Se Trump non dà i missili a Kiev può ottenere la conclusione delle ostilità ed evitare uno scontro nucleare USA-Russia
Trump ha di fronte a sé poche scelte, fra le quali oscilla di settimana in settimana. Dare i missili Tomahawk e altri armamenti sofisticati e potenti in mano a Zelensky per provare a fargli vincere la guerra, dove crede quest’ultimo? Se lo facesse, porterebbe con sé il mondo sul precipizio della guerra nucleare. Trattenersi dal fornire armi avanzate a Kiev? In tal caso potrebbe ottenere la fine delle ostilità, proprio come aveva promesso in campagna elettorale. Lo scrive la rivista American Thinker, che ripercorre le tappe tortuose della politica estera statunitense degli ultimi otto mesi.
Gli sforzi di Kellogg per i Tomahawk
Cancellando il vertice di Budapest con Putin, Trump potrebbe verificare se la minaccia di armare Kiev coi missili Tomahawk – armi in grado di colpire la Russia in profondità – riesca finalmente a costringere Mosca al tavolo delle trattative. Analizziamo il percorso tortuoso della posizione americana sulla guerra in Ucraina negli ultimi due mesi. Il 23 settembre, nel corso di un incontro con Zelensky a latere dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Trump aveva lanciato l’ipotesi che l’Ucraina fosse in grado di riconquistare tutti i territori persi. Meno di una settimana dopo, cioè il 29 settembre, il vicepresidente Vance era stato il primo a lasciar intendere che gli USA stessero seriamente valutando la richiesta di Kiev di avere i missili a lungo raggio Tomahawk per difendere il Paese contro le forze russe.
Lo stesso giorno il generale Keith Kellogg, inviato speciale americano in Ucraina, dichiarava che il presidente Trump aveva autorizzato i Paesi membri della NATO a dislocare nell’Ucraina non-membro i sistemi missilistici offensivi che gli USA avevano fornito. Kellogg insisteva ad affermare che il presidente aveva dato l’okay ad attacchi in profondità nel territorio russo con missili – si suppone i Tomahawk – che Washington aveva fatto pervenire alla NATO. Kellogg doveva essere consapevole che colpire la Russia con missili americani avrebbe immediatamente reso l’Ucraina da guerra per procura a scontro diretto fra la NATO e la Russia, o addirittura un conflitto fra NATO, Washington e Mosca.
Risposta alle provocazioni
Il fatto che Vance e Kellogg abbiano fatto quelle dichiarazioni lo stesso giorno lascia intuire che il secondo sia colui che ha suggerito a Trump l’idea di concedere a Zelensky i Tomahawk americani tramite la NATO. Il 13 ottobre, forse in risposta alle parole di Trump e degli altri esponenti dell’amministrazione repubblicana, l’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha espresso una chiara minaccia dicendo che si sarebbe ritornati al rischio della guerra nucleare qualora Trump desse davvero quei missili all’Ucraina.
È stato detto centinaia di volte, pure in un modo comprensibile dall’uomo a stelle e strisce, che mentre è in volo risulta impossibile distinguere un missile nucleare Tomahawk da uno convenzionale. La loro fornitura potrebbe avere un esito brutto per tutti. Soprattutto per lo stesso Trump, ha detto Medvedev. Poi il 16 ottobre il presidente americano ha avuto una conversazione telefonica col suo omologo russo, in cui ha accettato l’idea di quest’ultimo di vedersi in Ungheria per un altro giro di colloqui. Il presidente russo ha comunque ribadito che un accordo di pace è possibile soltanto se Kiev rinuncia al Donbass.
Il gran rifiuto di Trump
Il giorno dopo, il 17 ottobre, durante l’incontro con Zelensky alla Casa Bianca Trump ha rifiutato di dargli i missili. Nel vertice (descritto come molto animato) Trump avrebbe insistito con Zelensky di cedere tutto il Donbass, sebbene Kiev controlli ancora circa un quarto della regione di Donetsk, russofona e strategicamente importante che Mosca non è stata in grado di a tenere per via di “una serie di città fortificate che impediscono ai russi di fare avanzate rapide ad ovest verso la capitale”.
I commenti di Trump seguiti all’incontro del 17 ottobre hanno reso evidente come il presidente abbia ribaltato la posizione mostrata dalla sua amministrazione a settembre. Quindi ha ricominciato a esortare Kiev e Mosca a “fermare immediatamente le ostilità” suggerendo che nell’accordo di pace la Russia mantenga i territori conquistati sul campo. Fermatevi lungo la linea del fronte, qualunque essa sia, ha detto Trump una volta arrivato a West Palm Beach. Altrimenti diventa tutto troppo complicato. Non riuscirete mai a risolverla. Fermatevi sulla linea del fronte.
