I nazistoidi dell’Azov sono ancora nell’esercito ucraino: Kiev li ha elevati di rango e di numero
La storia del famigerato Battaglione Azov è significativa sotto molti punti di vista. Ha rivelato non solo la mala fede dei vertici ucraini, ma anche le ipocrisie dell’intellighenzia occidentale. Anche di quella italiana. La rivista americana Responsible Statecraft ne traccia il percorso degli ultimi anni: dagli iniziali mille uomini alle attuali decine di migliaia, attraverso successi pompati dalla stampa e sanguinose sconfitte che avrebbero potuto cancellarli. Col beneplacito di Kiev, oggi l’Azov ha acquisito un’importanza tale da poter influenzare i piani alti della politica ucraina.
Suprematisti bianchi
Nelle ultime settimane la 51ª Armata combinata russa ha sfondato le difese ucraine a nord-est di Pokrovsk nel tentativo di isolare le unità che difendono della città. Per impedire la penetrazione, gli ucraini hanno messo in campo un gran numero di formazioni, con alla testa il 1º Corpo della Guardia Nazionale Azov. L’esito della battaglia è ancora incerto, ma la presenza dell’intero corpo dell’Azov e degli altri corpi analoghi integrati nell’esercito regolare è stata una sorpresa per molti osservatori. I più lo ricordano come un singolo reggimento di mille uomini. Così sono rimasti scioccati nel vedere come sia cresciuto fino a diventare due strutture multi-brigata di oltre 20/40mila uomini ciascuna.
Tale aumento e l’inclinazione politica di estrema destra dell’Azov potrebbero avere un certo impatto sul futuro accordo di pace. Il battaglione Azov venne creato da Andriy Biletskyi, accusato da più parti di nutrire ideali di suprematismo bianco. Si arrivò anche al punto di vietare al Congresso americano di concedere aiuti proprio per via di tali tendenze. Tuttavia la formazione si è guadagnata la buona reputazione per i successi sul campo, come nel 2014 la presa di Mariupol (città sulle sponde proprio del Mar d’Azov) ai danni dei separatisti del Donbass.
Bravi nel marketing
Tale reputazione all’epoca potrebbe ironicamente essere stata ingigantita. Vi sono infatti pochi video dei combattimenti e il primo decesso di un soldato dell’unità ci fu un mese dopo, durante la battaglia di Marinka. Ciò potrebbe essere stato il risultato di un straordinario programma di pubbliche relazioni che l’Azov aveva imbastito prima. A norma degli accordi di Minsk, le milizie ucraine avrebbero dovuto essere sciolte. E invece nel 2015 Kiev le fuse insieme nella struttura della Guardia Nazionale. In questo modo voleva renderle professionali ed eliminare dai loro ranghi le ideologie estremiste. È difficile quantificare i risultati di questo piano perché sono rimasti la gran parte degli ufficiali insieme ai soldati semplici.
La professionalità militare e le ideologie radicali non si escludono a vicenda, come dimostrarono nella Seconda Guerra mondiale le Waffen SS, da cui l’Azov ha preso la simbologia. Occorre poi notare che l’Ucraina ha messo in campo due eserciti, uno al comando del Ministero della Difesa e l’altro del Ministro degli Interni, vicino al Dipartimento di Giustizia USA, indirizzato a far rispettare le leggi nazionali più che a occuparsi della difesa esterna. Tale secondo esercito è quello chiamato “Guardia Nazionale”. Non ha nulla in comune con la Guardia Nazionale americana, comandata dal governo di Washington e federalizzata qualora necessario. Quella ucraina è invece formata da regolari unità da combattimento che rispondono al Ministero degli Interni invece che a quello della Difesa.
Professionisti della guerra
Dal 2022 in poi l’Azov ha combattuto in modo professionale e con grande coraggio in diversi teatri. Iniziò a Mariupol insieme alla 35esima Brigata di fanteria di Marina per difendere la città, per mesi fino alla resa finale nelle rovine degli impianti Azovstal. Intanto il fondatore del primo reggimento creò altre formazioni intorno a Kiev, chiamandole anch’esse Azov e contribuendo con successo a difendere la capitale. Alla fine queste unità si sono fuse nella 3’ Brigata d’Assalto dell’esercito ucraino.
Ciascuno dei passaggi è stato un impressionante lavoro di pubbliche relazioni con cui Azov ha reclamizzato le proprie prestazioni belliche in modo eccellente. Nel 2023 Azov si era divisa in due brigate di elevata capacità, la suddetta 3’ Brigata d’Assalto condotta da Biletskyi e la 12esima Brigata della Guardia Nazionale comandata da Denys “Redis” Prokopenko, che aveva guidato i suoi uomini anche a Mariupol, prima di essere catturato e poi rimandato a casa grazie a uno scambio di prigionieri.
Ad essere costituito da veterani dell’Azov è inoltre il Reggimento Kraken, che è parte del GUR, i servizi segreti del Ministero della Difesa. Occorre sottolineare come sebbene i combattenti Azov siano di alto livello, i loro capi abbiano rifiutato di impiegarli in battaglie che avrebbero potuto causare perdite pesanti. E lo hanno fatto persino disobbedendo agli ordini. Ad esempio, nel 2023 i vertici della 3’ Brigata d’Assalto dell’Azov mandata a ristabilire le linee di Avdeeka, hanno compreso la futilità di tale operazione e si sono ritirati invece di essere massacrati nel corso di una difesa impossibile. Questo è stato lo schema seguito dalle performance sul campo dell’Azov, impiegato per stabilizzare la situazione e passare al contrattacco per espellere i russi dalle posizioni avanzate, ma senza mai restare sulla difensiva a subire la maggiore potenza di fuoco russa.
