La tassa UE sui colossi energetici che guadagnano dal conflitto ucraino non è per Kiev ma per il caro bollette
Uno degli effetti clamorosi del conflitto in Ucraina è costituito dai cosiddetti “superprofitti” fatti dai colossi del settore oil&gas. Cinque compagnie del blocco euroatlantico, fra cui tre delle tradizionali “sette sorelle” del petrolio, hanno dichiarato nel 2022 incrementi di fatturato superiori al 100%.
A Bruxelles hanno quindi ideato una tassa straordinaria per raccogliere parte di tali profitti, basandosi sul fatto che si tratta di guadagni “imprevisti e imprevedibili” derivanti da circostanze che hanno complicato la vita degli europei. Ma le compagnie energetiche si oppongono, Exxon in testa, la quale fatto ricorso al tribunale europeo. Ne parla un articolo di Svitlana Romanko sulla European Pravda, giornale online ucraino filo occidentale.
Obiettivo della tassa è alleviare il caro-bollette che pesa sui cittadini europei. Dunque l’imposta non è destinata a finanziare la ricostruzione dell’Ucraina, anche se la European Pravda si augura che qualcosa finisca anche a Kiev.
Introiti mostruosi da parte di Cinque compagnie euroatlantiche del settore oil&gas
Nel divulgare gli esiti dell’anno 2022, la scorsa settimana cinque grandi compagnie del settore oil&gas hanno dichiarato introiti colossali, che assommano complessivamente a 199,4 miliardi di dollari. Ognuna di esse ha toccato nuovi recordi di incassi per la vendita di combustibili fossili, pur nelle condizioni dell’attuale crisi energetica provocata dalla Russia.
Adesso ExxonMobil, col tacito assenso di Shell, Chevron, TotalEnergies e BP, prova a mettere in discussione la decisione dell’Unione Europea di imporre una tassa sui loro superprofitti. Grazie all’impennata dei prezzi sui carburanti, i ricavi di queste compagni lo scorso anno sono più che raddoppiati: ExxonMobil ha guadagnato 59,1 miliardi di dollari, cioè un +157% rispetto ai 23 miliardi del 2021; Shell ha guadagnato 39,87 miliardi di dollari, cioè un +107% rispetto ai 19,3 miliardi del 2021; Chevron ha guadagnato 36,5 miliardi di dollari, cioè un +134% rispetto ai 15,6 miliardi del 2021; TotalEnergies ha guadagnato 36,2 miliardi di dollari, cioè un +100% rispetto ai 18,1 miliardi del 2021; BP ha guadagnato 27,6 miliardi di dollari, cioè un + 116% rispetto ai 12,8 miliardi del 2021.
Le compagnie hanno preferito gli utili agli investimenti in energia rinnovabile
Il conflitto in Ucraina è diventato il fattore chiave per la creazione delle condizioni per questi profotti senza precedenti. Si tratta di ricavi record per ognuna di questa società e al momento attuale tutte quante hanno già annunciato pubblicamente la propria uscita dalla Russia. L’ultima a farlo è stata la Total Energies. È risaputo anche che tali compagnie nel periodo gennaio-giugno 2022 hanno investito in fonti di energia alternative meno del 5% dei propri guadagni, rifiutandosi dunque di modificare il proprio modello di business fondato sui combustibili fossili, nonostante le sue conseguenze distruttive sull’ambiente.
Un numero crescente di politici ed esperti invita ad applicare una tassa sui fortuiti guadagni dei giganti dell’oil&gas, una cosiddetta windfall tax che vada a finanziare la ricostruzione dell’economia ucraina dopo la guerra. La questione di un ulteriore tassazione sui ricavi sta dunque diventando sempre più critica. La windfall tax deve diventare una maniera efficace per accumulare in fretta una grande somma e indirizzarla verso le necessità dello Stato come l’aiuto all’Ucraina, la sicurezza energetica e il contrasto al cambiamento climatico.
Che cos’è la windfall tax
Si tratta di un’imposta una tantum, applicata alle aziende che hanno ottenuto profitti eccessivamente alti in circostanze eccezionali. I governi la utilizzano per aumentare le entrate delle casse statali in un determinato anno, aumentando in maniera retroattiva le imposte sulle aziende o sul settore che ha fatto ricavi imprevisti e imprevedibili. Dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina a febbraio del 2022 e in considerazione del fatto che i combustibili fossili sono una fonte essenziale di finanziamento della macchina da guerra del Cremlino, la questione dell’inserimento della windfall tax si è presentata in maniera pressante nel Regno Unito, negli USA, in Germania e nell’Unione Europea.
