Un “Armageddon” socioculturale
Il termine “Armageddon”, di derivazione ebraica, sta a significare lo svolgersi di un evento e scontro epocale con l’indicazione del luogo dove questo dovrebbe avvenire: il monte di Megiddo (Har Megiddo) dell’Antico Testamento. Nella storia, il termine è stato spesso evocato per definire fasi storiche di guerra, come la Prima o la Seconda Guerra mondiale, in cui civiltà e culture diverse venivano allo scontro per definire la dominanza dell’una o dell’altra.
Non diversamente, oggi, ci troviamo di fronte a una fase storica che sta mettendo in discussione un modello socioculturale che si è andato affermando negli ultimi due secoli, a partire dal campo della speculazione – Kant e l’idealismo tedesco come origine e Marx come epilogo – e che ha avuto una forte accelerazione negli ultimi 30 anni. Il modello socioculturale si è andato definitivamente affermando verso una forma di accentuato materialismo di tipo sensistico.
Contano più i mezzi dei fini?
Il modello in discussione, quindi, ammette come verità soltanto ciò che si vede, si tocca e si misura. Di conseguenza, le scienze che spiegano la “verità” sono quelle tecniche/razionali, che da conoscenza specifica e materiale hanno assunto l’ordine di conoscenza morale, cioè l’essere un bene tale che non venga messo in discussione. Si sviluppano così le scienze che indagano la fisica, la medicina, la matematica, la chimica e la biologia, ma non quelle che si occupano della dimensione trascendente della persona come la religione, la filosofia e le scienze umanistiche in senso lato.
L’individuo viene, così, sempre più visto e studiato come macchina termodinamica e non come persona. La cultura prevalente diventa estremamente pragmatica e suggerisce di rispondere alla domanda “come si fa?”, mentre la domanda “che cos’è?” rimane in secondo piano: così l’attenzione ai mezzi finisce per prevalere rispetto all’attenzione ai fini che sono dati.
Il miraggio della razionalità
Tale approccio, definibile come il miraggio della razionalità, parte dallo studio delle scienze naturali e si estende alle scienze sociali come l’economia e la finanza, nell’idea che i modelli di studio – diventati autoreferenziali – siano indipendenti (come nelle scienze naturali) dalla realtà, dimenticando che l’intrinseca emozionalità dell’uomo è una variabile che condiziona sempre le sue scelte.
Quando il nostro pensiero è parte integrante della realtà in cui viviamo viene meno la separazione, perché nelle nostre scelte saremo sempre condizionati da aspettative emozionali euforiche o depressive: ad esempio, quando la gente vende o compra titoli lo fa su aspettative, non su conoscenze. L’economia e la finanza di conseguenza assumono questo imprinting diventando autoreferenziali, e dettano le regole del divenire delle società e delle persone indicando ad esse il percorso della “verità”.
Una società che punta solo alla quantità
L’economia e la finanza diventano la condizione necessaria e sufficiente per avere una buona società e le loro regole sono verità da non mettere in discussione. Le regole sono la variabile indipendente e la società e le persone la variabile dipendente; così viene a modellarsi nel tempo una società valutata in termini quantitativi che esaspera modelli sociali conflittuali e spinge a forme crescenti di individualismo finalizzato a realizzare il massimo risultato a breve a costo di normalizzare comportamenti illeciti.
Si finisce per dare spazio all’ancestrale avidità dell’uomo. Si è così generato il più imponente travaso di ricchezza che la storia ricordi: gli Usa, ad esempio, hanno lo stesso livello di concentrazione di ricchezza che avevano nel 1929 prima della grande depressione e più simile, oggi, a quello della Bolivia e della Colombia rispetto a quello degli Stati europei, nonostante la frase più simbolica di questo Paese come espressione della democrazia e dell’uguaglianza sia e pluribus unum.
Progressiva della caduta dell’ordine morale
Un altro aspetto comportamentale che caratterizza l’evoluzione della società a seguito della diffusione di tale modello culturale è la progressiva caduta della tensione e dell’ordine morale come possiamo osservare negli scandali quotidiani, perché l’esclusiva attenzione agli obiettivi di profitto e di risultato mette in secondo piano l’attenzione all’etica, spesso ripresa come valore da recuperare.
