Zelensky torna da Washington con un solo Patriot e con tanti dubbi
Un’aura di simbolismi ha accompagnato la visita a Washington del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, tenuta segreta fino all’ultimo momento. La cordialità e i sorrisi offerti nel vertice avvenuto il 21 dicembre non sono riusciti però a mascherare i dissensi e gli imbarazzi trapelati dall’incontro con Joe Biden.
Questa è anche una guerra di narrazione e di immagini, dunque era importante per il POTUS presentarsi con una cravatta in tinta con la bandiera ucraina, mentre Zelensky ha indossato una felpa col consueto verde militare con l’emblema nazionale ricamato sul petto. Il presidente ucraino ha donato una bandiera firmata dai suoi soldati e ha ricevuto dalla speaker della Camera Nancy Pelosi una teca con una bandiera americana fatta sventolare sul Campidoglio in suo onore.
Ancora miliardi di dollari per Zelensky, ma i Repubblicani…
Dopo le elezioni di midterm a novembre, gli equilibri interni della politica americana si sono modificati, anche se non in modo eclatante. Così, pur non avendo la piena certezza di poter dare tutto ciò che vorrebbe, Biden ha invitato Zelensky alla Casa Bianca facendogli compiere un viaggio lungo e rischioso fuori dall’Ucraina, il primo dal 24 febbraio. Solamente di persona hanno potuto stabilire l’ingresso del conflitto in una nuova fase, caratterizzata dal tentativo russo di dominare lo spazio aereo con attacchi missilistici riusciti alle infrastrutture energetiche.
La retorica della guerra di Zelensky
Dal colloquio fra i due leader è emerso il timore di uno stallo della guerra, il risultato opposto rispetto ai proclami di questi mesi su un imminente collasso della Russia dovuto alla carenza di munizioni, di carburante, di uomini o di viveri. Oggi invece Kiev e Washington si chiedono come fare per concludere le ostilità salvando la faccia e magari anche il governo a Zelensky. Quest’ultimo aveva espresso il desiderio di una “pace equa”, che secondo fonti americane sarebbe stata oggetto del vertice del 21 dicembre.
Tuttavia, nei suoi interventi alla Casa Bianca e al Congresso l’ex attore comico si è espresso con una retorica bellicosa, incentrata sulla vittoria che più che sulla pace. Ha fornito la sua formula in dieci punti per concludere il conflitto, la stessa presentata al G20 di novembre. Biden ha commentato dicendo che spetta al presidente ucraino decidere in che modo vuole che la guerra finisca, ma tale chiarimento lascia più domande che risposte.
Poco prima del vertice, l’amministrazione democratica aveva annunciato l’ennesimo aiuto per la sicurezza dell’Ucraina con una tranche da 1,85 miliardi di dollari, ma Zelensky nel suo discorso ha voluto specificare che il denaro americano non è beneficenza. È un investimento nella sicurezza globale e nella democrazia, che gli ucraini stanno gestendo nel modo più responsabile possibile. Non sarà così semplice per Biden far approvare i finanziamenti che ha in mente, compreso il promesso da 47 miliardi. I Repubblicani, infatti, hanno già fatto sapere che non si limiteranno a dire sì, ma chiederanno conto di tutti i dollari concessi. Alcuni deputati repubblicani hanno persino rifiutato di presenziare all’ospitata di Zelensky in segno di protesta verso il defluire incontrollato di dollari verso Kiev.
Arriva il Patriot, uno solo
Un conseguimento importante per il presidente ucraino è stato l’ottenimento del celebre sistema difensivo antiaereo “Patriot”, sul quale Kiev insisteva da tempo. A Zelensky però ne è stato promesso uno soltanto, al posto dei tanti che desiderava per cambiare le sorti del conflitto. Nella sua “letterina di Natale” postata su Twitter, il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak aveva inserito cinque cose che sognava di ricevere da Washington: ben quattro gli sono state negate.
Tra di esse, i veicoli tedeschi da combattimenti Leopard e Marder e quelli americani M1 Abrams. Da Berlino ribadiscono di non essere pronti a fornire i loro carri armati a meno che gli USA per primi non diano i propri. Il portavoce del governo tedesco Steffan Hebestreit ha dichiarato che la Germania, pur sostenendo l’Ucraina il più possibile, ha come priorità tenere la NATO fuori dallo scontro diretto con la Russia.
