Covid-19, la riscoperta della vulnerabilità. Costa: “Colmare ingiustizie e diseguaglianze”

Covid-19, la riscoperta della vulnerabilità. Costa: “Colmare ingiustizie e diseguaglianze”

26 Luglio 2020 0

La dolorosa esperienza del Covid 19 ha precipitato il mondo intero in uno stato di desolazione e smarrimento. Alle granitiche certezze, figlie di una globalizzazione che ha indubbiamente portato tanti benefici all’umanità nei più svariati settori, si è sostituito il sentimento condiviso, al pari della pandemia (pan-demos, tutto popolo), di vulnerabilità. L’istantanea delle strade vuote, della città fantasma, del distanziamento fisico e delle limitazioni ai contatti sociali hanno accresciuto le nostre paure. Situazioni di isolamento hanno in taluni casi portato a  disperazione, rabbia e abusi, mettendo a nudo la parte più oscura dell’animo umano. Ma quelle dure lezioni di fragilità e finitezza ci conducono, come ha ben evidenziato dalla Pontificia Accademia della Vita nella sua nota L’Humana communitas nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita, «alla soglia di una nuova visione: promuovono un ethos di vita che richiede un impegno dell’intelligenza e il coraggio di una conversione morale. Imparare una lezione significa farsi umili, significa cambiare, cercando risorse di senso fino ad allora non sfruttate, forse sconfessate». Ecco, bisogna farsi proprio “umili” per ricercare il bene comune e approdare ad un significato nuovo di solidarietà, da distinguere dalle forme di assistenzialismo osannate da parte dei decisori pubblici. Su questi temi ci siamo soffermati con Enrico Costa, imprenditore e presidente del Ceis Genova, il Centro di solidarietà che dedica la propria missione alle persone più fragili della società, vittime di dipendenze, prive di casa o lavoro e in fuga dal proprio paese.

Infografica – La Biografia dell’intervistato Enrico Costa

Le sollecitazioni che l’umanità ha vissuto durante la pandemia hanno toccato tanto gli aspetti sanitari ed economici, quanto, soprattutto, gli aspetti sociali. Nel mutato contesto storico, c’è la possibilità per la formazione di una nuova coscienza collettiva? 

C’è molta preoccupazione su questi temi, ma in particolare è l’aspetto sociale che sta subendo e, soprattutto, subirà un’evoluzione molto marcata, condizionando inevitabilmente i comportamenti individuali e collettivi. È quindi necessario capire come si sta formando la coscienza collettiva e contribuire con decisione, affinché tale coscienza sia caratterizzata da valori che arricchiscano la dignità dell’uomo e la prosperità del creato. Quali stimoli ci lascia il presente e quale la giusta impostazione per il futuro? Provare a indicare le riflessioni più immediate può aiutare a tracciare un percorso formativo per una nuova coscienza collettiva.

La Fondazione Banco alimentare ha registrato che negli ultimi mesi il numero di richieste di aiuto alimentare, è aumentato di circa il 40% su tutto il territorio, con picchi del 70% nelle regioni del Sud. Un incremento di nuovi poveri confermato anche dal crollo della ricchezza prodotta dal Paese, con un calo del Pil del 5,4% nel primo trimestre di quest’anno. Come affrontare lo spauracchio della povertà?

Aldilà di interventi caritatevoli, che taluni definirebbero “elemosina”, è vitale affrontare la povertà con la creazione di valore, innanzitutto di carattere economico, ma anche culturale e sociale strettamente collegati al primo.

La povertà che è perdita, diventa un grosso margine anche nella creazione della prima forma di nucleo sociale, la famiglia. Senza lavoro e certezze per il futuro, risulta difficile per non dire impossibile pensare di programmare una famiglia. L’imperativo categorico è colmare ingiustizie e diseguaglianze. Condivido il pensiero dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, che sulle colonne di Avvenire ha dichiarato che “siamo tutti nella stessa tempesta, ma non sulla stessa barca. Chi ha barche più fragili affonda più facilmente”. E’ fondamentale riportare a galla queste barche, proteggerle dalla tempesta economica, sociale e sanitaria  e condurle nel porto sicuro di una ripresa solida e strutturata, che vada a beneficio di tutti e non del singolo.

Cosa dovrebbero fare a suo avviso il governo e le istituzioni per combattere le conseguenze della crisi? 

Sono convinto delle buone intenzioni del governo Conte, ma manca un piano che metta in campo strategie orientate sia al breve che al lungo termine. Per fare un esempio, i provvedimenti adottati in questi mesi dall’esecutivo, pur con le diverse lacune legate alla tempistica e alla qualità degli stessi provvedimenti, hanno avuto un impatto sulle emergenze immediate. Ma ora, in quella che è stata definita la fase tre, bisogna considerare una visione di lungo periodo. L’emergenza oggi è ricostruire il sistema Paese attraverso un processo di ristrutturazione sociale e culturale, i cui capisaldi sono la solidarietà verso l’altro e verso chi, a seguito della pandemia, ha perso tutto. Il populismo, che sembra padre di questa classe politica molto concentrata sulle passerelle, ha mostrato tutta la sua inadeguatezza nel tenere nella giusta considerazione l’emergenza sociale che si profila. Senza tanti giri di parole, manca una programmazione per il futuro. Ed è su questo che deve impegnarsi il governo. Neanche la redistribuzione della ricchezza, se esula da un percorso di creazione di valore, può essere una panacea alla povertà. In questi lunghi mesi di sacrifici, gli italiani hanno tirato fuori quel lato bellissimo per cui sono famosi in tutto il mondo: la solidarietà e la vicinanza verso l’altro. Quanti esempi di generosità, di altruismo, di sacrifici abbiamo vissuto.

Da uomo di impresa, come ha vissuto questi lunghi giorni di lockdown e quale rapporto si è creato con i suoi collaboratori?

Direi che alla base del nostro rapporto c’è stata grande comprensione, ma anche e soprattutto reciproco aiuto. E questo è avvenuto in modo del tutto naturale per noi che siamo italiani. I lavoratori hanno compreso che il bene dell’azienda è un riferimento superiore tanto per l’imprenditore quanto per il lavoratore. Insomma, ci si è tutti rimboccati le maniche, guardando più al bene dell’impresa in quanto produttrice di valore, per la quale vale la pena sacrificarsi sia da parte dell’imprenditore che del lavoratore. La “lotta di classe“ è diventato un lontano ricordo, ora solo impegno comune, rinunce reciproche per la sopravvivenza dell’azienda, che noi consideriamo una famiglia allargata. La pandemia ci aiuterà a comprendere che nella nostra comunità globale, lo spirito di solidarietà tra le comunità e tra i singoli è la strada maestra verso un futuro dignitoso per l’uomo e rispettoso del creato. Altro elemento emerso in questo drammatico periodo è la conferma di quanto sia preziosa l’autorità: un’autorità solida e illuminata ci aiuta nei momenti cruciali; solo un sistema centrale saldo può trovare risposte adeguate per momenti difficili. E’ importante stimolare le istituzioni anche con legittime contestazioni, senza però mancare mai di valorizzarle. Il rispetto delle regole è emerso in tutta la sua importanza; quanto è rischioso essere fuori dalle regole. Ritengo, poi, un grave errore pensare che il prossimo futuro sia un’edizione più “sanitarizzata” e più “smart” del recente passato; la scala dei valori personali, economici, culturali e istituzionali è cambiata. Importante è quindi saperla interpretare e plasmare; in altre parole si sta formando una nuova coscienza collettiva.

Marina Pupella
MarinaPupella

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