Conflitto Israelo-palestinese, altissimo il rischio di un allargamento della guerra. Intervista a giornalista libanese Ghassan Jawad

Conflitto Israelo-palestinese, altissimo il rischio di un allargamento della guerra. Intervista a giornalista libanese Ghassan Jawad

27 Gennaio 2024 0

Nel silenzio che circonda il castello di Beaufort, antica fortezza crociata nel governatorato di Nabatiye nel sud-est del Libano, poco distante dal villaggio sciita di Arnoun e a 6 chilometri dal confine israeliano, irrompe il rumore assordante di droni israeliani che sorvolano l’area.

Siamo a 700 metri di altezza sul fiume Litani, da dove è facile scorgere gran parte del Libano meridionale, del nord di Israele, comprese le alture del Golan, che in questo periodo sono completamente ricoperte di neve. Per la sua posizione strategica, da qui è possibile vedere Kyriat Shmona e le fattorie di Sheeba in territorio libanese ma dal ‘67 sotto controllo di Gerusalemme, Beaufort e le zone circostanti sono serviti fino al 2000 come base e posto di osservazione dalle Idf, le Forze di difesa israeliane.

Racconta Ahmad Ghazal, custode del forte:

Da quando sono iniziati gli scontri tra Hezbollah e le forze israeliane, missili e fuoco di artiglieria giungono sempre vicino al castello. Prima dell’8 ottobre i turisti erano tanti, si faceva la fila per entrare. Oggi siamo chiusi. Ecco, ora ci sarà l’esplosione, succede sempre dopo il passaggio dei droni.

Un forte boato, seguito da un fumo intenso che si alza a meno di 2 chilometri, ma per fortuna il missile ha colpito un’area disabitata. Diversi villaggi della zona, come Kfar Kila, Mays al-Jabal, Blida, sono stati evacuati e dall’inizio delle operazioni, secondo i dati del ministero della Salute libanese, sarebbero oltre 83mila gli sfollati interni. Il lancio di missili da una parte e dall’altra della linea blu tra le Idf e il fronte della “resistenza”, guidato da Hezbollah e composto anche da miliziani del partito sciita Amal e del Partito nazionalista, hanno causato 151 morti e 132 feriti e il numero è destinato a crescere, con le forze politiche e la popolazione divisa a metà tra chi sostiene il “figlio prediletto” di Teheran, il Partito di Dio, e chi invece è contrario alla presenza di un esercito non regolare nel paese. Intanto, è cresciuta tra i libanesi la preoccupazione per un’escalation delle ostilità nel Paese dei Cedri, sulla quale quasi tutti ormai concordano su un 50 per cento di probabilità. Ghassan Jawad, ricercatore e giornalista, è uno dei più noti analisti di geopolitica libanesi, vicino a Hezbollah, ci accoglie nella sua casa di Alay, a una ventina di chilometri a nord di Beirut. Javad è originario del villaggio di Aita al Shaab, nel sud del Libano, preso di mira dal fuoco israeliano.

La possibilità di un allargamento del conflitto è reale, ma allo stesso tempo tutti i giocatori in campo sanno che sarebbe una catastrofe. Se la guerra dovesse metastatizzarsi, i conti cambierebbero. L’Iran entrerebbe direttamente nel conflitto e la Siria, che al momento sta in silenzio, interverrebbe, lo stesso per Iraq e Yemen, anzi c’è chi dice che manderebbero uomini oltre che armi. Chi intende entrare in guerra, però, deve fare due calcoli: il costo, anche di vite, e il risultato, che nessuno può conoscere in anticipo.

Ma Israele ha armi molto sofisticate, come farebbe Hezbollah a competere?

L’asse della resistenza sa della forza d’Israele, ma allo stesso tempo Hezbollah, che anche il Washington Institute riconosce, ha delle armi, come i razzi di precisione, che hanno una capacità distruttiva non indifferente. Non bisogna, poi, trascurare la volontà e il coraggio dei combattenti, giovani, professionisti che non sono tutti miliziani e vivono nel villaggi del sud, che intendono difendere anche a costo della propria vita.

Se Hezbollah dovesse decidere di attaccare in profondità Israele, in Siria si inasprirebbe il fronte del Golan. Le milizie irachene, alleate di Teheran, sono pure da non sottovalutare, per la loro esperienza in combattimento contro Daesh e per le loro armi. Il Partito di Dio è per l’Iran il figlio prediletto, un esempio di successo per tutti i movimenti di liberazione nel mondo.

Per questo Teheran non lo abbandonerebbe in caso di un aggravarsi delle ostilità. Quanto a Mosca, non abbiamo informazioni su un suo possibile intervento, ma di sicuro approfitterà della situazione per colpire con maggiore intensità il fronte ucraino. Compra armi dall’Iran, le strumentazioni, droni, perché meno costose.

