Libia. A Derna migliaia di morti e dispersi per la tempesta Daniel, divisione politica e corruzione rallentano gli aiuti
La città di Derna nella Libia orientale continua a contare le enormi perdite umane dopo il passaggio della tempesta Daniel che ha causato la rottura delle dighe. Il governo parallelo, con sede nell’est del Paese, stima ora i morti a più di 5.300 mentre i dispersi, secondo le stime iniziali, sarebbero oltre 10.000. I torrenti di acqua piovana e l’inondazione della diga hanno travolto la valle di Derna trascinando tutto fino a raggiungere il Mar Mediterraneo. A riva si cerca di recuperare i corpi, raccolti e accumulati in qualche luogo asciutto, in attesa del riconoscimento da parte dei familiari. Migliaia di famiglie hanno perso tutto e si moltiplicano le richieste di soccorso che iniziano a ricevere le prime risposte dei Paesi amici in primis Emirati Arabi Uniti, Francia, Italia, Qatar, Stati Uniti, Tunisia e Turchia. Gli aiuti dall’Egitto, nonostante la sua vicinanza con l’area colpita, sono arrivati solamente oggi.
Tuttavia, la diffusa corruzione degli ufficiali governativi, la divisione politica ed amministrativa, nonché la mancanza di organizzazioni internazionali che negli anni hanno visto rifiutata la possibilità di operare nel Paese nordafricano, complicano notevolmente la macchina degli aiuti divenuti anch’essi vittime del sistema di propaganda seppur si è intravista una sorta di collaborazione tra gli attori locali con l’invio di mezzi di soccorso ed equipaggiamenti da Tripoli e Misurata. Nuove fotografie e immagini satellitari, iniziano a mostrare la reale portata del disastro, dopo che gli stessi decisori politici libici scherzavano sui rischi dello tsunami. Gli scatti prima e dopo l’alluvione mostrano come il blu del Mediterraneo sia stato trasformato in un marrone sporco dal fango, corpi e detriti di una città oggi distrutta, trascinati a valle dai violenti torrenti. Si stima che Daniel abbia depositato su Derna l’equivalente di più di un anno di pioggia in un solo giorno, ben 115 milioni di metri cubi. Secondo gli esperti locali, le due dighe che non hanno retto avrebbero liberato oltre 20 milioni di metri cubi d’acqua concentrati nella stretta valle del Derna.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite, nella sola Derna sono almeno 30.000 le persone sfollate. Tariq Kharaz, portavoce delle autorità della Libia orientale, ha affermato che qui sono stati recuperati 3.200 corpi. Il governo locale ammette di non avere l’esperienza necessaria per affrontare le conseguenze di una simile catastrofe. “Servono attrezzature che le autorità libiche non possono fornire, come gli elicotteri”, ha dichiarato in un video il vicesindaco della città, Abdulmonem Algaithi, lanciando un appello all’aiuto internazionale e dichiarando che la città è una zona disastrata. Secondo il politico Abu Chkiouat, membro del comitato di emergenza del governo che controlla la Libia orientale, “il 25% della città è scomparsa”. “Ci sono corpi ovunque: nel mare, nelle valli, sotto i palazzi”, ha aggiunto.
Daniel è stato il sicario, ma chi sono i mandanti?
Il ciclone Daniel è stato il sicario, ma i mandanti sono il cambiamento climatico, la cattiva o inesistente pianificazione e gestione del territorio oltre alla mancanza di adeguati sistemi di allerta. Le due dighe di Derna furono costruite all’inizio degli anni ’70 da un’azienda dell’ex Jugoslavia. La diga più piccola si trovava a circa 1 km fuori dal centro cittadino, mentre la diga più grande si trovava a circa 13 km a sud della città.
