Economia europea minacciata dal protezionismo americano e dai costi alti dell’energia

Economia europea minacciata dal protezionismo americano e dai costi alti dell’energia

4 Giugno 2024 0

Il Vecchio Continente ha subito uno shock economico dopo l’altro nel corso negli ultimi cinque anni. Il PIL degli Stati membri della UE si sta restringendo progressivamente e in alcuni casi sta letteralmente crollando. La pandemia ha mostrato che non esiste alcuna vera “unità” fra i Paesi europei, ma nemmeno la solidarietà o la volontà di cooperare per un bene comune. Il conflitto in Ucraina ha portato speculazioni commerciali e aumenti stellari del costo dell’energia. Oggi la concorrenza cinese e il protezionismo americano stanno spazzando via gli ultimi residui di ottimismo. E sono proprio gli USA a guadagnarci di più dalla sudditanza politica ed economica che Bruxelles sta dimostrando verso Washington.

Lo dicono gli accademici e i politici di Praga

Ne hanno discusso qualche giorno fa a Praga presso l’Istituto di economia CERGE-EI. Il prestigioso ente, collegato all’Università Carolina della capitale ceca e al Dipartimento dell’Istruzione di New York, ha organizzato una tavola rotonda. Il tema erano le “sfide all’economia della Repubblica Ceca nel contesto della performance prevista per l’economia UE e degli USA dopo le elezioni”. Sono intervenuti i ministri cechi dei Trasporti, dello Sviluppo regionale e degli Affari europei e poi docenti di varie università, fra cui Princeton, Humboldt e Berkeley. Il professor Jan Švejnar, moderatore, ha dichiarato che le elezioni per l’Europarlamento e poi quelle per la Casa Bianca influenzeranno senza dubbio non soltanto la politica, ma anche e soprattutto l’economia e lo sviluppo economico del pianeta. Grazie al contributo degli ospiti, dice, è stato possibile delineare una visione almeno parziale di ciò che ci aspetta e di ciò a cui dobbiamo prepararci.

Così, viene finalmente dato valore alla realtà che vivono tutti i giorni i cittadini e che è ciò che da anni dice l’opinione pubblica. L’economia europea è minacciata dagli elevati costi energetici, che a loro volta provocano la fuga delle industrie verso nazioni in cui costa di meno. Se ne vanno di conseguenza anche gli investitori, che preferiscono puntare su regioni più promettenti e meno depresse dell’Europa. I partecipanti alla tavola rotonda individuano le ragioni oggettive dello scontento dei cittadini europei, cioè l’aumento del costo dell’energia – e dunque della vita – e la diminuzione dei posti di lavoro. Se la prendono però col populismo, il capro espiatorio più facile di tutti (secondo solo alla “propaganda russa”). In altre parole, se la gente offre una chance ai partiti “populisti”, sono questi ultimi ad essere la minaccia da combattere. I grandi esperti e i fini pensatori scambiano il sintomo con la causa.

Dimostrano tuttavia un certo coraggio nell’aggiungere all’elenco dei mali che incombono sull’Europa anche l’eccessiva di burocrazia a Bruxelles e il protezionismo di Washington. Sempre con parole al miele, per carità, ma almeno dicono le cose come stanno e identificano la politica USA potenzialmente ad alto protezionismo come una minaccia potenziale, che potrebbe mettere in pericolo, per esempio, l’industria automobilistica europea. Potrebbe, forse, potenzialmente: ma è così già da un bel po’.

I ricatti americani

È di un paio di settimane fa la notizia della comunicazione della Banca Centrale Europea a tutti gli istituti di crediti che operano in Russia. Nella sua lettera, la BCE chiede loro di accelerare i piani di uscita dalla Federazione Russa. Il motivo? La possibilità di venire colpiti da misure punitive da parte degli Stati Uniti d’America. Così, le banche europee dovranno far sapere entro giugno il loro programma dettagliato di azione alla BCE. La prima ad aver dovuto cedere ai ricatti americani è stata l’austriaca Raiffeisen Bank, costretta ad abbandonare le trattative per un affare con una controparte russa. Colpirne uno per avvertirne cento: è questa oggi la tattica di Washington per intimidire persino i colossi europei. E pare ci stia riuscendo.

Ma a Francoforte non sono contenti. Con riferimento alla situazione dicono infatti che ciò potrebbe causare seri danni al sistema bancario qualora le autorità USA dovessero imporre delle sanzioni. Uno dei responsabili delle banche europee che hanno filiali in Russia dice che la risposta arrendevole della BCE alle pressioni americane mostra la grande dipendenza dell’Europa verso gli USA. Siamo più gregari che con leader per quanto riguarda le considerazioni che coinvolgono le società europee. La Raiffeisen ha già dovuto diminuire della metà la sua esposizione sul mercato russo e deve scendere a un terzo entro il 2026. Anche la seconda banca europea più impegnata in Russia, l’italiana UniCredit, sta attraversando un periodo difficile, pressata da entrambi i lati. Lo è pure l’ungherese OTP, che però non si trova sotto la diretta supervisione della BCE.

Deindustrializzazione e delocalizzazione

Che Washington sfrutti il conflitto in Ucraina per fare i propri interessi a danno dell’Europa è qualcosa di discusso e di constatabile già dal 2022. La domanda da porsi è sempre la stessa: cui prodest? Con le sanzioni anti-russe e gli embarghi energetici gli USA possono vendere più combustibile agli europei. Molti di essi si ritrovano di fatto a dover acquistare da un unico fornitore, quello a stelle e strisce. E come evidenziato dalla tavola rotonda di Praga, l’effetto è di far scappare dall’Europa le industrie e gli investitori.

Ci sta rimettendo parecchio la Germania, il cui governo “verde” ha già riaperto le inquinantissime centrali a carbone e i cui giganti produttivi vanno via. La BASF, tradizionale colosso tedesco della chimica, ha già detto di dover “ridimensionare in via permanente” le sue attività su territorio europeo mentre annunciava di voler aprire impianti in Cina. Il Vecchio Continente ha subito uno shock economico dopo l’altro nel corso negli ultimi cinque anni. Il PIL degli Stati membri della UE si sta restringendo e in alcuni casi sta crollando. La pandemia ho mostrato che non esiste alcuna “unità” fra i Paesi europei. Il conflitto in Ucraina ha portato speculazioni e aumenti del costo dell’energia. Oggi la concorrenza cinese e il protezionismo americano stanno spazzando via gli ultimi residui di ottimismo. E sono proprio gli USA a guadagnarci di più dalla sudditanza politica ed economica che Bruxelles sta dimostrando verso Washington.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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