L’idea che la “verità” debba essere misurabile confina l’ambito dei valori più metafisici – etica, solidarietà, equità, felicità, moralità – espressi da sentimenti non misurabili in un’area dai confini non più chiaramente definibile quindi opaca e non immediatamente applicabile nei comportamenti quotidiani. Ne risulta che oggi la società ha difficoltà a capire l’essenza delle cose e di fare ciò che è giusto di fronte ad essa; è il senso di giustizia che Platone aveva definito come il compendio del dovere umano.
Il pensiero unico tecnico-razionale
Questo modello socioculturale è oggi in discussione, perché il pensiero unico tecnico-razionale che lo sostiene ha soffocato il pensiero creativo, il quale è l’unico che porta avanti la società con la libera associazione di idee, come la storia dimostra. Inoltre l’esclusiva attenzione alle scienze tecniche orienta il pensiero solo al futuro e lo rende, di conseguenza, incapace di leggere i tempi della storia e di conservarne la memoria, funzionale a mantenere il principio di previdenza.
Così la nazione espressiva di quel modello, gli USA, si trova di fronte al grande dilemma del suo futuro e del rapporto con un mondo che essendo sempre più interdipendente richiede la rivisitazione di un modello socioculturale in grado di riportare l’uomo al centro dell’economia. Infatti – paradossalmente – questa cultura ha generato uno strumento che si autogenera e si mantiene sempre più indipendente dall’uomo che è diventato un suo mezzo e non più il suo fine.
Il declino della cultura americana in favore dei specialisti delle materie tecniche
È significativo come negli ultimi 50 anni tutti i premi Nobel di materie tecniche – fisica , medicina , economia – siano stati vinti dalla cultura americana, mentre quelli umanistici – la letteratura – solo dalla cultura europea o latinoamericana .
Alla luce di queste considerazioni proviamo a leggere la storia dei nostri tempi e in che misura questo contesto condizioni il nostro futuro: cosa rappresenta l’euro non solo come dimensione economica, ma soprattutto come dimensione sociale e culturale.
Un po’ di storia
La caduta del muro di Berlino nel 1989 ha rappresentato il fallimento del socialismo reale, giustificando per contro il successo di un’economia più liberista e la sua definitiva affermazione, portando qualche studioso americano ad affermare che “la Storia è finita”. Il pensiero tecnico-razionale ha sviluppato una specializzazione esasperata nello studio dell’economia e della finanza sempre più razionalista, legato alle scienze esatte e algido rispetto alla dimensione della natura umana (e per questo sempre più autoreferenziale e distaccato dalla realtà).
Nell’anno successivo, il 1990, l’Accademia delle Scienze assegna il Nobel a Harry Markowitz, Merton Miller e William Sharpe per i contributi pionieristici nel campo della finanza ,a Robert Lucas nel 1994 per l’approccio razionale all’economia e alla finanza (ecco che i mercati diventano razionali), e infine a Robert Merton e Myron Sholes nel 1997 per le teorie sullo sviluppo dei derivati (questi ultimi saranno protagonisti l’anno successivo del default della LTMF, che aveva applicato in modo disastroso le loro teorie, i “Nobel bond”).
Nello stesso periodo le società di consulenza propongono la vendita del prodotto “Creare valore per gli azionisti” alle società manifatturiere, dove è difficile creare qualcosa di straordinariamente innovativo; si gioca così sull’emozione tramite la presentazione di trimestrali che incorporavano sistematicamente la prefatturazione dei primi giorni del trimestre successivo. Alla fine dell’anno, per riconciliare i dati si convincono i clienti ad accettare il passaggio dei magazzini interni a loro con fatturazione annessa; per forzare il risultato e ridurre i costi, si delocalizzano e si esternalizzano tutte le attività possibili, il tutto in una logica di breve tempo in linea con le aspettative dei mercati finanziari, ma non con le attese di lungo tempo dell’economia reale.
Gli impairment test, quindi, consentono di anticipare le aspettative di redditività futura e il valore delle azioni vola sempre più lontano dal valore reale e giustifica la creazione del mercato dei derivati. Negli stessi anni, Geenspan inonderà il mercato di liquidità e così il processo di finanziarizzazione dell’economia si chiude e ci porta all’attuale fase storica.
