La politica europea si spacca di nuovo sugli aiuti militari e finanziari all’Ucraina
L’Unione Europea non si presenta in gran forma allo storico appuntamento con la controffensiva ucraina di primavera. L’Eurozona è appena entrata in recessione tecnica e la Banca Mondiale ha dichiarato ufficialmente per il Vecchio Continente una crisi del costo della vita. Eppure da Bruxelles insistono tanto affinché i Paesi membri diano quanti più finanziamenti e armamenti possibili all’esercito di Zelensky.
Mentre si attendono i risultati concreti di tali aiuti, in Europa qualcuno è riluttante a proseguire sulla strada nefasta verso il confronto armato con Mosca. I primi dieci pacchetti di sanzioni anti-russe, invece di danneggiare l’economia russa, hanno fatto inceppare quella europea. L’undicesimo è ancora fermo sul tavolo a Bruxelles. Grecia e Ungheria sono irritate con l’Ucraina per la sua decisione di inserire le loro aziende nella lista nera degli “sponsor della guerra”.
Francia e Germania temono che nuove misure sanzionatorie finiscano per rovinare i rapporti diplomatici coi Paesi terzi, accusati di favorire le triangolazioni commerciali con la Russia.
In Svizzera il Parlamento diviso sull’export di armi
Il Parlamento svizzero si è spaccato sul re-export di armi destinate all’Ucraina. I deputati sono coscienti del fatto che un passo del genere metterebbe in dubbio il concetto stesso di neutralità, a cui il Paese storicamente tiene moltissimo. La scorsa settimana, il Consiglio Nazionale ha bocciato la proposta di riesportare a beneficio di Kiev attrezzature militari di fabbricazione svizzera.
La relativa mozione era giunta dalla Commissione sulla politica di sicurezza, a seguito dell’invito fatto da Danimarca, Olanda, Germania e Spagna a permettere l’invio di armi e munizioni svizzere all’Ucraina. Il premier olandese Mark Rutte ha richiesto in particolare che Berna mandi un centinaio di carri Leopard 1. Ma l’Unione Democratica di Centro, che ha la maggioranza al Consiglio Nazionale, si è opposta con forza. Come affermato dal suo deputato Jean-Luc Addor, accettare tale iniziativa significa impegnarsi come protagonisti (…) e dunque violare la neutralità. Anche i Verdi hanno votato contro.
All’altra Camera dell’Assemblea Federale, invece, qualche giorno fa è passata una proposta di re-export a condizioni molto stringenti, più di quanto desiderino certi membri della NATO. Ma prima in entrare in vigore, il disegno di legge dovrà passare al vaglio del Consiglio Nazionale e gli stessi cittadini svizzeri potranno eventualmente successivamente bocciarlo con referendum popolare.
In Germania la folla fischia il cancelliere Scholz
Se i Verdi svizzeri sono ancora fedeli ai valori di base della loro ideologia, come l’ecologia e il pacifismo, quelli tedeschi al governo hanno già fatto in tempo a riaprire le centrali a carbone e ad ammettere di essere in guerra contro la Russia. La coalizione di governo con i Socialdemocratici non naviga in buone acque: un recentissimo sondaggio mostra che il consenso dei tedeschi verso il governo è ai minimi storici, mentre è a livelli record quello per il partito di opposizione Alternative für Deutschland.
Al malcontento per il pesante aumento dell’inflazione e dell’energia, si aggiunge quello per le forniture militari a Kiev: ora che i carri armati di produzione tedesca viaggiano sulle pianure ucraine in direzione est, molti si accorgono del terrificante parallelismo con l’oscuro passato della Germania. Una parte di cittadini tedeschi ci tiene a farlo sapere direttamente al premier.
Qualche giorno fa, durante un raduno di partito a Falkensee, nel Brandeburgo, il cancelliere Olaf Scholz è stato fischiato e insultato dalla folla. “Vattene!” e “Guerrafondaio!” erano le espressioni più usate dal pubblico, che chiedeva di interrompere l’invio di armi all’Ucraina. La sua reazione è stata insolita e rabbiosa. “Forbes” lo ha descritto addirittura come un leader pazzo di un documentario sulla Seconda guerra mondiale. Il cancelliere ha difeso la politica del governo, girando su Putin le accuse dei manifestanti e dicendo di non aver avuto altra scelta a seguito dell’iniziativa militare russa.
