Impasse, gaffes, debolezza politica: Macron decreta la fine della Françafrique

Impasse, gaffes, debolezza politica: Macron decreta la fine della Françafrique

30 Gennaio 2025 0

(Parigi). Non solo una lampante fragilità sul fronte interno, con un governo della minoranza minacciato costantemente dalla mozione di censura degli schieramenti opposti al governo del presidente ed un parallelo governare contro il popolo esautorando più volte la volontà parlamentare, dal 2020, la Francia è stata costretta anche a rivedere bruscamente la sua presenza militare in Africa con intempestivi e catastrofici ritiri in successione delle truppe francesi dal Mali, dal Burkina Faso, dal Niger.

Uno scacco enorme sotto tanti punti di vista: geopolitico, diplomatico, economico. E come se non bastasse la perdita di terreno e di egemonia in Africa, sulla quale si basava parte della grandeur francese, anche le armi della diplomazia sembrano spuntate, anzi si potrebbe parlare addirittura di fuoco amico tanto sono nocive e fuori luogo le dichiarazioni presidenziali di fronte allo scacco alle forze francesi dispiegate soprattutto nel Sahel.

L’ultima gaffe

L’ultima gaffe risale ad inizio anno, nel discorso inaugurale fatto agli ambasciatori dislocati all’estero, con esternazioni che costituiscono una campana a morto per la storia dell’egemonia francese in Africa. “La Francia ha fatto “bene” a intervenire militarmente nel Sahel “contro il terrorismo dal 2013”, ma i leader africani hanno “dimenticato di dire grazie” alla Francia.

Dichiarazioni che hanno avuto l’effetto di una bomba e scatenato forti reazioni sia in Africa che in Francia. Nel suo discorso aggrovigliato, il presidente francese Emmanuel Macron ha cercato di giustificare in qualche modo il ripiego militare francese in Africa:

Siamo partiti a causa di colpi di Stato, su richiesta di stati sovrani. Quando la priorità non è più la lotta al terrorismo, la Francia non ha più un posto.

Dichiarazioni da neocolonialismo

Ovviamente le reazioni a questo discorso dal sapore neocoloniale nelle cancellerie africane sono state veementi. In particolare il governo ciadiano ha espresso

profonda preoccupazione per le affermazioni fatte dal presidente della Repubblica francese, che riflettono un atteggiamento sprezzante nei confronti dell’Africa e degli africani.

Le reazioni

Foto - La copertina di un interessante video apparso su Investir Au
Foto – La copertina di un interessante video apparso su Investir Au Pays

Il ministro degli Esteri ciadiano Abderaman Koulamallah ha anche rincarato la dose, ribadendo che “i leader francesi devono imparare a rispettare il popolo africano”. Da parte sua, il primo ministro del Senegal ha contestato l’affermazione secondo cui l’annunciato ritiro dei soldati francesi dal suo paese sarebbe stato negoziato tra Parigi e Dakar e ha negato con veemenza i commenti del presidente Emmanuel Macron sull’impegno militare della Francia in Africa.

Sui suoi social Ousmane Sonko ha definito “totalmente errata” l’affermazione secondo cui la partenza di centinaia di soldati francesi sarebbe stata negoziata “tra i Paesi africani che l’hanno decretata e la Francia”.

Alle rimostranze del governo ciadiano e del primo ministro senegalese onko sono seguite le proteste ufficiali del Burkina Faso, per bocca del golpista Ibrahim Traoré, al potere a Ouagadougou, che ha espresso la sua rabbia affermando che il presidente francese ha

insultato tutti gli africani. […] È così che quest’uomo vede l’Africa, che vede gli africani. Ai suoi occhi non siamo esseri umani.

Una sconfitta sonante

Questa ennesima reazione arriva in un momento di estrema tensione tra la Francia e i Paesi dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), Mali, Niger e Burkina Faso. I leader militari di questi Paesi, con la loro retorica sovranista e nazionalista, hanno chiesto all’esercito francese di accomodarsi fuori dai propri rispettivi territori nazionali ed è una sconfitta sonante, uno scacco totale per Macron ed il suo governo.

Decenni di attenta ed oculata diplomazia francese per continuare ad accaparrarsi preziose risorse per il proprio paese gettate al vento da una diplomazia catastrofica, che non riesce più a comunicare nemmeno ai propri cittadini, come potrebbe d’altronde riuscire a tenere testa ai nuovi rampanti leader d’Africa, decisi a sbarazzarsi della pesante eredità coloniale?

Una idea che nasce da lontano

Foto - Macron interviene a Ouagadougou
Foto – Macron interviene a Ouagadougou

Non è la prima volta che Macron fa riferimento all’uscita precipitosa della Francia dal continente africano, scatenando reazioni sorprese nell’elite diplomatica e negli osservatori francesi, abituati a tessere trame complesse e capillari con i paesi africani ed i loro establishment politici.

