Governo Draghi, l’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO dovrà fare i conti con i parlamentari italiani pacifisti e filorussi

Governo Draghi, l’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO dovrà fare i conti con i parlamentari italiani pacifisti e filorussi

17 Maggio 2022 0

Sta diventando alta la tensione all’interno del Governo Draghi, il governo di tutti tranne uno. Ad alzare ulteriormente la temperatura è la richiesta di adesione alla NATO di Svezia e Finlandia che richiederebbe una ratifica parlamentare. Secondo i primi calcoli ciò dovrebbe avvenire prima del vertice NATO di Madrid che ne ufficializzerebbe l’iter, e quindi entro fine giugno. Se a ciò si aggiunge il voto su un nuovo invio di armi offensive all’Ucraina e il rinnovo del decreto Missioni che vedrebbe un cospicuo aumento dei militari italiani impegnati nei Balcani e nell’Europa dell’est si comprende che il rischio di scivoloni da parte dei partiti che compongono la maggioranza di Governo è estremamente alto visto le simpatie che riscuotono Putin e la causa russa tra gli scranni parlamentari e in particolare tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega.

E’ nella memoria di tutti il tweet scritto dall’ex presidente della Commissione Esteri del Senato, il grillino Vito Petrocelli, che per festeggiare il 25 aprile aveva scritto “Per domani buona festa della LiberaZione“. Una Z maiuscola, chiaro riferimento a quella utilizzata dai russi per segnare i propri mezzi armati nella guerra in Ucraina, che aveva fatto trasecolare i social ma ancor di più i colleghi di partito, tra tutti l’ex premier Giuseppe Conte. Proprio Conte ha provveduto all’espulsione dell’esponente per evitare il linciaggio mediatico del partito da parte del fuoco “amico” degli esponenti del Partito Democratico che non hanno visto l’ora per affondare i denti sugli alleati di coalizione. Sicuramente l’uscita di Petrocelli risulta essere infelice, in particolare per il ruolo istituzionale che rivestiva a capo della Commissione Esteri di Palazzo Madama; in medio stat virtus, e sicuramente Conte, con il suo pacifismo intransigente, in questo momento risulta il principale alleato della Russia. “Non siamo disponibili ad una escalation militare, l’unica escalation che vogliamo è quella diplomatica. Non possiamo impegnarci in una forsennata corsa al riarmo o nella via di fornire armamenti sempre più pesanti e offensivi” ha tuonato al congresso di Articolo Uno richiamando apertamente il Governo italiano al rispetto della Costituzione italiana che ripudia la guerra, in ogni sua forma.

Una posizione intransigente ed equilibrata, sicuramente più efficace rispetto agli atti di fede, che sfociano quasi nel tifo per il leader russo, palesato invece da altri esponenti politici italiani, in un momento nel quale nel Belpaese di è in preda ad una generalizzata isteria russofoba, molto vicina ad un maccartismo “alla matriciana”. Si pensi ad esempio all’ex grillina Laura Granato che chiamata a rispondere sulla sua assenza all’audizione di Volodymir Zelensky in Parlamento ha definito il presidente russo “l’argine a questo impero unico globale mentre Zelensky è parte di esso“. Una opinione molto simile a quella espressa dall’idolo degli antiabortisti il leghista Simone Pillon e da grillini come Gabriele Lorenzoni ed Enrica Segneri e Veronica Giannone e Matteo Dall’Osso, già russofili del Movimento oggi approdati in Forza Italia.

Tra gli equilibristi invece possiamo annoverare gli esponenti di Italexit, Gianluigi Paragone, William De Vecchis, Mario Giarrusso e Carlo Martelli che a più riprese hanno denunciato come “il presidente ucraino non è un ambasciatore di pace” e “se gli diamo retta trasciniamo tutta l’Europa in un conflitto globale che avrebbe conseguenze catastrofiche per il Pianeta e per l’umanità“. Dello stesso avviso il deputato grillino Nicola Grimaldi, che in quei giorni aveva avanzato la proposta di incontrare in videoconferenza anche il presidente russo. “È una richiesta legittima? Sì, perché il torto e la ragione non stanno mai da una parte sola e non si possono dividere con un taglio netto. Bisogna essere imparziali“. Una posizione appoggiata proprio dal forzista Matteo dell’Osso che spiegava come fosse orientato a non partecipare all’audizione del leader ucraino tuonando “Si dà visibilità solo ad una parte. Anche Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene!“.

