Il tema dell’immigrazione clandestina travolge anche la politica australiana

Il tema dell’immigrazione clandestina travolge anche la politica australiana

8 Giugno 2024 0

Fra le istanze politicamente più scottanti e dibattute oggi l’Australia condivide con gli USA e la Gran Bretagna non soltanto l’AUKUS, il Patto di difesa militare, ma anche l’immigrazione clandestina. Come nota David Speers, giornalista dell’emittente pubblica ABC, sulla strada che porta alle prossime elezioni del 2025 l’immigrazione sta diventando un tema “rovente”.

L’esempio della madrepatria britannica

In fatto di scontri e di discussioni parlamentari sull’argomento, Speers ipotizza che Canberra voglia seguire l’esempio di Londra. Oggi persino l’opposizione laburista britannica si mostra preoccupata dell’aumento dell’immigrazione e ne accusa il governo Tory. Quest’ultimo riceve critiche e pressioni anche da destra, da parte della formazione di Nigel Farage. Le incombenti elezioni politiche fanno sì che si lotti a colpi di slogan, con il Reform UK (l’ex partito della Brexit) che si riaggancia ironicamente alle frasi della propaganda green e promette di raggiungere un livello di “zero migrazione netta”. Il voto dei conservatori finisce così ulteriormente frantumato.

L’esempio americano

Negli USA lo scontro politico è ancora più intenso: si intreccia ormai con le tensioni sociali all’interno delle grandi città e con l’aperta ostilità di alcuni Stati verso il governo centrale. Non è soltanto Donald Trump a sfidare l’amministrazione Biden, ma anche i governatori del Texas e della Florida, oltre a tutta una serie di cittadini divenuti attivisti politici in Rete. L’Australia non ha confini terrestri da fortificare e da difendere con un muro, ma può applicare blocchi navali e mandare via i clandestini arrivati dal mare o accolti temporaneamente come rifugiati.

Un tema scottante per la politica australiana

È anzitutto la Coalizione Liberale-Nazionale, il raggruppamento di opposizione, a voler rendere l’immigrazione un tema “rovente” in vista delle elezioni federali. Il ministro Andrew Giles non ha incontrato il favore dell’Aula con la sua proposta di usare droni per seguire gli immigranti usciti dai centri di accoglienza temporanea. Nel frattempo, però, il dibattito si sta accendendo. Da un lato i cittadini si indignano per i crimini commessi dai clandestini e dall’altro si cerca un accordo sul numero complessivo di persone che l’Australia dovrebbe far entrare. A ciò si aggiungono le considerazione sull’impatto economico degli immigrati. Numeri contrastanti alla mano, i deputati non riescono a stabilire la quota di budget che vada destinata al loro inserimento e quale sia l’apporto che effettivamente diano alla crescita economica del Paese. Sembra comunque che sotto ogni aspetta stia prevalendo la “linea dura”, proprio come negli USA e nel Regno Unito.

Una lunga storia di “panico da immigrazione”

Non si pensi che a Canberra l’immigrazione sia un tema nuovo nel dibattito politico e sociale. La differenza è che oggi spicca la percezione dei cittadini rispetto alla minaccia posta dai non-citizens alla tradizionale prosperità australiana. Il ministro Giles cerca di correre ai ripari proponendo la nozione di “sicurezza della comunità”, ma esprimendola in termini troppo vaghi. Nella sua storia coloniale l’Australia ha già vissuto fasi di “panico da immigrazione”, come lo chiamava il sociologo ebreo polacco Zygmunt Bauman. Da diversi anni il sistema di accoglienza australiano sembra caduto in crisi profonda. Il più recente insuccesso è quello relativo alla gestione degli immigrati dal 2012 in poi. Una piccola parte è stata deviata verso i centri di accoglienza di Nauru e Papua Nuova Guinea, che alcuni definiscono prigioni a cielo aperto. li altri sono rimasti in Australia come in una sorta di limbo, senza ottenere il permesso di soggiorno.

Marco Fontana
marco.fontana

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