Sindaco di Istanbul ancora in carcere, ma l’Occidente preferisce tenersi buono Erdoğan
Le proteste e le polemiche intorno alla detenzione del sindaco di Istanbul continuano ormai da più di un mese. Nel frattempo è possibile osservare come i partner occidentali di Erdoğan rimangano in silenzio o siano costretti a curiosi equilibrismi per non innervosire il presidente turco.
Le proteste interne crescono
Il sindaco della capitale Ekrem İmamoğlu è stato incarcerato a fine marzo, sospeso dal mandato e sostituito. Oltre a lui sono stati arrestati finora almeno 150 funzionari del Comune di Istanbul con l’accusa di corruzione. İmamoğlu, che era in carica dal 2019, ha rigettato ogni addebito, definendo l’accaduto come una persecuzione politica nei suoi confronti e nei confronti delle forze di opposizione. Le proteste di piazza si sono intensificate col passare delle settimane. Ma anche la risposta del governo si è fatta più dura: in vista delle dimostrazione del 1° maggio ha infatti schierato un imponente numero di agenti, 52mila, mentre la polizia ha messo in stato di detenzione più di 400 persone.
I rapporti con gli USA sempre più cordiali
A Washington l’eco delle proteste a Istanbul arriva smorzata. La Casa Bianca è concentrata nel tessere trame insieme a Erdoğan, che per gli USA è una sorta di rivale regionale con cui si può dialogare e cooperare. Le difficoltà principali sono rappresentate dalle ambizioni neo-ottomane di Ankara e dal suo profondo anti-sionismo. L’atteggiamento verso Tel Aviv è peggiorato negli ultimi vent’anni, fino ad essere apertamente ostile. Ma Israele è appoggiato incondizionatamente da Trump. Gli approcci del presidente americani hanno mostrato che è possibile superare questi ostacoli per ricavarne invece dei vantaggi. A Erdoğan ha chiesto anzitutto di dare una mano nella conciliazione fra Russia e Ucraina, poi lo ha invitato a fare pressioni sull’Iran nell’ottica dell’accordo sul nucleare, e non solo.
Agli occhi di Washington, il grande merito del presidente turco è di aver lavorato intensamente per far crollare la Siria di Assad. Infatti, proprio durante un vertice col leader israeliano Netanyahu, Trump si è congratulato con Erdoğan per questo risultato e ha magnificato il loro “fantastico rapporto”. E adesso il nuovo ambasciatore americano ad Ankara Tom Barrack si dedicherà a fare della Turchia un partner strategico degli USA nella regione. Il presidente turco si è detto felice per come Trump “tenga in considerazione le sensibilità” della Turchia e ha dichiarato di volerlo incontrare personalmente appena possibile.
Le reazioni in Europa
Con l’Europa le cose sono più complicate e più sfaccettate, se non altro perché nel Vecchio Continente le voci sono molto più numerose che in Nord America. L’atteggiamento diffuso è di biasimo verso quanto sta accadendo, ma i governi europei non prendono pubblicamente posizione. Si tratta di convenienza politica e altresì è un trattenersi da ingerenze negli affari interni di un Paese terzo. Le denunce e gli appelli alla democrazia sono quindi lasciati a soggetti importanti, ma meno influenti, come sindaci o deputati di opposizione.
È il caso dell’Italia, dove il governo non commenta i fatti di Istanbul, ma a Firenze sulla facciata di Palazzo Vecchio l’amministrazione comunale ha fatto proiettare il volto di İmamoğlu e una scritta a suo favore. La sindaca Sara Funaro insieme al suo predecessore Dario Nardella, oggi europarlamentare, hanno pubblicamente invocato la liberazione dell’avversario di Erdoğan in nome dei valori liberali. Inoltre, il leader dell’opposizione turca Ozgür Ozel è stato di recente a Roma e in un’intervista al Corriere della Sera ha chiesto all’Europa di “alzare la voce” per difendere la democrazia, poiché in Turchia “è in atto un colpo di Stato”.
In Francia, a parlare è stato il vice portavoce del Ministero degli Esteri, che a fine marzo ha emesso un comunicato. Ha detto che gli arresti costituiscono un attacco alla democrazia e che Parigi è “molto preoccupata a tal riguardo”. Non certo parole di fuoco né gesti eclatanti, dunque. Poi chiede ad Ankara di rispettare l’opposizione e la libertà di espressione, e di onorare gli impegni presi come membro del Consiglio d’Europa. Proprio l’Assemblea parlamentare di questo organismo (PACE) ha approvato una risoluzione con cui esorta a lasciare libero İmamoğlu poiché il suo arresto e la sua detenzione paiono basate su motivi politici, in primis quello di impedirgli di correre alle prossime presidenziali. Ha anche chiesto di lasciar cadere le accuse infondate contro di lui e contro gli altri funzionari coinvolti.
Londra e Berlino, atteggiamenti diversi
Poca empatia anche da parte di Londra. Anzi un assordante silenzio, come lamentato dallo stesso Ozel, che parlando in televisione ha sottolineato l’indifferenza del Partito Laburista britannico e del primo ministro Keir Starmer, minacciando ritorsioni contro di loro nell’ambito dell’Internazionale Socialista. Gli unici a fare un passo concreto sono stati i tedeschi, sebbene non abbiano esplicitato di aver preso la decisione per protestare contro l’arresto di İmamoğlu. Berlino ha infatti bloccato alla Turchia l’acquisto di quaranta caccia Eurofighter Typhoons, un progetto congiunto che coinvolge anche Spagna, Italia e Gran Bretagna e in cui occorre l’assenso di tutti questi Stati. Il governo tedesco non ha fatto alcun commento che spiegasse in dettaglio questa decisione, ma è facile immaginare come sia legata al sindaco di Istanbul.
Troppo importante per criticarlo
Questa vicenda sembra dare ragione a chi crede che Erdoğan sia troppo importante per l’Occidente per poterlo criticare e accusare direttamente. Ankara è fondamentale oggi per la NATO e per la sicurezza energetica dell’Unione Europea. Una Turchia stabile e prevedibile è meglio di una in preda alle convulsioni e alle trasformazioni politiche, magari accompagnate da agguerrite proteste di piazza. È questa la realpolitik alla quale si attengono i leader europei. Il pragmatismo non è di per sé nulla di male. Tuttavia, nel caso di certi governi dell’Europa settentrionale che si riempiono la bocca di proclami su libertà, democrazia e valori umani, questo atteggiamento diventa dolorosamente ipocrita, oltre che miope.

Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.