Germania: dalle promesse “green” al nero delle centrali a carbone

Germania: dalle promesse “green” al nero delle centrali a carbone

30 Settembre 2022 0

Le promesse green della ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock prima di andare al governo hanno fatto una fine ingloriosa: da verdi sono diventate nere, proprio come il carbone che oggi la Germania sta ricominciando a usare a volontà. L’obiettivo lanciato dagli ambientalisti, di cui la Baerbock è co-presidente insieme al vicencancelliere Robert Habeck, era rinunciare completamente all’elettricità derivante dal carbon fossibile entro il 2038, data ottimisticamente spostata al 2030. Ora tali ambizioni sono state messe da parte in vista dell’inverno. Dalle prospettive di transizione ecologica i tedeschi si sono trovati a spalare carbone: in questo momento la loro elettricità viene per quasi un terzo dal buon vecchio combustibile fossile.

E adesso i politici tedeschi si accusano a vicenda. Il cancelliere Olaf Scholz dice che la CDU, al governo nei precedenti 15 anni, ha la “totale responsabilità” per aver abbandonato il carbone e il nucleare e aver messo la sicurezza energetica della Germania nelle mani del gas russo (e quindi del Cremlino). Il leader dei cristiano-democratici Friedrich Merz, a sua volta, accusa il governo federale di “follia” per aver disposto la chiusura di tre centrali nucleari nazionali. Mentre i politici si addossano la colpa, ciò che attende la società tedesca quest’inverno è un deficit di energia elettrica. Habeck, che è anche ministro dell’Economia e della Protezione climatica, ha infatti dichiarato che in caso di “colli di bottiglia” nella rete elettrica di Paesi vicini potrebbe non esservi abbastanza energia per rendere stabile la rete tedesca nel breve termine. In altre parole, il rischio blackout esiste ed è imminente. Habeck precisa tuttavia che con i depositi di combustibile pieni all’86%, la Germania dovrebbe riuscire a passare indenne l’inverno. Un po’ di speranza per le velleità green di Annalena comunque c’è ancora. Sembra infatti la quota di eolico nell’energia tedesca sia salita dal 18 al 25% e anche il fotovoltaico è in crescita. Potrebbe bastare per scansare i blackout, ma non per evitare la recessione: secondo gli economisti, infatti, l’eurozona è fortemente a rischio a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e della dipendenza dal gas per il riscaldamento. L’economia tedesca ha già iniziato la sua discesa: vedremo se a Berlino saranno capaci di fermarla o se diventerà una valanga che trascinerà con sé gli altri membri dell’Unione Europea.

La ripresa delle attività delle centrali a carbone era stata decisa dal governo tedesco ad agosto. Ancora a luglio, però, Scholz parlava di misure temporanee, anzi di breve corso, che non cancellano gli obiettivi climatici; sottolineava l’imperativo di non permettere una rinascita globale dello sfruttamento del carbone e delle sorgenti energetiche fossili. E invece è proprio ciò che sta avvenendo, secondo i dati della AIE, l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Ad aprile l’Unione Europea ha messo al bando l’importazione del carbone russo: peccato che la metà di tutto il carbone usato dalle centrali tedesche provenisse dalla Russia. Così, a Berlino si sono dovuti sbrigare a trovare altri fornitori, i quali certamente non mancano, ma hanno modalità e prezzi piuttosto diversificati: far arrivare via mare il carbone dall’Australia, dal Sud Africa o dalla Colombia non soltanto è complesso e costoso, ma si tratta di tipi di carbone con caratteristiche varie, e i tedeschi devono trovare la miscela ottimale per le proprie centrali. Il governo sta pure valutando la riattivazione degli impianti a lignite nel mese di ottobre. Fra i problemi posti dal “carbone bruno”, oltre al grado di inquinamento delle sue emissioni, è quello dell’acqua necessaria a riattivare le turbine delle centrali chiuse, ad esempio quella di Jänschwalde nel Brandeburgo, della quale due unità erano state messe in “pausa di sicurezza”: in caso di riaccensione, consumerebbero 13 milioni di metri cubi di acqua, quantità che aggraverebbe l’attuale deficit idrico del fiume Spree. E infine, molto banalmente, manca il personale specializzato: infatti, a seguito della chiusura progressiva delle centrali e in vista della tanto annunciata transizione ecologica, i lavoratori delle centrali hanno fatto in tempo a reimpiegarsi altrove.

E pensare che ancora un anno fa, poco prima delle elezioni federali in Germania, il Partito Verde Europeo esaltava la Baerbock come l’ultima chance per intraprendere un’azione significativa verso il cambiamento climatico. Per adesso, però, le uniche azioni sono state nella direzione opposta, quella dettata dalle circostanze. Secondo “l’orologio climatico” ci sarebbero rimasti meno di otto anni per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni, al fine di non superare la soglia di 1,5/2 gradi di riscaldamento globale, oltre la quale il caos climatico diventerà catastrofico. Nell’ultimo dibattito della campagna elettorale dello scorso anno, la Baerbock aveva accusato il governo per l’attuazione di una politica a breve termine che stava portando verso un catastrofico aumento di 2,7 gradi. Ma la catastrofe che stiamo rischiando in questo momento in tutta Europa è quella di un inverno al freddo e di un’economia che va a rotoli sempre più velocemente, e con essa l’intero tessuto sociale. In Germania c’è poi un elefante nella stanza con cui i Verdi al governo dovranno tornare a fare i conti: il Nord Stream 2. Nel gasdotto costruito insieme a Gazprom i tedeschi hanno messo molto sul piano finanziario e su quello politico: l’ex cancelliere Gerhard Schröder vi ha di fatto investito tutta la sua carriera successiva al Bundeskanzleram. Per motivi di immagine e di pressioni interne e soprattutto esterne, a Berlino avevano fermato il gasdotto proprio quando era in procinto di essere definitivamente avviato. A seguito dell’incidente che proprio pochi giorni fa ha gravemente danneggiato questa infrastruttura, per il governo Scholz la questione se riaprire o no il Nord Stream 2 sembra essersi risolta da sola, almeno per qualche tempo. Resta comunque il problema del riscaldamente invernale e della tenuta dell’economia tedesca: qui la questione energetica e ambientale è intrecciata in maniera strettissima con la politica estera e la Baerbock condivide l’onere di scelte epocali con l’altro “verde” ai vertici, il vicecancelliere Habeck. Vedremo se gli elettori tedeschi soffrono di memoria corta oppure semplicemente comprendono che il tempo delle promesse elettorali è ampiamente finito e va sostituito con la consueta realpolitik.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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