Gaza: Zara ritira la sua campagna pubblicitaria di cattivo gusto, attivisti imbrattano le vetrine a Tunisi
A Tunisi un gruppo di attivisti hanno imbrattato con della vernice spray le vetrine della catena di abbigliamento spagnola “Zara”, appartenente al colosso spagnolo del retail Inditex, in segno di protesta per la sua recente campagna cha destato un’ondata di sdegno in tutto il mondo arabo.
Zara sta infatti affrontando una reazione negativa dopo aver utilizzato statue con arti mancanti, e manichini avvolti in stoffa bianca e plastica, che ricordano le aberranti immagini degli effetti dei bombardamenti israeliani nella striscia di Gaza. Il marchio di moda ha ritirato la campagna pubblicitaria che ha scatenato appelli al boicottaggio e proteste fuori dai negozi da parte di alcuni attivisti filo-palestinesi, dicendo martedì di pentirsi del “malinteso”.
Il nodo del contendere
Nelle foto si vedeva la modella Kristen McMenamy posare con busti avvolti in stoffa bianca e plastica che ricordano le migliaia di morti palestinesi avvolti nei sudari. La società in una prima dichiarazione spiegava che la campagna, denominata “The Jacket”, fa parte della serie “Atelier” del marchio, che descrive come “una collezione in edizione limitata della casa che celebra il nostro impegno per l’artigianato e la passione per l’espressione artistica“.
L’artista palestinese, Hazem Harb, ha commentato la campagna affermando che
Usare la morte e la distruzione come sfondo per la moda è più che sinistro, è complicità e dovrebbe indignarci come consumatori.
L’artista ha anche condiviso le riprese della sua video installazione “Burned Bodies” del 2008, alla Città dell’Altra Economia, a Roma, e le somiglianze non mancano con la nuova campagna comunicativa della catena spagnola. In molti ritengono che la scelta comunicativa di Zara rappresenti una deliberata presa in giro dei morti palestinesi.
I dati agghiaccianti sui quali qualcuno vorrebbe giocare
Più di 18.000 persone sono state uccise a Gaza dall’inizio delle ostilità, secondo quanto dichiarato lunedì dal ministero della Sanità palestinese. L’entità d’occupazione ha ribadito tuttavia che non interromperà la sua campagna militare fino a quando non avrà annientato Hamas, in risposta all’attacco del 7 ottobre che ha causato la morte di 1.200 persone e il rapimento di circa 240, secondo le autorità di Tel Aviv.
Martedì, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che sollecita una cessazione immediata delle ostilità nella Striscia di Gaza per far fronte alla gravissima crisi umanitaria. Hanno sostenuto la risoluzione 153 Paesi, che hanno assunto una posizione opposta a quella degli Stati Uniti, contrari a un cessate il fuoco sino alla completa sconfitta militare dell’organizzazione di resistenza palestinese. Hanno votato contro la risoluzione dieci Paesi, mentre 23 si sono astenuti.
È opportuno ricordare che il voto dell’Assemblea Generale è significativo sul piano politico, ma non è vincolante, contrariamente alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. La scorsa settimana, proprio al Consiglio di sicurezza, gli Stati Uniti hanno opposto il veto a una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza, che era stata approvata dalla maggioranza.
Situazione fuori controllo a Gaza
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha affermato che non c’è spazio nei centri di accoglienza per accogliere nuovi sfollati nella striscia di Gaza, sottolineando che le condizioni umanitarie nell’area sono precarie. Il portavoce dell’organizzazione, Adnan Abu Hasna, ha spiegato – in un comunicato stampa martedì – che quello che sta accadendo a Gaza è uno “tsunami umanitario“, aggiungendo che la sofferenza degli sfollati raddoppierà con l’arrivo dell’inverno, soprattutto alla luce dell’assenza di qualsiasi aiuto.
Abu Hasna ha sottolineato che ogni centro di accoglienza contiene più di 11.000 sfollati, mentre dovrebbe accoglierne solo 2.000. Inoltre, gli ospedali della striscia hanno confermato che migliaia di palestinesi sfollati nei centri di accoglienza sono stati contagiati da malattie, alcune delle quali contagiose, a causa del grave sovraffollamento dei centri di accoglienza, ciascuno dei quali ospita più di 13mila sfollati che hanno perso la casa a causa dei bombardamenti sionisti in corso da 66 giorni.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.