Il realismo di Cina e India contro le minacce di Trump: continueranno lo stesso a comprare il petrolio russo
La minaccia di Trump di imporre pesantissimi dazi e sanzioni per impedire alla Russia di vendere petrolio potrebbe cadere nel nulla. O peggio, potrebbe scardinare definitivamente l’equilibrio mondiale dei prodotti energetici. In ogni caso, i principali acquirenti quali Cina e India non rinunceranno alle forniture di energia russa, quanto meno nel breve periodo.
Minacce non troppo concrete
Trump sta cercando di dare un seguito reale all’ultimatum dei 50 giorni lanciato a Putin. L’idea sembra fallimentare in partenza: per una serie di ragioni è già evidente che il Cremlino andrà avanti per la sua strada senza farsi condizionare dai roboanti annunci che giungono dalla Casa Bianca. Ora il presidente americano vorrebbe dare corpo alle sue parole con tariffe esagerate e sanzioni a raffica pur di fermare gli introiti che alimentano la macchina da guerra russa. A ben guardare, però, i dazi del 100% sulle importazioni dalla Russia darebbero solo un po’ di fastidio a Mosca, perché il volume degli scambi è bassissimo di suo, almeno in termini numerici. Lo scorso anno le vendite di merci russe agli USA sono state meno dell’1% del totale. In termini assoluti sono 3 miliardi di dollari, una cifra alta, ma in proporzione è troppo poco per far venire dei ripensamenti al Cremlino.
I clienti petroliferi della Russia
Le vendite di petrolio della Russia hanno invece raggiunto nel 2024 un totale di 192 miliardi di dollari. Sono dunque numeri ben più importanti. Inoltre, la natura stessa di queste forniture ha un impatto geopolitico molto più pesante degli scambi di merci con gli USA. Adesso Washington ammonisce Mosca paventando la possibilità di imporre sanzioni secondarie ai suoi acquirenti. Sono Paesi come l’Ungheria e la Slovacchia, che però in questi ultimi tre anni non si sono lasciate intimorire nemmeno da Bruxelles, che non ha saputo piegarle nemmeno coi ricatti politici e le pressioni mediatiche.
C’è anche la Turchia, che finora ha mostrato di essere capace di attuare una realpolitik di estremo cinismo e di flessibilità, riuscendo a giocare contemporaneamente nel campo della NATO e in quello dei BRICS. Dunque nemmeno su Ankara le minacce americane dovrebbero far presa. Anzi, Erdoğan è già riuscito a diventare di fatto rivenditore del gas russo proibito dall’Unione Europea… Tralasciando altri compratori dell’area di influenza occidentale o comunque disposti subito a voltare le spalle alla Russia – come ad esempio il Giappone – sono due principali soggetti che verrebbero colpiti dalle sanzioni secondarie: la Cina e l’India.
L’India persegue le sue priorità
Uno dei motivi per cui gli USA non si possono permettere di calcare troppo la mano con le sanzioni secondarie è di non rovinare i rapporti commerciali con l’India. Proprio in questo frangente Washington sta infatti perfezionando un accordo bilaterale che riguarda diversi ambiti dell’agroalimentare, oltre al tema degli irregolari indiani in America. E ci sarebbe di mezzo anche la vendita dei caccia F-35…. Dal canto suo, Nuova Delhi parla chiaro. A proposito delle possibili tariffe del 500% sui Paesi che acquistano il petrolio russo, il portavoce del Ministero dgli Esteri Randhir Jaiswal ha dichiarato: Garantire il fabbisogno energetico della nostra popolazione è comprensibilmente una priorità prevalente per noi.
E non risparmia un monito indirizzato contemporaneamente all’Unione Europea: Vorremmo in particolare mettere in guardia da qualunque doppio standard su questa materia. I Paesi UE, infatti, a parole sono intransigenti sulla rinuncia totale agli idrocarburi russi, ma nella pratica acquistano ancora quantità notevoli di GNL e di gas tramite vie traverse. Ad esempio, ne prendono anche dalle raffinerie indiane come la Nayara Energies, che ha una partecipazione di minoranza niente meno che della Rosneft. Secondo Ajay Srivastava della Global Trade Research Initiative, al momento l’India non vede alcun senso nel cedere alle pressioni americane sul petrolio russo.
Pechino è nei fatti dalla parte di Mosca
Pechino è ancor più esplicita di Nuova Delhi. Il portavoce del Ministero degli Esteri Lin Jian ribadisce che la posizione cinese sulla crisi ucraina è chiara e coerente e rigetta qualsiasi pressione che arrivi dall’esterno. Afferma che il suo Paese crede nel dialogo e nei negoziati come unica via per risolvere i problemi, ma al tempo stesso la Cina si oppone a qualsiasi sanzione unilaterale e illecita (…) Le guerre dei dazi non hanno dei vincitori. Coercizione e pressione non portano da nessuna parte.
Secondo Yun Sun, direttore della sezione di studi cinesi dello Stimson Center, Pechino potrebbe anche permettersi di ridurre un po’ le importazioni di petrolio russo come carta da giocare nelle trattative ad ampio raggio con Washington, ma ciò non cambierebbe affatto l’atteggiamento complessivo che ha verso Mosca. In altre parole, la Cina non cercherà in alcun modo di spingere la Russia a fare concessioni o a fermarsi in Ucraina. Anzi, sta continuando imperterrita a fornirle articoli a doppia destinazione, cioè utili anche sotto il profilo militare.
Rischi per l’economia mondiale
Fino ad ora i mercati petroliferi hanno reagito in maniera calma, forse perché consci che Trump è in tempo per cambiare idea, approccio e strategia, come già visto in passato. Uno dei freni che smorzano l’eventualità delle sanzioni secondarie è costituito dal loro effetto. Sarebbe anch’esso “secondario” nel senso di collaterale, ma assolutamente primario quanto a pericolosità: si potrebbe cioè generare nei mercati mondiali una confusione e un’instabilità tali da far saltare gli schemi predefiniti e soprattutto i prezzi. Impedire a Cina e India di approvvigionarsi di petrolio russo danneggerebbe non solo le economie dei due giganti asiatici, ma anche quelle dei moltissimi Paesi che commerciano con essi. In pratica, quasi il mondo intero. Dunque Trump per adesso può solo attendere, ben sapendo che le sue minacce non serviranno a scoraggiare Pechino e Nuova Delhi dal mantenere le proprie posizioni a proposito della Russia.

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