Secondo gli americani, gli ucraini hanno già abbastanza carri armati, anche se i dati provenienti dal campo sono diversi. Inoltre giustificano il rifiuto di nuovi tank spiegando che gli M1 Abrams sono molto difficili da gestire e mantenere. Dare a Kiev missili a lungo raggio che possano colpire obiettivi situati in territorio russo significherebbe, poi, rischiare di frantumare l’unità dell’Alleanza Atlantica. Lo stesso Biden infatti ha detto che i membri della NATO non stanno cercando di entrare in guerra contro la Russia. Dunque a Zelensky non daranno nemmeno gli ATACMS (Army Tactical Missile System), i razzi che Podolyak aveva inserito nella sua “lista dei desideri” per l’America. Alla fine solamente una batteria di Patriot, una sola, che secondo un rappresentante della Difesa USA rappresenta comunque un passo nella direzione di una protezione stratificata contro gli attacchi russi dal cielo. Ma per Zelensky si tratta di una pesante delusione.
L’insoddisfazione del presidente ucraino
Nel suo discorso al Congresso il presidente ucraino ha detto di ritenere questo aiuto insufficiente: È abbastanza? Onestamente, proprio no. E al suo collega americano ha detto: Vorremmo avere più Patriot. Mi spiace, ma siamo in guerra, ha detto Zelensky. Di fronte a queste schiette parole, Biden si è limitato a ridacchiare. Non è stato l’unico momento in cui si sono viste crepe nell’immagine, finora mostrata, dell’alleanza incrollabile fra USA e Ucraina e della perfetta sintonia fra i due capi di Stato. Durante il tête-à-tête nella Stanza Ovale, è stato vagamente imbarazzante vedere Biden esprimere la sua ammirazione per il popolo ucraino e per il suo leader leggendo un foglio che reggeva sulle ginocchia.
Per quel genere di semplice retorica e di frasi fatte, doversi affidare a un testo scritto non è un segno di grande interesse né di puntigliosa preparazione per un argomento che ci dicono essere al centro di una lotta epocale.
Le divergenze fra Biden e Zelensky secondo gli analisti americani
Secondo Ivo Daalder, ex ambasciatore Americano alla NATO e oggi presidente del Chicago Council on Global Affairs, l’unità di intenti nel respingere l’attacco russo non implica automaticamente che Washington e Kyiv procedano armoniosamente a braccetto. Il vertice della scorsa settimana è stato così un’opportunità di riaffermare almeno la condivisione degli obiettivi generali. Biden è ancora preoccupato di non spingersi troppo avanti e troppo in fretta, per paura di un’escalation. Zelensky vuol chiarire che ha bisogno di questo continuo sostegno che, in tutta franchezza, solamente gli Stati Uniti possono fornire, dice Daalder.
Ma al termine della visita del 21 dicembre, che nella sostanza non è stata altro un summit di guerra, si è rivelato il fondamentale divario fra gli approcci dei due alleati e fra le loro strategie per concludere il conflitto. Biden non parla più di un’eliminazione completa del potenziale bellico di Mosca nè della vittoria dell’Ucraina, che non ha citato nemmeno una volta nel suo colloquio con Zelensky. Da fonti interne trapela che Washington stia suggerendo di ricorrere alla diplomazia per trovare una via di uscita. Zelensky invece ha usato per ben undici volte la parola “vittoria” nel suo discorso al Congresso.
Rivedere il concetto di “vittoria assoluta”
La sua unica formula per avere la “pace equa” auspicata da Biden consiste nel ritiro totale dei russi dal territorio ucraino, compreso quello già entrato a far parte della Federazione Russa, come la Crimea. Quindi, come dice l’editorialista dello Washington Post David Ignatius, nel 2023 i due alleati dovranno tornare sull’argomento e rivedere il concetto ucraino di “vittoria assoluta” e di fine del conflitto, per giungere a una maggiore chiarezza e convergenza fra le parti. Così, l’aura di simbolismi che ha accompagnato la visita a Washington di Zelensky, la cordialità e i sorrisi offerti nel vertice del 21 dicembre, alla fine non sono riusciti a mascherare i dissensi e gli imbarazzi t
52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.