Crede che il cosiddetto asse della resistenza abbia interesse ad una guerra in tutta la regione?

L’asse, che è composto da Iran, Libano, Siria, Yemen e Iraq, ha considerato come un vero successo dei palestinesi il 7 ottobre, di conseguenza non ha interesse ad un allargamento del conflitto e ora sta cercando di contenere la reazione israeliana. Il “sabato nero” non è venuto dal nulla; Netanyahu, che è al comando da quasi 20 anni con i suoi uomini, tendeva da un lato la mano ai paesi arabi, come Barhein, Marocco, Emirati e Arabia Saudita, dall’altro ha completamente escluso i palestinesi dall’agenda di governo.

Quando Hezbollah e Iran sostengono di non avere informazioni relative al 7 ottobre, dicono il vero, non erano stati informati. Alcuni Paesi arabi appoggiano Tel Aviv e se anche chiedono di fermare le ostilità, sicuramente non si lascerebbero coinvolgere. Si limiterebbero al supporto finanziario e all’invio di armi. E se in Medio Oriente c’è qualcuno che pensa di poter trarre vantaggio da un conflitto allargato, quelli sono i paesi che hanno normalizzato i rapporti con Israele, perché così credono di indebolire Teheran e l’asse della resistenza, con l’obiettivo di acquisire più potere. Hezbollah non ha interesse ad una guerra, intende solo fare pressione su Israele, agendo come forza di distrazione, tesa a limitare gli attacchi su Gaza.

La possibilità di un allargamento c’è, ma sia gli israeliani che Hezbollah lo temono. Lo si deduce dal fatto che l’Idf al momento sta concentrando i suoi attacchi su obiettivi militari, anche se ha ucciso 37 civili. Lo stesso può dirsi di Hezbollah, che sta bombardando le postazioni militari. Ha tracciato una linea rossa, vale a dire conflitto esteso al resto del paese e popolazioni colpite, oltre la quale Hezbollah attaccherebbe in profondità rispetto al confine nord d’Israele. Osserva le regole in gioco, non superando il limite di 3-4 chilometri oltre la frontiera e studia l’atteggiamento di Israele.

La morte di Al-Arouri potrebbe essere letto come un avvertimento a Hezbollah?

Israele a Gaza non ha avuto alcun successo,  non essendo riuscita a liberare gli ostaggi e a eliminare o catturare i capi di Hamas, in primis Yahya Sinwar, il leader del gruppo nella Striscia, e Mohammed Deif, il capo delle operazioni militari. E’ andato alla caccia di altri importanti esponenti di Hamas fuori Gaza, come al Arouri, ma una risposta del Partito di Dio a quell’attacco, rafforzerebbe Netanyahu.

Ha colpito, però, la base israeliana di Meron, preferendo non prestare il fianco al premier israeliano. Ci sono dei negoziati indiretti fra Teheran e Washington, di cui tutto l’asse della resistenza è al corrente, per fare pressione e fermare la guerra sulla Striscia.

Hamas da Gaza e Hezbollah dal Libano. Non intravede una guerra per proxi di Teheran contro Gerusalemme?

Negli ultimi 20 anni è vero che Hezbollah si è rafforzato, ma agisce con saggezza. L’Iran sta aiutando tutte le forze di liberazione dell’area, traendone anche vantaggio. Hezbollah da parte sua non sta difendendo Teheran, ma i villaggi libanesi del sud e gli Houthi yemeniti stanno bloccando le navi per fare pressioni, una sorta di embargo commerciale in risposta all’assedio di Gaza.

Il 7 ottobre è arrivato in un momento cruciale per l’Iran, che stava ricucendo i rapporti con Riad. La guerra ha rimescolato le carte a suo sfavore e quanto sostenuto da alcuni paesi arabi, Israele e Occidente, che Teheran sia il burattinaio delle forze di liberazione, non ha fondamento, come hanno dimostrato i palestinesi. Supportando l’asse, Teheran sta solo riempiendo il vuoto lasciato dagli altri paesi arabi, che hanno abbandonato i palestinesi al loro destino. Molti eventi rimarranno senza una verità, come l’11 settembre e il 7 ottobre.

Cosa pensa della proposta dell’inviato Usa Amos Hochstein di un arretramento dei miliziani di Hezbollah di sette chilometri oltre la Linea Blu?

Semplicemente che non può essere accettata. Persino il presidente del Parlamento, Nabih Berry, ha detto che per lui sarebbe più facile spostare il fiume Litani, che convincere Hezbollah ad allontanarsi dal confine. In quei villaggi (a maggioranza sciita, ndr) vivono moltissimi giovani di Hebollah con le loro famiglie. Crede sarebbe possibile spostare e sfollare quasi un territorio intero per una richiesta che proviene palesemente da Tel Aviv?

Marina Pupella
MarinaPupella

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