Evoluzione o involuzione nelle instabili relazioni di Londra con USA, UE e Cina

Evoluzione o involuzione nelle instabili relazioni di Londra con USA, UE e Cina

13 Maggio 2025 0

Non è semplice osservare lo schema delle relazioni diplomatiche, commerciali e militari che Londra tesse con Washington, Pechino e Bruxelles. Più lo si guarda e più emerge la domanda: questa immagine rifletta la multivettorialità dei britannici oppure la loro confusione nei rapporti con alleati e concorrenti? I frequenti cambi di governo e la contemporanea Brexit hanno solo accentuato la mutevolezza di tale struttura.

Logorio del legame particolare

I fautori della Brexit ipotizzavano e speravano che l’uscita dalla UE avrebbe reso il Regno Unito un ambìto e prestigioso ponte fra Europa e Stati Uniti. Invece si è trasformato in un soggetto sì autonomo e sovrano, ma privato di connessioni fondamentali in un mondo globalizzato dove si sfidano i blocchi continentali. Prima Londra poteva sfruttare sia l’appartenenza all’Unione Europa sia vantare la vicinanza storica, culturale e militare con gli USA, quella special relationship che risale almeno alla Seconda Guerra mondiale. Codesto legame era andato in crisi già da prima delle attuali tariffe trumpiane e della Brexit. Le rivalità politica fra i rispettivi governi – o comunque la loro mancanza di allineamento – lo logorano da quindici anni. Un motivo facile da intuire per l’iniziale riluttanza di Washington verso la Brexit è che uscendo Londra dalla UE, sarebbe scomparsa una leva in mani americane per influire sulla politica europea.

Alti e bassi

I Dem che governavano a Washington nel 2016 dunque non gradirono la vittoria del fronte Brexit. Lo stesso Obama si espresse negativamente in merito. All’epoca gli USA sul piano commerciale preferivano trattare non con singoli Paesi, ma con grossi organismi. La loro insoddisfazione non si placò nemmeno quando il processo di uscita dalla UE si è rivelato lungo e faticoso. I Dem preferivano certamente una soft Brexit. Peccato che nel frattempo alla Casa Bianca arrivò Trump, che invece ama trattare con singoli Stati e non coi loro raggruppamenti politico-economici. Il processo si è perfezionato a gennaio 2020, con Biden che sarebbe salito al potere un anno dopo. Il quadriennio di Sleepy Joe ha visto qualche miglioramento nei rapporti con gli inglesi, ma al tempo stesso ha portato delle antipatie coi governi conservatori che si succedevano in quegli anni. Ora che è tornato Trump, repubblicano, i dissidi coi Labour sono ovvi.

Antipatie e trattative

L’antipatia è ampiamente ricambiata: i laburisti hanno attivamente sostenuto Kamala in campagna elettorale, coi loro volontari andati a dare una mano alla vicepresidente Dem. I trumpiani a loro volta detestano le politiche inclusive di Londra, quello wokismo contro cui l’America profonda si è ribellata premiando la Trump e Vance. Ed è pure risaputa la cordialità verso Nigel Farage, promotore della Brexit e leader di un partito che dà molto fastidio al tradizionale tandem Tories/Labour. Il suo Reform UK ha ottenuto un successo notevole alle recenti elezioni amministrative e ora è alla ribalta sul piano nazionale. Ma intanto scoppia la guerra dei dazi, dalla quale tutto sommato il Regno Unito si è salvato. Anche grazie alle intense trattative col premier Keir Starmer, Trump ha messo delle tariffe inferiori a quelle sui prodotti UE.

Proiezione strategica

Un altro elemento positivo in realtà c’era già ed era l’AUKUS, l’alleanza trilaterale che unisce la Gran Bretagna agli USA e all’Australia. Firmata a settembre 2021, questo blocco militare atlantico-pacifico porta con sé determinati vantaggi all’industria della difesa e al posizionamento strategico di Londra nel mondo, per il perseguimento del suo progetto di Global Britain. Ricordiamo inoltre che per i loro missili nucleari Trident i britannici dipendono in ultima analisi dal Pentagono. C’è poi la Dichiarazione Atlantica del 2023 sulla collaborazione bilaterale per XXI secolo fra britannici e statunitensi in vari campi, tra cui intelligenza artificiale e tecnologie avanzate, sicurezza e sanità etc. E se poi è vero che l’obiettivo dell’amministrazione Trump è di indebolire e magari far crollare la UE, allora tenerne fuori il Regno Unito è indispensabile.

Non allontanarsi troppo da Bruxelles

Il governo inglese sembra convinto di poter tenere il piede in due scarpe. Oggi sta trattando con Bruxelles sugli standard sanitari e di qualità per i prodotti alimentari. Ecco però che tale armonizzazione delle norme andrebbe a scapito del commercio con gli States, ben più permissivi sotto molti aspetti. E poi c’è il super finanziamento da 150 miliardi di euro per il piano ReArm al quale Londra vuole fortemente partecipare. Per avere la sua fetta nella produzione e nel commercio di armi nel Vecchio Continente è disposta a sacrificare le quote di pesca. E non si dimentichi la “coalizione dei volenterosi” né le altre iniziative pro-Ucraina nella quali il governo di Sua Maestà è sempre in prima fila, anzi delle quali vorrebbe prendere la guida. Gli USA tuttavia intendono queste mosse come l’intenzione di stare più in Europa che nell’Atlantico, quindi Starmer rischia di perdere l’intera posta.

Con Pechino avversari o amici per interesse

La rottura principale con la Repubblica Popolare Cinese si era avuta sulla questione dei diritti civili a Hong Kong, all’epoca del governo conservatore di Cameron. Oggi però Starmer cerca di riparare lo strappo. Si sono già avuti incontri al vertice, per esempio quando il segretario agli Esteri David Lammy si è recato in visita a Pechino nel 2024 oppure quando lo stesso Starmer ha incontrato Xi Jinping al G20 in Brasile lo scorso novembre. L’obiettivo di Londra è quanto meno quello di ristabilire relazioni pragmatiche che consentano di far crescere gli scambi commerciali, dopo anni di progressiva caduta, e di rinnovare il dialogo finanziario con lo UK-China Economic and Financial Dialogue.

Timori

Alcuni intravedono in questi approcci l’eventualità di aprire la Gran Bretagna agli investimenti cinesi: ciò comporterebbe il rischio di portarsi in casa un avversario strategico, che il documento della NATO del 2022 definisce come systemic challenge. Questo avvicinamento è mal visto dai Tories e naturalmente da Washington, che anzi lo considera come un ingenuo tentativo di imporsi come interlocutore di livello globale e di avere contatti diretti pure coi teorici avversari. I Labour spiegano questa scelta col fatto che si può collaborare positivamente pure con gli avversari e soprattutto col fatto che è meglio avere un concorrente stabile e prevedibile come la Cina, pur autoritario per sua natura, che un amico imprevedibile e forse repressivo come gli USA.

Giuliano Pellico
Giuliano Pellico

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