Nel novembre 2017, durante una visita ufficiale a Ouagadougou, il presidente francese aveva proclamato la fine della politica africana della Francia, annunciando la morte simbolica della Françafrique, un termine dalla connotazione estremamente negativa, spesso utilizzato per indicare per lo più le relazioni opache e controverse intercorse tra Parigi e le sue ex colonie dell’Africa subsahariana.

All’epoca l’intento di Macron era ingenuamente quello di sbarazzarsi della pesante eredità coloniale francese, senza fare i conti però con un processo adeguato di decolonizzazione, ed iniziare un nuovo corso: ma non e’ stato percepito così dai suoi interlocutori, non ci si libera di un’epoca segnata dalla pesante ingerenza economica e politica con una scrollata di spalle. C’è da dire che a otto anni di distanza da quelle dichiarazioni roboanti, questa politica sembra essere bella e finita, non certo per volontà di Parigi, ma per le pressioni degli stessi stati africani.

L’addio della Francia dall’Africa

Negli ultimi mesi la cronistoria della morte cerebrale della Françafrique ha subito una rapida accelerazione. Il 28 novembre scorso, il presidente Bassirou Diomaye Faye ha annunciato la partenza delle truppe francesi dal Senegal. Lo stesso giorno il Ciad ha annunciato, all’indomani della visita del ministro degli Esteri francesi Jean-Noël Barrot, la fine degli accordi di difesa con Parigi.

Una parte dei 1.000 militari francesi di stanza in Ciad si trovava lì dal ritiro imposto da Mali, Burkina Faso e Niger nel 2022 e 2023. Un mese dopo, il 31 dicembre, anche la Costa d’Avorio ha dichiarato di chiedere il ritiro delle forze francesi ancora presenti nel paese. Sconfitta su tutti i fronti, la Francia non può che ritirarsi ed è certo che la debolezza endemica di Macron, oltre alle sue notorie gaffes diplomatiche, non aiutano.

Il ritorno dei governi locali

Parigi non riesce più ad imporre la sua politica africana, può oramai cercare solo di adeguarsi alle esigenze sovrane dei governi locali. L’espulsione delle forze francesi da alcuni paesi, come in Mali nel 2022, è stata accompagnata da manifestazioni ostili in cui sono state bruciate bandiere francesi. È un segno che la frattura storica è insanabile.

Sono oramai la Russia, attraverso le attività del Gruppo Wagner prima e poi dell’Africa Corps, e la Cina, grazie ai massicci investimenti in infrastrutture, a contendersi i partenariati strategici con i paesi africani. Il Burkina Faso e il Mali, ad esempio, hanno intensificato la loro cooperazione militare con la Russia, mentre Paesi come il Niger stanno valutando altre opzioni per lo sfruttamento delle loro risorse naturali. Allo stesso tempo, alcuni analisti sottolineano che Parigi ha faticato ad adattarsi alle aspirazioni delle nuove generazioni di africani, più sensibili ai concetti di sovranità e indipendenza dai loro ex colonizzatori.

Il nuovo ruolo di Cina e Russia

Secondo un’analisi pubblicata da Jeune Afrique nel dicembre 2024,

la Francia è ormai percepita come un partner superato, aggrappato a un rapporto paternalistico che le nuove generazioni di africani rifiutano.

La Francia, con il suo pesante passato coloniale, è giudicata infatti un partner inaffidabile e particolarmente odiato. Il suo esercito ha appoggiato colpi di stato e avallato massacri inauditi pur di favorire le sue compagnie energetiche. La Russia invece è considerata quasi come una potenza liberatrice da questo punto di vista. Qui in Africa non si è macchiata infatti di genocidi di massa come invece ha fatto la Francia in Ruanda o in Algeria negli anni ‘60. I

l passato sanguinoso delle truppe francesi in Africa è troppo vivo nelle memorie degli africani e nessuno è più disposto a tollerare il tricolore francese da queste parti. Meglio le bandiere della Russia ed il silenzioso capitalismo cinese.

I risvolti strategici

Il ritiro frettoloso delle forze francesi dal Sahel ha anche profonde implicazioni strategiche. Il graduale ritiro delle basi, un tempo cruciali per la lotta al terrorismo nella regione, lascia un vuoto di sicurezza che alcuni paesi (Russia, Cina, Usa in primis) cercano di colmare. Il Niger, ad esempio, ospitava una delle principali basi francesi per le operazioni antiterrorismo nella regione.

Il ritiro francese non solo ha influito sulla lotta contro i gruppi jihadisti, ma anche sull’accesso a risorse strategiche vitali come l’uranio, essenziale per l’industria nucleare francese. Il Niger era l’ultimo perno del dispositivo antijihadista francese nella regione. In precedenza essenzialmente una base di transito per le operazioni in Mali, da cui la forza Barkhane si è ritirata, restava l’unico paese africano con cui la Francia manteneva ancora un partenariato detto “di lotta” contro i jihadisti.

