Dubbi sull’etnia e nazionalità dell’attentatrice di Istanbul. E se fosse un pretesto per attaccare i curdi in Siria?

Dubbi sull’etnia e nazionalità dell’attentatrice di Istanbul. E se fosse un pretesto per attaccare i curdi in Siria?

15 Novembre 2022 0

«Non sembra una ragazza curda, i suoi tratti somatici tradiscono piuttosto un’origine nord-africana e il suo nome non è curdo ma arabo. Per chi non ne fosse a conoscenza, pure i cognomi arabi usati dai curdi musulmani non iniziano mai con l’articolo “al”». Il ragionamento apodittico di Hasan Ivanian, curdo siriano di Afrin, docente di storia dell’Islam e autorevole rappresentante della società civile della sua città, getta dubbi sull’etnia e la nazionalità, quella curdo-siriana, attribuita dalle autorità di Ankara ad Ahlam Albashir, presunta autrice dell’attentato nella centralissima via Istiklal di Istanbul.

Secondo la polizia locale, che ha tratto in arresto la donna insieme ad altre 46 persone, sarebbe stata lei a piazzare il potente esplosivo nel salotto e cuore del commercio delle grandi firme della città sullo Stretto del Bosforo, causando la morte di sei persone e il ferimento di altre 81. Le affermazioni del docente siriano che, dopo l’occupazione turca del 2018 dell’enclave curda della Siria nord-orientale, vive da sfollato nei pressi di Aleppo, fanno da eco a quelle divulgate in una nota all’indomani dell’attentato dal comando generale del People’s Defense Center (Hsm, affiliato al Partito dei lavoratori del Kurdistan). “Non abbiamo nulla a che fare con l’esplosione di Istanbul – si legge nel documento diffuso dall’agenzia di stampa curda Firat news -. La nostra gente e il pubblico democratico sanno bene che non prenderemmo di mira direttamente i civili e che non accettiamo azioni contro i civili”. Quindi, prosegue: “Siamo un movimento che conduce una lotta legittima per la libertà” e agisce “con una prospettiva che vuole creare un futuro comune, democratico e paritario con la società turca”.

Il Pkk, che si è lasciato alle spalle la lotta separatista cercando ora una maggiore autonomia per il popolo curdo, ha combattuto le autorità turche in un conflitto iniziato negli anni ’80, durante il quale hanno perso la vita almeno 40mila persone. Gli ultimi attentati terroristici nel paese della Mezza luna rossa risalgono al 2016 ad Ankara, Istanbul e nel gennaio 2017 a Smirne e sono stati messi a segno e rivendicati dai Falchi della liberazione del Kurdistan (il Tak), un gruppo di giovani radicali prima vicino al movimento curdo, ma da cui ha preso le distanze nei primi anni duemila considerandone l’azione troppo mite e determinata dalla politica, ritenendo al contrario più efficace lo scontro armato diretto. Il sanguinoso attacco di Istiklal costringe ora il Pkk a difendersi davanti all’opinione pubblica nazionale ed estera, ma gli offre anche l’opportunità per passare al contrattacco: “È un fatto evidente che il regime Akp-Mhp (il partito di Erdogan, ndr) stia incontrando difficoltà di fronte allo sviluppo della nostra lotta legittima. Il fatto che abbiano specificamente preso di mira Kobane, dopo questo incidente rivela la direzione dei loro piani. Da questo punto di vista, anche se si afferma che questo incidente è oscuro e che gli elementi utilizzati per l’attacco sono curdi o siriani, è chiaro che ciò non cambierà il risultato. Resta inteso che questo indica l’inizio di un piano oscuro”, è la sua conclusione.

La martoriata Siria ancora una volta entra suo malgrado nella ormai rituale narrazione della lotta al terrorismo, intentata da Ankara contro le Unità di protezione popolare siriane (Ypg), sostenute dagli Stati Uniti ma che il governo turco considera da sempre un’organizzazione terroristica sorella del Pkk. Non a caso lunedì scorso visitando il luogo della strage, il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu ha dichiarato in modo lapidario che l’ordine dell’attentato sarebbe partito da Kobane, la città nel nord della Siria dove le forze turche hanno effettuato operazioni contro le Ypg negli ultimi anni. L’ultima e più recente risale al 16 agosto scorso, quando un raid turco ha colpito una postazione dell’Asayish, le forze di sicurezza interna della città, uccidendo tre militari e ferendone altre sei. Che l’atto terroristico di domenica giunga, mentre Ankara intensifica i suoi attacchi, anche con droni, contro la leadership del Pkk in Siria e nel nord dell’Iraq, fa pensare. Fra sei mesi la Turchia andrà al voto e Erdogan – che aveva visto calare il consenso interno a causa dei forti problemi economici del Paese, con l’inflazione schizzata all’85 per cento e la lira turca in caduta libera già dal 2018 – potrebbe rispolverare il suo vecchio cavallo di battaglia, quello della sicurezza, che nel 2015 gli aveva offerto una comoda vittoria. A questo proposito, il siriano Hasan avanza l’ipotesi, non del tutto azzardata, che «con questo attentato Erdogan avrà il pretesto per attaccare i curdi in Siria e nel suo Paese, accusandoli di esserne gli autori, quando i curdi non attaccherebbero mai target civili, né militari nelle città».

Marina Pupella
MarinaPupella

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