Armiamoci e partite! Anzi no, prepariamoci e intanto litighiamo dentro e fuori la UE
Si parla molto in questi giorni dei progetti di riarmo sia a livello governativo che di semplici cittadini. La maggioranza dei popoli europei è sostanzialmente contraria perché intuisce le pericolosissime implicazioni di questi piani. I leader nazionali, pur aderendo formalmente alla retorica di Bruxelles, sono restii a impiegare ancora altre fette di budget statale per un obiettivo poco appetibile in termini elettorali.
Da ReArm a Readiness
Da armiamoci e partite! a intanto prepariamoci, poi vediamo. È questa la traduzione in parole semplice del cambio di terminologia nel progetto bellicista della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il passaggio da ReArm Europe a Readiness 2030 è avvenuto a seguito delle rimostranze del governo italiano e di quello spagnolo. La loro preoccupazione andava anzitutto alla sfumatura aggressiva di un titolo che spingeva apertamente per una corsa continentale agli armamenti. L’altro timore di Roma e di Madrid è rappresentato dalla sostanza della proposta di Bruxelles, che rischia di far aumentare il debito nazionale dei singoli Paesi. Non che vi sia stato un grosso miglioramento, perché il 2030 del nuovo titolo si riferisce all’anno in cui si suppone che la Russia sia in condizione di lanciare un attacco contro uno Stato membro della UE o della NATO (che in gran parte coincidono).
Si spenda per la sicurezza, non per l’attacco
Insomma, sia prima che dopo si sta dicendo esplicitamente ai cittadini di tenersi pronti alla guerra: l’uscita ridicola e infelice del kit di sopravvivenza dell’eurocommissaria Hadja Lahbib ne è stata l’odiosa conferma. Dev’essere comunque rimasto un briciolo di buon senso nella testa dei governanti europei, se qualcuno ha fatto notare che prima degli armamenti servirebbero le infrastrutture e le tecnologie. Per fortuna a parlarne sono stati Giorgia Meloni e il suo omologo spagnolo Pedro Sánchez. Entrambi hanno messo l’accento sul concetto di difesa, spostandolo dall’idea di aggressione a senso unico implicita in un progetto di mero riarmo. La nostra premier ha chiesto di concentrarsi piuttosto sui servizi essenziali, sulle infrastrutture energetiche, sulle catene di distribuzione. Il primo ministro spagnolo ha aggiunto a sua volta voci come l’antiterrorismo e la cyber-sicurezza.
Soldi veri, soldi ipotetici
Insomma, se proprio si devono spendere dei soldi, che lo si faccia su qualcosa di utile in senso lato per le nostre società. Ad esempio i droni, che si possono usare non solo in una guerra futura, ma già oggi per spegnere gli incendi, come evidenziato da Sanchez. Evidentemente a Bruxelles hanno capito subito di aver esagerato con la terminologia aggressiva. Infatti hanno cambiato gli slogan molto rapidamente. Al momento di presentare il piano da 800 miliardi di euro, la von der Leyen ne spiegava il titolo “ReArm Europe” dicendo che viviamo in un’era di riarmo, dunque l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la sua spesa per la difesa.
Di quegli 800 miliardi, 150 sono “soldi veri” da distribuire agli Stati membri sotto forma di prestiti a lungo termine e a basso costo da usare per il riarmo: il cosiddetto programma SAFE. Gli altri 650 sono invece soltanto sulla carta, sotto forma di allentamento delle norme fiscali dei singoli Paesi che aiuterebbe a raggranellare quella somma enorme.
Guerrafondaia Kallas
Se il progetto della von der Leyen è rimasto a galla, seppur rinominato e riformulato – e probabilmente soggetto in futuro a ulteriori limature – quello di Kaja Kallas è stato accolto con estremo scetticismo. Per dirla senza un eufemismo, è stato ampiamente spernacchiato. L’ex premier estone, oggi Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha descritto l’Ucraina come la “prima linea di difesa europea” contro la Russia. Con questa premessa, ha chiesto ai Paesi membri di rendere disponibili per Kiev 40 miliardi di euro concedendo un contributo derivante da una “piccola” percentuale di PIL. L’immediata reazione negativa ha fatto sì che alcuni diplomatici definissero subito il progetto come defunto.
Nemmeno 5 miliardi le vogliono dare…
E neanche il suo piano di riserva ha avuto fortuna. La Kallas voleva partire con 5 miliardi, da usare per fornire agli ucraini 2 milioni di munizioni nel corso dell’anno, ma il no di Italia, Francia e Slovacchia è stato immediato. La Kallas ha fallito nell’imporsi come madrina europea con l’elmetto. L’idea ancora prevalente è invece quella di un contributo su base volontaria. Ciascun governo dà quanto ritiene di poter dare: sarebbe intollerabile che una Commissione sovranazionale dai poteri tanto vaghi quanto penetranti possa stabilire persino i sacrifici finanziari dei Paesi finalizzati a un conflitto armato.
Antipatie interne
Le recenti manifestazioni di piazza quasi-spontanee, nonché gli ultimi summit diplomatici, nelle intenzioni di Bruxelles volevano celebrare l’annuncio della nuova fase di un’Europa unita, forte militarmente, compatta nelle intenzioni di allargarsi e contrastare i cattivi che la minacciano da est e gli ex amici che la denigrano da ovest. Tale visione non corrisponde alla realtà, fatta invece di un’organizzazione frammentata al suo interno, né uno super-Stato continentale né una conferenza di dialogo. La UE vorrebbe prendere il meglio di entrambi dimenticandosi degli aspetti problematici che implicano. I 27 Paesi membri hanno approcci e interessi molti diversi, talvolta inconciliabili, sia in generale sia in particolare rispetto all’Ucraina e alla Russia. E alcuni non nascondono di odiarsi cordialmente: le obiezioni di Italia e Spagna fanno storcere il naso ai nordici che ci reputano mediterranei pigri ed egoisti. Altri poi schifano decisamente l’Ungheria e la Slovacchia, definite con leggerezza come autoritarie e filo-russe.
Scetticismo
Gli slogan e le dichiarazioni di facciate sono ormai qualcosa di scontato. I politici ripetono sempre i medesimi copioni, ma poi sono pochi a dare un seguito immediato e concreto alle sbandierate intenzioni di riarmo e alla retorica anti-russa. E lo fanno ciascuno per le proprie ragioni. Lo fanno le Repubbliche baltiche per quella che sembra un’intrinseca russofobia, lo fa la Polonia per la volontà di potenza e per cogliere le chance economiche che offrirebbero in questa chiave gli USA, sembra possano farlo Germania e Francia per favorire il proprio complesso militare-industriale.
Ma in tutti permane lo scetticismo verso l’effettiva capacità politica e gestionale della Kallas e della von der Leyen in un frangente come questo, contemporaneamente delicato e pesante. Come dice l’ex ministro della Difesa slovacco Martin Sklenár, che pure è un sostenitore dei progetti di riarmo continentale, sarebbe un’impresa pressocché impossibile nel giro di un solo mandato trasformare la UE, un’ente basato su economia e democrazia, in un’organizzazione orientata principalmente alla difesa.

Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.