Il fattore energetico

Foto - La miniera di uranio Somair
Foto – La miniera di uranio Somair

Ricordiamo che l’uranio del Niger alimentava 56 reattori nucleari francesi. I fabbisogni erano dunque importanti e per questo la Francia contava sull’estrazione di uranio nigeriano, nelle miniere a cielo aperto, da parte del gruppo Orano (ex Areva). Nell’Unione europea, il Niger era il primo paese importatore di uranio naturale. Nel 2021, ha fornito il 24,2% delle forniture, davanti a Kazakistan e Russia, secondo l’Agenzia europea di approvvigionamento Euratom (ESA).

Ora però questo ultimo idillio si è concluso in maniera catastrofica. Il fiore all’occhiello dell’industria francese, Orano, che possiede il 63% della filiale di Somaïr, in Niger, ha dichiarato di aver perso completamente il controllo di questa filiale strategica. Il problema è ovviamente politico, le autorità nigerine vogliono buttare fuori dal Niger anche questo attore fondamentale dell’egemonia francese in Africa.

Il tramonto di Orano

In un comunicato stampa, il gruppo francese deplora il fatto che le decisioni prese dal consiglio di amministrazione non vengano più applicate. “La risoluzione del 12 novembre di sospendere le spese di produzione per dare priorità al pagamento degli stipendi e preservare la base industriale è stata deliberatamente impedita ”, ha dichiarato Orano.

Le spese di produzione in corso nel sito fanno sì che la situazione finanziaria dell’azienda si deteriori ogni giorno di più ”, ha proseguito Orano. Allo stesso tempo, le scorte di concentrato di uranio continuano ad accumularsi nel sito. Hanno raggiunto le 1.150 tonnellate, l’equivalente di sei mesi di produzione, per un valore stimato di 200 milioni di euro. Queste ingenti scorte però non possono essere esportate a causa della chiusura delle frontiere con il Benin. Le autorità nigerine rifiutano anche soluzioni alternative, come il trasporto aereo verso la Namibia.

Il contenzioso con il Niger

Orano così ha annunciato di aver presentato una richiesta di arbitrato contro lo Stato del Niger presso il Centro internazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti (ICSID) con sede a Washington, negli Stati Uniti. Secondo diversi analisti francesi questa controversia è l’ultimo ricorso possibile dopo che diversi tentativi di risoluzione amichevole sono rimasti senza esito nella disputa con la giunta militare al potere a Niamey su Somaïr.

Dopo la procedura annunciata il 20 dicembre per il gigantesco giacimento di Imouraren, la cui licenza operativa è stata ritirata a Orano lo scorso giugno, questo è il secondo caso di arbitrato avviato dal gruppo contro lo Stato del Niger. Secondo i legali di Orano, la prima richiesta è stata presentata a un’altra giurisdizione, la Corte congiunta di giustizia e arbitrato dell’Organizzazione per l’armonizzazione del diritto commerciale in Africa (OHADA), con sede ad Abidjan, in Costa d’Avorio.

La desertificazione militare in Francia

La fine dell’aggressivo capitalismo francese in Africa è solo lo specchio della debolezza militare del paese transalpino nella regione. La presenza militare francese in questi anni si è assottigliata sempre di pù ed il suo peso nella regione ha iniziato contemporaneamente a scemare. Secondo fonti del Ministero delle Forze Armate francesi, la Francia ha oggi meno di 2.000 soldati di stanza in Africa, rispetto agli 8.500 del 2022, distribuiti principalmente in tre basi (Gibuti, Gabon e Costa d’Avorio).

Nei prossimi mesi, avvertono analisti ed esperti, la presenza militare francese potrebbe ridursi a poche centinaia di uomini in Africa occidentale e centrale. Fino a tre anni fa, oltre ai 1.600 militari di stanza in Africa occidentale e in Gabon, la Francia aveva più di 5.000 soldati nel Sahel nell’ambito dell’Operazione Barkhane contro i gruppi armati jihadisti. Ora, concretamente, la Francia manterrebbe solo un centinaio di soldati in Gabon (rispetto agli attuali 350), oltre alla base militare di Gibuti, che ospita 1.500 soldati.

Il declino

Parigi vorrebbe mantenere una base strategica in questo piccolo paese che si affaccia sullo stretto di Bab-el-Mandeb, dove passa gran parte del commercio marittimo mondiale tra Asia e Occidente. Non è sicuro che ci riesca data la scarsa considerazione che hanno oggi gli stati africani di questo paese. Il declino della Françafrique era oramai storicamente inevitabile, ma la figura di Macron, con la sua endemica debolezza politica, le sue numerose gaffes diplomatiche e le impasse politiche dei suoi effimeri governi, in questo particolare frangente storico, non ha fatto altro che decretarne la fine.

Marco Cesario
Marco Cesario

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