A maggio del 2022 in Gran Bretagna è stata applicata una tassa aggiuntiva sui profitti a tutte le aziende che estraggono petrolio e gas nelle zone britanniche del Mare del Nord, indipendentemente se siano aziende con sede nel Regno Unito o meno. Inizialmente si trattava di un 25% in più che elevava le imposizioni fiscali generali britanniche fino al 60% e doveva essere in vigore al massimo fino al 2025. Poi però è stato alzato al 35% o al 75% delle tasse complessive, potenzialmente prorogato all’aprile 2028.
Negli Usa e in Germania nessuna extra tassa
Ad agosto la Commissione fiscale del Senato americano ha presentato un progetto di legge denominato Taxing Big Oil Profiteers Act, che prevedeva una tassa del 21% sui superprofitti delle compagnie oil&gas che fatturano più di un miliardo di dollari all’anno. L’amministrazione Biden è pronta ad approvare questa tassa, ma per adesso non ha voti sufficienti per farlo. La sitazione potrebbe cambiare nel 2024.
In Germania la windfall tax è stata molto discussa a livello nazionale, ma non è stata adottata a causa di dissidi all’interno della compagine governativa: i socialdemocratici dell’SPD e i Verdi erano a favore, mentre i liberali dell’FDP sono contrari. Come mostrato dal sondaggio effettuato lo scorso agosto da Infratest-dimap, il 76% dei tedeschi erano a favore di questa iniziativa. Anche gli indici finanziari delle compagnie testimoniano la necessità della windfall tax, in particolare il “cavallo di Troia” di Gazprom che è la Wintershall ha comunicato un salto degli introiti netti nel secondo trimestre 2022 del 260%. Lo scorso settembre la UE ha introdotto tasse straordinare sulle compagnie energetiche: la prima nella misura di non meno del 33% dei profitti e un’altra dalle entrate delle società ottenute dalla crescita dei prezzi sull’elettricità.
La Commissione europea ha proposto di adottare tasse sui superprofitti energetici per aiutare a compensare l’aumento brusco delle bollette di elettricità e gas in Europa. Con risuoluzione del Consiglio europeo tutti e 27 i Paesi membri hanno appoggiato questa decisione. Secondo una valutazione preliminare, queste azioni porteranno alla UE 25 miliardi di euro in più. Parte di essi può e deve essere usata per il sostegno all’Ucraina.
Il rischio di un contraccolpo
Lo scorso 28 dicembre il gigante energetico Exxon ha presentato ricorso contro la Commissione Europea per cercare di bloccare la tassa sui superprofitti inaspettati per le società del settore oil&gas. Exxon, col tacito supporto delle altre compagnie energetiche, ha contestato presso il Tribunale dell’Unione europea la competenza UE a introdurre nuove tasse. Tale competenza, secondo quanto sostiente Exxon, è storicamente riservata agli Stati sovrani. La Corte giudicherà su questo ricorso e la decisione potrebbe avere conseguenze enormi. Fanno parte del Tribunale dell’Unione europea due rappresentanti di ciascun Paese membro, nominati dai rispetti governi per sei anni, con possibilità di prolungamento del mandato. I giudici sono considerati dipendenti nazionali dei governi degli Stati membri della UE.
Ciò premesso, sarebbe opportuno imbastire la posizione dell’Ucraina e portarla attraverso canali diplomatici ai governi di quegli Stati membri che sono alleati attivi dell’Ucraina stessa (Irlanda, Polonia, Lituania, Estonia, Finlandia) e iniziare un dialogo con essi a proposito di questa tassa sui superprofitti delle compagnie energetiche. Alleati potenziali dell’Ucraina su tale questione sono anche quei Paesi UE che fanno parte della Beyond Oil and Gas Alliance, in particolare Danimarca, Svezia, Francia, Irlanda e Portogallo. L’Unione Europea deve difendere il suo diritto a ristabilire la giustizia e a mettere dei paletti severi all’industria dei combustibili fossili.
Senza i fondi derivanti dalla tassazione dei superprofitti della compagnie dell’oil&gas, la UE non può aiutare l’Ucraina nella giusta misura per quanto riguarda la risoluzione della questione della sicurezza e delle necessità umanitarie e di infrastrutture. Sarebbe opportuno anche valutare l’idea di creare un nuovo fondo fiduciario per la pace e la stabilità climatica, per il quale le fondazioni finanziarie, le compagnie e gli investitori debbano sacrificare tutte le partecipazioni nell’industria russa dei combustibili fossili che ancora posseggono almeno formalmente, anche se di fatto ne hanno perso il controllo. Questo trust, parallelamente ad altri patrimoni confiscati, può diventare una fonte importante per ricostruire l’Ucraina.
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