La vittoria della finanza
La consegna di quei Nobel ha così rappresentato un lasciapassare per l’applicazione di modelli sofisticati e sempre più ingegneristici nella finanza e la loro applicazione autoreferenziale nel tempo è stata disastrosa. Le banche d’affari di cultura anglosassone si sono combattute per assumere fisici nucleari, statistici, fisici e matematici puri per costruire i loro modelli di governo della finanza.
È emblematico che nonostante il fallimento di questa cultura e gli ammonimenti di economisti come Stglitz, Sen e Krugmann, l’Accademia delle Scienze lo scorso anno abbia premiato due economisti americani per l’approccio razionale all’economia ed alla finanza. La finanza è diventato lo strumento di più rapido arricchimento privilegiando la concentrazione della ricchezza e finendo per assumere il ruolo di strumento dominante nel mondo alternativo a quello bellico.
L’amoralità della finanza
La finanza inoltre opera in un contesto “amorale”, perché chi decide in finanza non si pone il problema delle conseguenze sociali delle sua decisioni, spinto dalla massimizzazione del risultato del singolo a breve lesivo degli interessi collettivi, che richiedono invece un orizzonte temporale a lungo tempo. I modelli culturali della finanza si sono estesi anche ai modelli di vita delle società, ma con impatti diversi in Europa e negli USA contribuendo a marcare le differenze di tipo culturale e sociale tra le due realtà che il muro di Berlino aveva contribuito a mantenere meno distanti.
La civiltà occidentale oggi non è più oggi il tutto che era 40 anni fa, e infatti abbiamo una cultura anglosassone che privilegia un modello di governance basato sul mercato – l’ottimo del singolo a breve – e quella europea che privilegia un modello di governance basato sulla sussidiarietà – l’ottimo del sistema nel lungo periodo.
I due modelli, espressivi di vedere in modo diverso il divenire della società sono oggi allo scontro; in senso più ampio e globale riprendendo il senso del titolo ci troviamo di fronte non ad una crisi ordinaria che capita più o meno ogni decennio, ma davanti ad una delle grandi transizioni della storia umana, quando ad una forma di cultura ne succede un’altra, come diceva Pitirim Sorokin nel suo lavoro del 1941 dal titolo “The crisis of our age”, ripresentato in italiano nel 2000 (ed. Arianna , Bologna ) e presto dimenticato.
Addio all’economia reale
Lo sviluppo della finanza ha creato un economia finanziaria straordinariamente sovradimensionata rispetto all’economia reale – il 95 % delle transazioni in derivati passa per 5 banche d’affari – e il suo governo è altamente concentrato in pochissime istituzioni il cui potere, oggi , è in grado di determinare la stabilità dei singoli Stati. Tutto è diventato finanza ed i prezzi di oggi sono fatti sulle aspettative dei prezzi futuri fatti da scommettitori lontano dalla realtà e così il valore di scambio si allontana sempre di più dal valore d’uso.
I dati macroeconomici su cui si cerca di programmare il futuro sono sempre scivolosi e cambiano in continuazione perché il sistema reale è lontano da quello culturale della finanza, dove i dati si costruiscono ma siamo lontani dalla terra.
Il tema di fondo che si è sviluppato negli ultimi anni non è pertanto solo un problema di tipo tecnico-finanziario, ma riguarda di fatto la ridefinizione degli equilibri globali di potere. L’esercizio del potere finanziario diventa anche un mezzo per influenzare le politiche globali: è infatti curiosa la correlazione tra il recente crollo dello spread in Italia in presenza di un peggioramento significativo degli equilibri del Paese e in generale la minore tensione sull’euro.
La tendenza a proporre provvedimenti meccanicistici
A questo punto sembra evidente che il problema degli equilibri finanziari non sia solo un problema tecnico, ma investa una dimensione molto più complessa che mette in discussione i modelli di sviluppo non solo economici e finanziari in essere ma in particolari quelli legati alla dimensione sociale e culturale. Sono l’economia e la finanza le condizioni necessarie e sufficienti per avere una buona società oppure è il contrario? A seconda si privilegi una o l’altra delle ipotesi i percorsi di soluzione sono completamente diversi.