Pino Cabras, anima degli ex grillini del gruppo l’Alternativa: “Quello di Zelensky in Parlamento sarà un reality show. E noi, a fare la parte dei figuranti che non hanno nemmeno la possibilità di togliersi qualche dubbio e fare qualche domanda, non ci stiamo. E poi c’è un problema di democrazia in Ucraina, così come in Polonia e in alcuni Paesi baltici. L’invasione di Putin la condanniamo ma non si può negare che a Kiev abbiano sospeso undici partiti e favorito gruppi con vicinanza a idee ultra-nazionaliste“. Una opinione sicuramente tranchant quella espressa da Cabras che dimostra come i simpatizzanti del presidente russo in Parlamento abbiano anche argomentazioni solide tanto che lo scioglimento dei partiti filo russi è tornato a fare notizie proprio in queste ore. Olha Sovgirva, deputata del partito Servi del Popolo di cui Zelensky è leader ha infatti annunciato lo scioglimento in via definitiva di quegli undici partiti. Tra questi c’è anche “Piattaforma di opposizione – Per la vita”, il più grande tra i partiti vicini alla Russia. Fondato nel 2018 e capace di esprimere 44 seggi su 450 il cui leader, il deputato 67 enne Victor Medvedchuk, da alcune settimane è stato posto in modo arbitrario e senza processo agli arresti. Sicuramente non una grande dimostrazione di rispetto delle regole democratiche… La verità è che dietro alla etichetta “filorussi” vi è un fenomeno in atto ben più grave. Vi è il tentativo di appiattire in Italia il dibattito politico su un pensiero unico portando alla denigrazione dell’avversario.

Un tentativo di omologazione le cui prove generali si sono vissute già con la pandemia, dove chi provava a sollevare perplessità, ad esprimere cautela o a chiedere approfondimenti veniva bollato nei talk-show come negazionista. Emblematico in questo caso è l’assenza di inviti in trasmissione, in particolare quelle della TV di Stato, per il pedagogista Daniele Novara, e non perchè esponente no-vax (non lo è assolutamente N.d.R.) ma solo perchè non perdeva occasione – dall’alto della sua competenza professionale – che fosse necessario tenere le scuole aperte in contrasto con la posizione del Governo per evitare danni irreversibili per le future generazioni. Una situazione analoga l’ha vissuta il presidente di Anpi, Gianfranco Pagliarulo, che il 4 aprile in un comunicato in cui condannava “fermamente” la strage di Bucha, chiedeva semplicemente una commissione di inchiesta internazionale “per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili“. Da quel comunicato si è scatenata una vera e propria campagna diffamatoria e denigratoria nei confronti di Pagliarulo reo di intelligenze con il nemico. L’apice, al ribasso, l’ha toccato sicuramente Il Foglio, o quel che resta del giornale liberale che fu, con il titolo “Se starnazza come un putiniano, è un putiniano“, un articolo di una volgarità e una partigianeria da scadere nel goebbelismo. Ci sarebbe infatti da comprendere come richiedere una inchiesta super partes possa costituire un ammiccamento verso il nemico, visto che risulta solo essere una operazione di buon senso a meno di non scadere nel tifo da stadio. Anche perchè il fatto che Anpi nel condannare in un altro scritto sì l’invasione russa dell’Ucraina ricordi esprima posizione anti-NATO e anti-Usa è una posizione storica del movimento antifascista. ANPI infatti ha ribadito le “clamorose ingerenze nella vita interna dell’Ucraina” degli Stati Uniti e ha rintracciato nel “continuo allargamento della Nato ad Est, vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia” un problema. Due cavalli di battaglia storici ribadiamo per Anpi, da sempre schierata per il pacifismo e contro qualsiasi tentativo di destabilizzazione dello scacchiere mondiale quale tsunami antipace. Il problema è che qui che era normale fino a ieri, oggi non lo è più in Italia e in Occidente. Una deriva autoritaria non molto dissimile da quella che viene tanto condannata e attribuita proprio al Cremlino in Russia. Se non si è liberi di esprimere il proprio pensiero, se si perde il proprio posto di lavoro quando si tenta di garantire una informazione equidistante (i licenziamenti di Alessandro Orsini e Bianca Berlinguer insegnano) significa che non tira una bella aria per la libertà di parola e di pensiero. Soprattutto diventa difficile apparire come esportatori di democrazia, ma questa è un’altra storia fatta di decenni di superiorità morale ed etica che purtroppo i fatti hanno dimostrato troppe volte cozzare con la realtà. L’esportazione di democrazia solitamente è la scusa di comodo per portare a casa gli interessi economici del proprio paese.

Marco Fontana
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