Italia, la nascita del neutralismo attivo: dallo slogan “né con lo Stato, né con le BR” a “né con la Russia, né con la NATO”

Italia, la nascita del neutralismo attivo: dallo slogan “né con lo Stato, né con le BR” a “né con la Russia, né con la NATO”

15 Marzo 2022 0

La guerra è alle porte e trova il nostro Paese diviso, almeno nelle sue componenti per così dire “extraparlamentari”, sulla risposta da dare all’aggressività di Putin, disposto a tutto pur di mettere le mani sull’Ucraina, pronto a usare anche l’arma più letale contro chiunque tenti di ostacolare i suoi obiettivi, incurante delle conseguenze catastrofiche che si abbatterebbero anche sulla sua nazione. Che sia solo una minaccia nessuno può affermarlo, anche se tutti lo possiamo sperare. Intanto il conflitto armato ha già toccato i confini dell’Europa, e anche un errore in qualunque momento, più o meno voluto, magari anche una provocazione, potrà diventare fatale, con l’Alleanza Atlantica che si vedrebbe costretta a usare la sua potenza di fuoco contro la Russia e quei Paesi che militarmente sostengono Putin. E mentre in Ucraina si combatte, si muore, e chi può cerca di fuggire, da noi ci si divide. La politica, pur tra mille sfumature, qualche distinguo e aperti dissensi, isolati e tuttavia pesanti – come il caso dell’esponente dei Cinquestelle Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri del Senato – si è ritrovata sostanzialmente unita nella risoluzione sulla guerra che ha dato il via agli aiuti militari al Paese assediato da Putin. 

Ma è il mondo che ruota attorno alla politica, e in particolare nella variegata area della sinistra, anche se non mancano analoghe posizioni nella destra, a dividersi. I sindacati, in primo luogo. Dalla recente manifestazione “per la pace” voluta dalla Cgil con la Uil, alla fine quel che è rimasto è stato il senso ultimo di quella iniziativa che si può riassumere con lo slogan “né con la Russia, né con la NATO“, eco di quella sfortunata quanto lacerante parola d’ordine – “né con lo Stato, né con le BR” – che echeggiò nei giorni del sequestro Moro; sfortunata perché in taluni che si ritrovarono in quelle parole c’era una ragionata buona fede nella critica a uno Stato “inquinato” che non aveva saputo e poi voluto difendere e salvare la vita di uno dei suoi massimi esponenti politici, e non certo una simpatia e tantomeno un fiancheggiamento dei terroristi. 

In piazza è sceso un sindacato frantumato, con la Cisl che non ha aderito alla manifestazione e con molte ragioni l’ha aspramente criticata. È nata così una forma di equidistanza e di neutralità – “neutralismo attivo“, come è stato chiamato con sprezzo della contraddizione – che mal si concilia con la gravità di quanto sta accadendo ad opera di Vladimir Putin. Salvo poi qualche giorno dopo, alla manifestazione del Pd che ha riunito in piazza tutta la sinistra con una chiara e coerente condanna della Russia, arrivare una sorta di rettifica ad opera del segretario della Cgil Landini, promotore della prima iniziativa sindacale, che si è affannato a proclamare la sua solidarietà con l’Ucraina, ma nello stesso tempo a ribadire una netta contrarietà all’invio delle armi al Paese invaso dalla Russia. Una posizione che taluni hanno considerato ambigua, una specie di riflesso tardocomunista prettamente italico che arriva da lontano, dalla fine mai elaborata del fu schieramento sovietico. In tutta Europa si sono svolte manifestazioni e iniziative, contro Putin e a sostegno del Paese invaso, e da quanto è dato sapere solo a Roma, nella piazza della sinistra raccolta attorno alla Cgil, si è manifestato per la pace ma anche contro la NATO. 

