemente ne condivide i valori… Per non dire dell’altro elemento caratterizzante di questo Paese: la corruzione. L’Institute for Financial Integrity (IFI) racconta gli strabilianti progressi di Kiev, che dunque certamente merita altri miliardi dei contribuenti europei e altre armi per far rischiare a tutti una guerra totale. Se nel 2017 l’Ucraina era 130esima (su 180) nella classifica della corruzione percepita, nel 2023 è balzata al 104esimo posto! Esulta l’IFI: un passo significativo nella giusta direzione, con spazio per futuri miglioramenti. Celebriamo! Il presidente ucraino Zelensky ha compiuto la sua ennesima tournée europea in cerca di armi e di soldi e del permesso di estendere ancora lo scontro con la Russia. Porta sempre a casa qualche miliardo di euro, ma per l’ingresso nella NATO e per l’uso dei missili a lungo raggio ottiene soltanto promesse.

Martin King
Martin King

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