Il ritratto di Erdogan e dell’Islam nel coraggioso saggio di Giulio Meotti ‘La Mezzaluna sulla croce’

Il ritratto di Erdogan e dell’Islam nel coraggioso saggio di Giulio Meotti ‘La Mezzaluna sulla croce’

12 Agosto 2021 0

Tra i saggi pubblicati nel 2021 merita sicuramente una menzione speciale ‘La Mezzaluna sulla croce – L’Islam di Erdogan, l’Armenia e l’Europa‘, edito da Giubilei Regnani e scritto dal giornalista de “Il Foglio” Giulio Meotti. Si tratta di un ritratto crudo e puntuale della reislamizzazione della Turchia, del Medioriente e più in generale del mondo. Uno scritto di rara lucidità, capace di scorrere come un romanzo peccato che ad essere descritto è il lento declino dell’Occidente e delle sue tradizioni. Abbiamo avuto il privilegio di intervistare direttamente l’autore del libro per approfondire con lui le tematiche trattate nel suo ultimo lavoro editoriale.

Infografica – La biografia dell’intervistato Giulio Meotti

– Com’è nato il Suo saggio “La mezzaluna sulla croce”?

– Sono partito scrivendo su Erdoğan, divenuto ormai un personaggio-chiave per le sorti non soltanto della Turchia, ma pure dell’Europa, con la quale il presidente turco ha un rapporto strategico di simbiosi o perfino di nemesi. Nel momento in cui è nuovamente scoppiata la guerra nel Nagorno Karabakh, con l’autoproclamata repubblica dell’Artsakh avente strettissimi contatti con l’Armenia, ho pensato fosse possibile spiegare la gravità della situazione nel nostro rapporto con Erdoğan attraverso la storia del popolo armeno: questo libro è anche un gesto di solidarietà nei confronti di quest’ultimo, spesso ignorato dall’opinione pubblica, sebbene conti nel mondo una diaspora dai numeri sostenuti.

– Quanto pesa l’epoca delle colonizzazioni nei rapporti col mondo arabo e con l’Islam e quanto pesa l’infedeltà del mondo occidentale verso l’Armenia?

– Pesano nella misura in cui l’Armenia è un Paese orfano sotto determinati punti di vista. Era una Repubblica sovietica che faceva parte dell’URSS, ma nonostante sia stata tra i primi Paesi post comunisti ad abbracciare la democrazia e il pluralismo, nonostante sia una delle culle della cultura europea e occidentale, primo Paese a convertirsi al cristianesimo, nonostante abbia patito il primo vero grande genocidio della storia moderna, continua ad essere considerata “oltre cortina”, sotto il vassallaggio russo, mai colonizzata ma aggredita da uno Stato, quello turco, uscito a sua volta dalle convulsioni della decolonizzazione. Agli armeni mancano gli eventuali benefici di un rapporto di custodia, come per esempio quello della Francia verso alcune sue ex colonie. Gli armeni sono abbandonati a loro stessi: se non fosse per i russi, ho dei dubbi sul fatto che l’Armenia possa restare a galla, visto l’atteggiamento ostile dei suoi vicini quali Azerbaigian e Turchia. E pesano perché l’Occidente ha avuto colpe notevoli verso l’Armenia, come spiega Nash Marshall nel suo recente libro “I peccati dei padri”: il genocidio armeno è anche una conseguenza dell’alleanza tra la Turchia di Atatürk e la Germania guglielmina e poi nazista: è una colpa primigenia di molta parte del pensiero e dell’atteggiamento tedesco.

– Che differenza c’è tra gli jihadisti che operano nel Caucaso e quelli che agiscono in Africa o in altre aree? E qual è la differenza di trattamento che viene loro riservata soprattutto in seno alle Nazioni Unite?

– Erdoğan usa ormai da tempo in Siria, in Iraq e nell’Artsakh i miliziani della galassia islamica, non necessariamente jihadisti; alcuni di questi erano anche i “terroristi moderati” sponsorizzati dagli USA. Costoro sono trattati in modo differente dalle organizzazioni internazionali, ma i loro slogan sono i medesimi. Alcuni miliziani filo-turchi, impiegati dall’Azerbaigian, una volta arrestati hanno dichiarato che per ogni testa di armeno che tagliavano, avrebbero ricevuto 100 dollari in più. Il manuale della guerra jihadista contro gli armeni è in parte simile a quello che vediamo nel Sahel o in Nigeria. Le motivazioni geopolitiche ed economiche e sono diverse, ma il metodo è lo stesso. Come detto da un autore francese, contro l’Armenia si è avuto una sorta di scontro di civiltà: da una parte una grande alleanza sotto la mezzaluna turca e dall’altra una piccola nazione cristiana, incastrata sulle montagne, circondata da avversari e mutilata di gran parte del suo territorio storico. Per me è importante far comprendere come nel mondo politico islamico sussistano ragioni idelogiche e religiose che danno impulso alla loro lotta contro gli armeni.

– Il libro parla di “guerra di popolo” e rammenta la damnatio memoriae applicata dalla Turchia: è questo il modus operandi dei turchi nella loro azione geopolitica?