E il dibattito si è subito trasferito sulle colonne dei giornali, con eminenti opinionisti esponenti della sinistra che si sono spinti a teorizzare la necessità di una resa dell’Ucraina per salvare dalle bombe la popolazione inerme, i quali peraltro si sono ritrovati in buona compagnia con taluni esponenti della destra. Un velo pietoso va poi steso su quella improvvida iniziativa del segretario della Lega Salvini, che ha tentato di fare il primo della classe recandosi in Polonia al confine con la Russia; con tutte le buone intenzioni, il capo della Lega non ha saputo valutare che quel suo viaggio sapeva di demagogia a fini di consenso, così come tutti o quasi lo hanno interpretato. Molti, in aggiunta, gli hanno rinfacciato i buoni rapporti con Putin. Ma in tema di buone relazioni con il capo russo, non c’è nessuno tra i politici di rango, presenti e passati, che possa chiamarsi fuori. E forse anche per questo, la polemica si è spenta nel volgere di una giornata.  

Intanto, si è assisto alla nascita del partito pro Putin e di quello contro. È giusto e perfino doveroso che chi segue da decenni le vicende geopolitiche analizzi quanto è accaduto in Europa dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, con l’allargamento della NATO agli Stati che facevano parte di quel blocco, in particolare con l’associazione all’Alleanza Atlantica dei Paesi baltici. Un’espansione dell’Occidente che taluni giudicano eccessiva, ormai da tempo arrivata ai confini del Paese presieduto da Putin. Un rischio per i rapporti tra USA e Russia che aveva sollevato lo stesso Biden, allora senatore, più di vent’anni fa in un discorso al Consiglio Atlantico: provocherebbe una vigorosa reazione ostile della Russia, aveva detto il futuro presidente americano. E tra le motivazioni addotte da Putin per giustificare l’invasione, c’è proprio la prospettiva, ancorché molto remota, dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. Ed è anche vero che oggi la Russia si sente accerchiata dalle potenze occidentali. Ma tutto questo non può rendere in qualche modo accettabile questa guerra, che peraltro può estendersi e deflagrare con esiti catastrofici in tutto il continente e oltre. Una guerra, ha detto qualcuno, si sa come comincia, ma non si sa come finisce. In questa situazione molto critica, l’Europa, pur nelle contraddizioni di mille interessi incrociati, sta cercando di fare la sua parte, con le dure sanzioni, il blocco degli scambi commerciali, l’isolamento di fatto della Federazione Russa dal contesto economico e finanziario. Certo, nessuno dimentica che la chiusura dei commerci con Putin danneggia in primo luogo i Paesi che applicano le sanzioni. E l’Italia è tra i soggetti più deboli, per l’energia, il gas e innumerevoli altre forniture che arrivano dalla Russia o che a causa del conflitto vengono ostacolate, ritardate e cancellate. E ci sono poi i prodotti italiani che rimarranno nei magazzini e nei campi coltivati.

La guerra ha fatto lievitare il costo dell’energia a livelli insostenibili e sta provocando la crisi in molti settori, a cominciare dalla manifattura. Al recente vertice europeo il premier Mario Draghi, che in precedenza aveva purtroppo subito il mancato invito a un summit tra Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna, con una nuova revisione del Patto di stabilità ha lanciato anche l’idea di un altro Recovery Fund legato agli effetti delle sanzioni e dei rincari di numerose materie prime, ma da diversi Paesi sono arrivate risposte tiepide o veri e propri veti. Qualcuno ha attribuito queste defaillance a una politica estera italiana debole, con un ministro non all’altezza che, più realista del re, ha fatto sapere al mondo di escludere ogni contatto con Putin in presenza della guerra, come se la diplomazia non fosse stata ancora inventata. Ma in soccorso del Presidente del Consiglio non c’è neanche una maggioranza granitica. Tutt’altro. Draghi in questa fase, che peraltro si è aperta ormai da tempo, subito dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, sembra sostenuto da due minoranze, il sempre litigioso e pronto a dividersi blocco di sinistra con i Cinquestelle in perenne crisi di identità, e quello di destra, a sua volta frammentato e privo di vera coesione. Un paio di volte ha rischiato di cadere, il governo, e la campagna elettorale per le prossime elezioni politiche è ancora lunga. 

Nino Battaglia
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