Aveva funzionato con Netanyahu…
Vi è stato però l’ennesimo cambio il 21 ottobre, dopo che si è rivelato improduttivo un incontro preliminare fra il segretario di Stato americano Rubio e il ministro russo degli Esteri Lavrov. Trump si è allora deciso a cancellare il previsto vertice con Putin, dicendo che non voleva partecipare a un altro “summit sprecato”. Il capo del Cremlino rifiuta di acconsentire a un cessate-il-fuoco lungo l’attuale linea del fronte.
A Gaza Trump è stato capace di costringere il premier israeliano Netanyahu alla tregua con Hamas semplicemente esprimendo il proprio disappunto verso la decisione del primo ministro di attaccare i leader di Hamas in Qatar senza prima cercare l’approvazione di Washington. Al contrario Putin non dipende dagli USA per proseguire il conflitto in Ucraina; la sua insistenza nel volere il controllo del Donbass come condizione per il cessate-il-fuoco indica che vuole continuare una guerra che sente di poter vincere e che vincerà, anche ciò significasse uno scontro fra Russia e Stati Uniti.
Fra i due gruppi di consiglieri
Trump sembra oscillare fra due gruppi di consiglieri: da una parte il generale e incaricato speciale Kellogg, che sull’Ucraina ha chiaramente preso una posizione guerrafondaia nei confronti di Putin, e dall’altra l’incaricato speciale Witkoff, che quest’anno ha già incontrato cinque volte il capo del Cremlino. Il primo, che non ha partecipato all’incontro con Zelensky del 17 ottobre, continua a ripetere che Kiev potrebbe vincere se gli vengono date dagli USA le armi necessarie.
Witkoff invece ha detto alla delegazione ucraina in visita a Washington che Zelensky deve cedere l’intero Donbass allo scopo di fermare i combattimenti. Ciò che Trump deve capire è che il Dipartimento di Stato americano sotto le presidenze di Obama e di Biden, congiuntamente alla CIA e a George Soros, erano aggressori determinati a indebolire la Russia espandendo la NATO fino a includere l’Ucraina, cioè allungando i muscoli militari degli USA fino ai confini della Russia.
L’analisti di Horton
Nel suo libro di 678 pagine intitolato “Come Washington ha iniziato la nuova Guerra Fredda con la Russia e la catastrofe in Ucraina” (How Washington Started the New Cold War with Russia and the Catastrophe in Ukraine), il direttore del Libertarian Institute nonché direttore editoriale di Antiwar.com Scott Horton scrive a pagina 662: L’attuale campagna di paura nei media americani contro la Russia non è diversa dalla demonizzazione di qualsiasi altro nemico del governo USA qui e in giro per il mondo: l’intera narrativa popolare è praticamente falsa.
Ma la vecchia generazione è abituata a odiare la Russia, mentre ai soldi viene propinata da anni la bugia della “aggressione russa” in tutto l’Est Europa. E c’è il danno fatto dalla bufala del Russiagate, secondo la quale Putin avrebbe ignobilmente influenzato Trump sul suolo americano, e che sembra abbia rovinato per sempre le menti dei Democratici e reso per loro impensabile la coesistenza pacifica.
Il rischio di guerra nucleare
Supponiamo allora che Putin intensifichi la pressione militare per prendersi il Donbass e che Trump fornisca a Zelensky i missili Tomahawk. In tal caso ritorneremmo sulla soglia della guerra nucleare, il medesimo baratro che avevamo visto quando Biden autorizzò l’Ucraina a usare i missili americani a lungo raggio ATACMS per colpire la Russia. La realtà geopolitica è che la Russia non può essere ricacciata dai territori che oggi controlla in Ucraina senza accendere la miccia di un impensabile conflitto nucleare.
Ciò che Trump deve comprendere è che l’unico modo di fermare la guerra in Ucraina è la soluzione di Witkoff di cedere il Donbass a Putin, una conclusione che Trump può attivare semplicemente rifiutandosi di dare armamenti avanzati a Kiev, pure se ciò significhi tagliare le forniture alla NATO. Non dare i Tomahawk potrebbe bastare, perché Zelensky e la NATO accetterebbe la realtà che Putin ha vinto senza dover scatenare la guerra atomica.
In un mondo dove i conflitti regionali contengono sempre il rischio di evolversi rapidamente in tragedie nucleari, Trump ha il diritto di assumersi il ruolo di pacificatore. Con gli accordi di Abramo in Medio Oriente, il presidente ha concepito una politica di “Pace attraverso la Prosperità” che offre la soluzione migliore per spegnere gli scontri regionali puntando a creare una forte classe media in tutta la regione. Trump dovrebbe proporre un modo simile di pensare per sistemare la contesa secolare fra Russia e Ucraina sul Donbass, se davvero vogliamo risolvere un conflitto che Trump dice correttamente che non avrebbe proprio mai dovuto iniziare.

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