Ennesimo schiaffo alla libertà di parola ad Hong Kong
La legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina a Hong Kong nel 2020 imprime l’ennesimo schiaffo alla libertà di parola. Il 31enne Ma Chun-man – attivista noto come “Capitan America 2.0” – è stato infatti giudicato colpevole del reato di incitamento alla secessione e quindi condannato a 5 anni e 9 mesi di detenzione. Ma, ex riders, è la seconda persona di Hong Kong a subire condanna e carcere in base alla contestata legge, il primo è stato un ventiquattrenne di nome Tong Ying-kit condannato a 9 anni per aver sventolato una bandiera con sù scritto “Hong Kong Libera” verso tre poliziotti. Il giudice distrettuale Stanley Chan ha optato per la colpevolezza in base agli slogan cantati e ai discorsi fatti sull’indipendenza dell’ex colonia in almeno 20 occasioni pubbliche e sui social media tra agosto e novembre dello scorso anno da parte di Ma. L’uomo, che si è proclamato non colpevole, era stato descritto dai suoi legali come un solitario non violento con una storia familiare difficile, condannato poi – come primo caso assoluto – per atti che coinvolgono solo la parola. Ma voleva “testare” la legge e dimostrare che la liberta’ di parola era protetta, in base al presupposto che non stesse realmente compiendo azioni di incitamento reale all’indipendenza. Il giudice Chan, tuttavia, ha arguito nel dispositivo che il caso era da considerare di “natura grave” come previsto dall’articolo 21 della legge sulla sicurezza nazionale con l’aggravante che Ma non aveva mostrato rimorsi o pentimento. Nei suoi discorsi, l’attivista sosteneva che l’indipendenza era da strutturare con modalità “a strati”: dal livello scolastico e via via fino a tutte le classi sociali per “stimolare la prossima rivoluzione“.
La difesa in conferenza stampa ha sottolineato che il reato che gli è stato contestato non era “il più grave” tra quelli analoghi emersi nell’ultimo anno. Amnesty International ha definito la condanna “oltraggiosa” e una “evidente dimostrazione” che le restrizioni al diritto alla libertà di espressione a Hong Kong sono “pericolosamente sproporzionate“. A Pechino, al termine del Plenum del Partito comunista, una nota ha invece celebrato i risultati raggiunti nell’ex colonia con “una transizione importante dal caos (delle proteste del 2019, ndr) alla governance” e con la gestione della città affidata ai “patrioti“.
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