Avevano bisogno di manutenzione da anni. Ma il regime di Gheddafi ha emarginato la Libia orientale a causa della forte opposizione nei suoi confronti e dopo la rivoluzione del 2011, le guerre delle milizie, l’occupazione di Derna da parte di Daesh ed altri gruppi terroristici, sommati alla lotta per il potere tra est ed ovest hanno fatto sì che la manutenzione della diga fosse completamente dimenticata, così come avvenuto per strade, ponti e la maggior parte delle infrastrutture.
Moin Kikhia: “Una tragica combinazione di cause”
Commentando gli ingenti danni e la spaventosa perdita di vite umane in Cirenaica nelle ultime 24 ore, Moin Kikhia, presidente del Libyan Democratic Institute, ha dichiarato che “Quanto accaduto è il risultato di una tragica combinazione di cause. Il cambiamento climatico, ovviamente. Ma è anche direttamente dovuto al fallimento umano. Cioè, il fallimento degli stati falliti, il cinico rifiuto della democrazia, la corruzione endemica e grave – sia politica che personale – e la totale incompetenza amministrativa. Ma siamo ancora governati da governi che non rispondono ai propri cittadini, in un paese diviso dall’ambizione e dalla fame di potere. Dobbiamo pregare affinché da questo disastro, un incubo di proporzioni storiche, possa almeno scaturire una direzione nuova e migliore per il nostro Paese. Il nostro popolo merita un governo unico, democratico e responsabile che sia veramente al servizio del suo popolo. Ora dobbiamo avere il nuovo governo ad interim che i nostri politici hanno promesso, e quel governo organizzi elezioni nazionali e democratiche entro un termine concordato che non possa, in nessuna circostanza, essere modificato da nessuna delle parti coinvolte.”
WWF: “Tutto il ricavato delle aziende italiane alle popolazioni colpite”
Secondo il WWF, il ciclone Daniel imperversa nel Mediterraneo da giorni, ha provocato alluvioni epocali in Grecia, dove ha messo KO un quarto della produzione agricola del Paese, in Turchia e in Bulgaria. Ma in tutti questi Paesi, il numero delle vittime è stato comunque relativamente limitato perché hanno funzionato i sistemi di allerta.
“In Libia, la furia del ciclone è stata alimentata da un mare da mesi molto caldo e in più, con le strutture estremamente carenti e il territorio edificato in modo non pianificato, è intervenuto su una situazione molto fragile. Siamo in attesa dell’esame da parte degli scienziati per stabilire di preciso il ruolo avuto dal cambiamento climatico nell’intensità estrema del ciclone, ma è comunque certo che il mare estremamente caldo nelle acque superficiali sia l’energia cui il ciclone ha attinto per rafforzarsi”. Ha dichiarato l’organizzazione attiva nella difesa dell’ambiente, aggiungendo che “Purtroppo, la morsa delle catastrofi climatiche miete vittime soprattutto tra chi non ha soldi per case solide e lontane da aree a rischio scavando un inesorabile spartiacque tra ricchezza e misera, vita e morte: una forbice sempre più aperta che segna il destino tra chi sopravviverà e chi si gioca la vita. Sappiamo già che tutto questo spingerà un‘umanità sempre più disperata a giocarsi il tutto per tutto per tentare di sopravvivere e dare un futuro alla propria famiglia. Non dobbiamo quindi stupirci se le migrazioni umane continueranno con sempre più disperazione a bussare alle nostre porte, con il loro carico di sofferenza e dolore. Quelle porte non potranno che essere aperte nella consapevolezza che chi fugge è vittima delle nostre azioni e dei nostri consumi”.
Sempre dal WWF arriva un appello alle aziende italiane: “Ci auguriamo che le aziende italiane che oggi sfruttano le risorse naturali libiche, innanzi tutto gas e petrolio, devolvano tutto il ricavato, almeno dell’ultimo anno, nei soccorsi diretti alla popolazione, affidandoli ad agenzie ONU e ONG attendibili per fare in modo che arrivino davvero alle persone che ne hanno bisogno”.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.