– Lo vediamo a Cipro, in cui dopo l’invasione turca del 1974 non è rimasto quasi più nulla dell’antica civiltà cristiana della parte settentrionale dell’isola. In Europa e negli USA è stato persino bandito il commercio di reperti bizantini provenienti dalla zona turca di Cipro. Ora lo stiamo vedendo in Artsakh: un video della BBC ha per esempio mostrato il luogo in cui sorgeva una chiesa armena, ora rasa al suolo. La cancellazione viene attuata ovunque attecchisca l’Islam politico: lo si è visto in Iraq con l’ISIS o in Nigeria, dove i villaggi vengono decristianizzati facendo cambiare nome agli abitanti oppure sfollandoli. Gli accademici americani del “Caucasus Heritage Watch” stanno monitorando con le immagini satellitari la cancellazione della civiltà armena messa in atto da vincitori: vengono abbattute le chiese e persino i cimiteri per costruire strade nei territori conquistati. Chiudere gli occhi davanti a questi fatti è un atto ingenuo o peggio ancora colpevole.

– Come procede l’espansione della rete religiosa turca in Europa? Quante moschee sono sotto il controllo diretto o il finanziamento dei turchi? In che modo cercano di manipolare il comune sentire degli occidentali?

– È uno dei grandi temi di oggi. Fino al 2001 era l’Arabia Saudita il grande esportatore di luoghi di culto musulmani nel mondo, si vedano ad esempio la grande moschea di Roma o quella di Bruxelles. Adesso invece i grandi poli di finanziamento sono la Turchia e il Qatar, alleati fra loro. Il ruolo della Turchia è enorme in Germania, in cui controlla qualcosa come un terzo delle moschee attraverso il Ministero degli Affari Religiosi, a cui Erdoğan ha concesso un’importanza senza precedenti conferendo budget e arruolando funzionari; e lo è anche in Francia, dove abbiamo assistito alla polemica sulla moschea di Strasburgo, seconda capitale dell’Unione Europea, la cui amministrazione comunale ha finanziato la costruzione di questo tempio legato a Millî Görüş, un’organizzazione turca vicina ai Fratelli Musulmani, patrocinati in Europa proprio da Erdoğan. E ovunque vi siano grosse comunità turche, come in Austria, in Svezia, in Olanda e in Belgio, là si notano chiaramente i tentativi di influenza attuati da Erdoğan, che porta avanti la sua cosiddetta diplomazia religiosa. Da quando è salito al potere, nella stessa Turchia ha fatto edificare ben 18mila moschee, anche nei luoghi simbolo della Istanbul laica, e sta cercando di fare lo stesso ovunque riesca, dall’Africa ai Balcani, non solo costruendo moschee, ma espandendo la sua rete a tutti i livelli, anche con centri culturali e associazioni e persino nominando gli imam da inviare in Europa. E un progetto di conquista soft, perché non lancia un bellicoso messaggio tradizionale, ma si presenta sotto la forma seducente di Islam moderato, che porta la cravatta proprio come il presidente turco ma non per questo è meno pericoloso.

– Nel suo libro Lei cita Ratzinger. Nel suo pontificato, quanto si è speso Benedetto XVI per far comprendere la questione turca?

– È stato proprio Benedetto XVI a mettere in guardia l’Europa dal carattere di alterità della Turchia rispetto al nostra civiltà. In due famose interviste a Le Figaro, prima di salire al soglio pontificio, disse che Europa e Turchia sono due continenti culturali diversi e che far entrare l’Europa in Turchia, come tanti politici volevano e ancora insistono, è un errore strategico. Purtroppo è stato sonoramente sconfitto. La sua lezione di Ratisbona, mistificata in senso anti-islamico, è stata sconfessata dalla Santa Sede. Ma forse la sua eredità sarà ancora preziosa per far aprire gli occhi.

– L’armistizio del 10 novembre 2020 ha risolto il problema del Nagorno Karabakh almeno temporaneamente oppure si tratta per l’Armenia dell’inizio della fine?

– Domanda difficilissima. Vediamo quanto accaduto nei giorni scorsi, con l’uccisione di tre soldati armeni proprio sul confine, con i tentativi di sconfinamento da parte dell’Azerbaigian, con le minacce azere di proseguire nell’espansione con la sua potenza finanziaria legata al gas e al petrolio – è un partner energetico di primissima importanza pure per l’Italia (TAP), che ha un budget militare enorme e gode della protezione turca. L’Armenia invece può contare solo su sé stessa, sulla propria identità. Certo, ci sono i russi (ricordiamo che il ministro degli Esteri Lavrov è per metà armeno e che in Russia la presenza armena è molto grande), ma temo che sul lungo periodo non basterà. Da un lato l’Azerbaigian si sta espandendo anche demograficamente, oltre 10 milioni di abitanti, mentre l’Armenia da questo punto di vista è occidentalizzata, è scesa sotto i 3 milioni e continua a calare. Gli armeni rispondono orgogliosamente di avercela sempre fatta, anche dopo il genocidio che ne sterminò un milione e mezzo: magari arriverà un aiuto della Provvidenza, ma dal punto di vista militare, strategico e politico il futuro non si presenta radioso.

Infografica – La scheda del libro “La Mezzaluna sulla Croce”
Marco Fontana
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