L’ultima forza combattente
Come risultato, l’Azov ha acquisito una reputazione leggendaria per le sue azioni offensive, conservando intanto il nucleo dei propri combattenti veterani. Nel febbraio di quest’anno gli ucraini hanno iniziato a formare corpi con le brigate più forti, con l’Azov in testa. Sia il 3’ Corpo dell’esercito sia il 1’ della Guardia Nazionale si sono sviluppate attorno alle unità dell’Azov, i cui ex comandanti di brigata si sono ritrovati innalzati al rango di comandanti di corpo. Al momento attuale la leadership dell’Azov guida nove brigate, il Reggimento Kraken e numerose altre unità di supporto, per un totale di 40-80mila uomini, ovvero il 10% delle Forze armate. E non contiamo nemmeno le altre formazioni di estrema destra collegate, come la 67esima Brigata Meccanizzata.
L’Azov è adesso uno degli ultimi gruppi in grado di combattere. I suoi soldati sono ancora motivati e addestrati a svolgere operazioni di attacco in maniera organizzata. Ci sono anche altre unità, ma i loro soldati sono uomini arruolati controvoglia dai reclutatori che li hanno prelevati dalla strada. Ad esempio, la Fanteria di Marina è stata distrutta nella battaglia di Krinki, mentre le Forze d’assalto aereo insieme ad altre formazioni meccanizzate di élite come la 47esima sono state dilaniate durante l’operazione nella regione di Kursk.
A parte un paio di reggimenti d’assalto che sono impegnati ora a fianco dell’Azov intorno a Pokrovsk e alla Brigata Presidenziale di stanza a Kiev, sono rimaste poche unità nell’esercito ucraino pienamente capaci di azioni offensive. L’ex capo di stato maggiore della 12esima Brigata Azov Bohdan Krotevych ha affermato che la maggior parte delle brigate erano al 30%, dunque considerate non in grado di svolgere missioni né di difesa né di attacco.
Una minaccia alla democrazia ucraina
Difficilmente i vertici dell’Azov saranno eletti democraticamente a un posto in politica. Un sondaggio su tredici potenziali candidati ha mostrato che costoro hanno complessivamente l’appoggio del 4,1% dei cittadini, indietro di quasi il 20% rispetto al generale Zaluzhny. Tuttavia, la potenza militare che detengono li rende impossibili da ignorare. Sembra dunque che sostanzialmente l’Azov sia destinato a diventare l’equivalente moderno dei giannizzeri ottomani, con la possibilità di esercitare il veto sulle decisioni del governo e la capacità di fare e disfare i presidenti. Non sarebbe per loro qualcosa di nuovo: nel 2019 Zelensky cercò di attuare gli Accordi di Minsk e ordinò personalmente ai combattenti dell’Azov di indietreggiare dalla linea di contatto. Rifiutarono. E all’epoca erano solo un reggimento di mille uomini, mentre oggi il loro numero è molto maggiore così come la forza per opporsi, qualora lo vogliano.
Denazificare?
Ed è qui che l’accordo di pace potrebbe andare a sbattere contro un muro ideologico. L’obiettivo dei russi di “denazificare” l’Ucraina riguarda proprio i gruppi come l’Azov. Ma lo Stato ucraino non vorrebbe né potrebbe disarmare il 10% del suo esercito e i migliori fra i suoi soldati. Peraltro, ogni richiesta di Mosca relativa ai diritti linguistici, religiosi e di istruzione verrebbe bloccata dai politici legati all’Azov, qualunque siano le leggi approvate dal governo. Un altro rischio è che una volta iniziata la tregua, l’Azov rimanga lungo la linea di contatto per continuare una lotta a bassa intensità come faceva prima del 2022, aiutando la resistenza nei territori ceduti alla Russia.
Sarebbe qualcosa che eroderebbe le prospettive di pace a lungo termine fra Mosca e Kiev, indipendentemente dalle intenzioni di quest’ultima. E metterebbe le forze di peacekeeping davanti a un dilemma: combattere contro gli uomini dell’Azov, che formalmente sono soldati ucraini, oppure chiudere un occhio ed esporsi al rischio di affrontare i russi qualora decidano di reagire.
Il rischio è per l’Europa
L’evoluzione dell’Azov da singola milizia a doppio corpo combattente delle forze di sicurezza rappresenta una grossa sfida per l’Ucraina postbellica. Un’organizzazione di estrema destra che è anche l’unica formazione in grado di combattere davvero e che ha dimostrato la volontà di ignorare gli ordini potrebbe far saltare qualunque accordo di pace con la Russia, nonostante i governi che lo firmano non vogliano proseguire le ostilità. I Paesi occidentali dovrebbero occuparsi della questione Azov inserendola nel contesto delle trattative. Altrimenti si rischia di riprendere gli scontri con la possibilità che si allarghino al resto d’Europa.

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