Se si pensa che la crisi dipenda da un problema di regolazione dei mercati la si potrà risolvere, come molti sostengono, tramite provvedimenti meccanicistici – le regole – esterni alla società; viceversa se si pensa che il problema dipenda da un modello socioculturale che non risponde più ai problemi della società bisogna domandarsi come riorientare il modello di valori e di vita della nostra società .
La stabilità dell’euro dipenderà in gran parte da come saremo in grado di rispondere a queste domande nel modo più corretto; in sostanza i temi sul tappeto sono i seguenti:
- Il livello di interdipendenza tra Stati a livello globale non consente che possa essere risolto con la dominanza né di un singolo Stato né da un unico modello culturale;
- Il fallimento del capitalismo esasperato ha dimostrato che il liberismo che si afferma è quello del più forte (il modello sociale americano è chiaramente evoluto verso l’oligarchia) ed ha generato squilibri a livello globale non facilmente risolvibili;
- La ricerca di nazionalismi esasperati è contrario alla ricerca di un bene comune globale e nella Storia è stato sempre propedeutico al fallimento (dalle polis greche in avanti) ; la collaborazione e la solidarietà devono ispirare un processo comune al fine di ridare un senso compiuto a termini oggi sfuocati come sono l’etica, la morale, l’equità… ;
- La condivisione di politiche più rigorose è fondamentale a ricompattare l’Europa. In questo senso le politiche fiscali devono accompagnare questo processo; è necessario trovare la cura in grado di affrontare i problemi alla radice e diventare, ormai, nel tempo meno dipendenti dalla finanza globale e dai valori che esprime;
- L’economia finanziaria, in definitiva, rappresenta nella sua dimensione attuale un perenne e mortale rischio per l’economia reale; si rendono necessarie politiche in grado di ridimensionarla ed a favorire, specie nei Paesi più deboli, il forte ritorno all’economia reale .
Il ruolo e il futuro dell’Europa
Personalmente ritengo sbagliato affermare il declino del mondo occidentale tout court, data la diversità al suo interno. Riprendendo la visione di Romano Guardini che condivide il ruolo determinante che l’Europa potrà avere nel futuro complessivo del mondo. Di fronte ad un dominio della scienza tecnica, percepita come valore assoluto, sulla natura dell’uomo spetta all’Europa la critica di questa modello in “Europa, realtà e compito” afferma
perché ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi ma come destino che rimane indeciso dove condurrà… L’Europa ha prodotto l’idea della libertà – dell’uomo come sua opera – ad esse incomberà nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo pervenire alla libertà di fronte alla sua propria opera
Guardini presentava questo pensiero negli anni sessanta del XX secolo e come tutti i grandi e veri pensatori di quel periodo che si chiude all’inizio degli anni settanta aveva perfettamente individuato l’attuale fase della nostra storia e la crisi del nostro tempo.
È Dottore commercialista, revisore contabile e Professore ordinario di Economia Aziendale, Università Bocconi. Docente senior dell’Area Public Management & Policy della SDA Bocconi. Ha insegnato presso l’Università di Parma e Trento. È stato visiting professor alla Harvard Business School e alla Harvard School of Public Health.
Ha rivestito il ruolo di membro della Commissione sul riordino dei sistemi di controllo presso il Dipartimento della Funzione Pubblica; componente dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale e della Società Italiana di Storia della Ragioneria; membro del Comitato scientifico nazionale di Legautonomie; membro del Comitato scientifico dell’European Centre for Public Affairs, Bruxelles; membro del Consiglio Generale della Fondazione Cari-Parma e membro del Comitato editoriale delle riviste Azienda Pubblica ed “Economia & Management”.
Membro del Comitato Scientifico Editoriale della Rivista “Azienda Pubblica”, Maggioli Ed., Rimini , della Rivista “Economia & Management” RCS Ed. Milano, “Quaderni di ricerca sull’Artigianato”, Mestre , della rivista “Finanza” , Roma, Membro del comitato scientifico della rivista “I controlli nelle società” dell’Ordine dei Dottori commercialisti di Milano.
E’ stato membro della Commissione sui principi contabili delle amministrazioni pubbliche presso il Ministero dell’Interno