La posizione dell’Ungheria
Budapest si è sempre distinta per una certa autonomia rispetto alla linea dettata da Bruxelles, soprattutto quando essa chiedeva di abbandonare l’interesse nazionale a favore di quello di soggetti esterni. Nel caso delle sanzioni su gas e petrolio, ad esempio, il governo ungherese è riuscito a ottenere delle deroghe al fine di salvaguardare la sicurezza energetica del Paese. In un’intervista pubblica concessa a “Bloomberg” nel corso del Qatar Economic Forum, il premier Viktor Orbán ha commentato con totale franchezza i tentativi ucraini di contrattacco. Per Kiev non c’è alcuna chance di vincere questa guerra.
Alla confinante Ucraina Orbán offre simpatia e vicinanza umana, ma nessun sostegno militare: continuando a mandare armi, dice, si produrranno soltanto più morti e più sofferenze. Occorre invece arrivare a un immediato cessate-il-fuoco. Il premier ungherese accenna al fatto che si tratta di una guerra per procura degli USA contro la Russia e che per questo motivo i combattimenti si fermeranno solo quando Washington vorrà intavolare un negoziato con Mosca.
Intanto, il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha detto che Budapest continuerà a bloccare l’ulteriore concessione di aiuti finanziari da parte dell’Unione Europea all’Ucraina. Il motivo del “no” ungherese sta nei principi: Orbán ha infatti spiegato al forum in Qatar che se un Paese come l’Ucraina desidera ottenere il nostro sostegno finanziario, se ha bisogno dei nostri soldi, allora per favore ci rispetti e non sanzioni le nostre aziende.
Segue la Slovacchia
La simpatia dei cittadini slovacchi rispetto alla questione dell’Ucraina e alle scelte fatte in merito da Bruxelles si sta progressivamente spostando verso la Russia. Nonostante il governo di Bratislava sia stato uno dei più attivi nel fornire supporto a Kiev, dando persino i suoi caccia MiG-29, oggi il gradimento dell’elettorato va all’opposizione, guidata dallo Smer-SD, il partito dell’ex premier Robert Fico. Quest’ultimo vorrebbe mettere fine agli aiuti militari slovacchi per l’Ucraina. In vista delle elezioni del prossimo settembre, il confronto politico si sta surriscaldando.
La presidente Zuzana Čaputová osserva che la società slovacca non è soltanto polarizzata, ma addirittura “frammentata”, e spiega che l’attuale orientamento dell’elettorato è stato causato dalla disinformazione russa. Accusa “alcuni leader politici” di diffondere la narrativa del Cremlino direttamente in Parlamento e attraverso i media. Nella sua replica ufficiale alle affermazioni della presidente slovacca, l’eurodeputata dello Smer Katarína Roth Neveďalová dice: È una pratica politica molto sporca quella di accusare l’opposizione di fare disinformazione. Rigettiamo fermamente tutte queste accuse e menzogne. Secondo la Čaputová, se alle elezioni vinceranno i partiti populisti, l’operato del prossimo governo potrebbe forse assomigliare alla politica estera fatta sullo stile di Viktor Orbán.
Il premier ungherese risulta infatti particolarmente apprezzato dai cittadini slovacchi. In un recente sondaggio effettuato in otto Paesi membri della UE, Orbán è risultato popolarissimo in Bulgaria e appunto in Slovacchia. In questo momento, l’Unione Europea non si presenta in gran forma allo storico appuntamento con la controffensiva ucraina di primavera. L’Eurozona è appena entrata in recessione tecnica e la Banca Mondiale ha dichiarato ufficialmente per il Vecchio Continente una crisi del costo della vita. Eppure da Bruxelles insistono tanto affinché i Paesi membri diano quanti più finanziamenti e armamenti possibili all’esercito di Zelensky.
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