I giorni in cui Macron fece vacillare la democrazia francese

I giorni in cui Macron fece vacillare la democrazia francese

6 Luglio 2024 0

Il presidente “piromane” dopo aver incassato una cocente disfatta alle europee scioglie l’Assemblea Nazionale ed indice elezioni ravvicinate con un tempo di organizzazione risicato. Obiettivo: non permettere alle opposizioni di organizzarsi e giocando sull’ipotetica costruzione di un fronte repubblicano contro gli estremismi. Scommessa perduta, ed ora rischia di consegnare definitivamente il paese a Marine Le Pen.  

(Parigi). Emmanuel Macron non è mai stato un temporeggiatore. Rispetto all’illustre generale romano Fabio Massimo, che temporeggiò saggiamente conoscendo la forza dell’avversario, il presidente è un uomo impulsivo. Onnipresente sulla scena mediatica, si nutre del consenso dei media per nascondere il fatto che non riesce ad ottenere quello del popolo. Non è un caso: giovane e rampante quando si è presentato, col tempo – tra Gilet gialli, Covid e riforma delle pensioni – passerà alla storia come il presidente eletto con il consenso più basso della storia della V repubblica. Conscio di essere stato votato all’epoca per evitare che Marine Le Pen accedesse all’Eliseo, nel suo delirio bonapartista sta trascinando la Francia in acque molto agitate.

Ho deciso di restituirvi la scelta del vostro futuro parlamentare attraverso il voto. Per questo motivo questa sera sciolgo l’Assemblea nazionale“.

Alle 21.00 di domenica 9 giugno, il presidente della repubblica francese, in carica da due mandati consecutivi e malmenato dai risultati delle europee, mette fuoco alle polveri e crea dal nulla una delle più gravi crisi istituzionali che la Francia abbia mai conosciuto. Non che ricorrere all’articolo 12 della Costituzione – che consente al Presidente della Repubblica francese di porre fine ad una legislatura – sia una novità assoluta. Lo avevano fatto in passato già altri presidenti. Di altra risma, certo. Chirac ad esempio, nel 1997 e prima di lui Mitterand, nel 1988. Ma anche i contesti politici – oltre che le carature dei presidenti – erano ben diversi. E soprattutto i tempi per indire elezioni erano molto più larghi. Macron invece lascia poco tempo non solo agli avversari ma persino agli impauriti alleati della risicata coalizione di governo di organizzare le idee. Vuole dettare i ritmi, battere sul tempo tutti, rivestendo la propria carica di imprevedibilità. Siamo lontani qui dalla rupturesarkozista, il presidente che teneva le redini del paese con un pugno di ferro. Diversi psicologi e psichiatri si sono cimentati in sperticate analisi del comportamento presidenziale e le diagnosi sono poco lusinghiere: narcisismo patologico, megalomania, bonapartismo, distaccamento dalla realtà. Al di là però dei suoi bruschi rilievi psicologici, a creare grattacapi politici ai suoi alleati sono le sue improvvise sterzate. In politica estera ne abbiamo avuto anche noi un aspro assaggio: da “non bisogna umiliare la Russia” a “bisogna inviare militari in Ucraina” nel giro di un anno. In verità, tranne pochi fedelissimi, pochi sanno cosa il presidente farà o dirà nelle ore successive e questo è motivo d’inquietudine.

La decisione di Macron del 9 giugno stravolge la serata elettorale ma ottiene il primo obiettivo dichiarato: stemperare l’eclatante vittoria del Rassemblement National rendendo drammatico il momento istituzionale ed oscurare dai media la cocente sconfitta del partito presidenziale. Solo il suo pupillo, il centrista François Bayrou, osa commentare su France 2 una decisione irrazionale rivestendola di costituzionalità: “decisione storica”, dice. Ma nessuno gli crede. Ovunque invece, soprattutto nel campo presidenziale, le facce sono allibite, stralunate. Quindici minuti dopo, Raphaël Glucksmann, leader dei socialisti, è il primo ad offrire una prima lettura politica dell’evento: “Emmanuel Macron si è conformato alle richieste di Bardella (candidato RN al ruolo di primo ministro nda), anche se non aveva alcun obbligo di farlo. È un gioco estremamente pericoloso per la democrazia e le istituzioni”, sbotta l’eurodeputato. In effetti il presidente non dovrebbe avere fretta di sciogliere l’Assemblea ed indire elezioni dopo meno di tre settimane. Fior di costituzionalisti, politologi e specialisti spiegano che la Costituzione francese gli permette di temporeggiare per indire elezioni in un momento più propizio e non nel mezzo di un Europeo di calcio e delle Olimpiadi di Parigi.  Ma perché un azzardo simile in un momento simile?

Jean Quatremer, giornalista di Libération ed esperto di Francia ed Europa usa l’ironia per spiegarlo: “Conosce la roulette belga? La roulette belga è una pistola carica di sei proiettili. Mentre con la roulette russa si ha almeno la possibilità di vincere perché c’è un solo proiettile, con la roulette belga non c’è possibilità di cavarsela”. Poi entra nello specifico della sua riflessione. “Macron aveva scommesso sul fatto che ci sarebbe stata una mobilitazione di elettori per bloccare il RN e che alcuni elettori di destra avrebbero cambiato il loro voto perché tradizionalmente le europee vengono considerate esclusivamente come un voto di protesta. Ma non è mai stato un voto di protesta. Ha sempre preannunciato trasformazioni politiche più profonde. Macron si è sbagliato completamente. Aveva una maggioranza relativa, aveva la Costituzione, che era sufficiente per governare. Ricordo sempre che la Costituzione della Vᵉ Repubblica è stata concepita all’inizio, nel 1958, quando non c’era l’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale, che è arrivata solo nel 1962, per gestire un’assemblea con una maggioranza relativa, perché proveniva dalla Terza e dalla Quarta Repubblica, che erano state molto instabili, soprattutto la Quarta Repubblica. Quindi l’idea di Michel Debré (padre costituente francese nda) nello scrivere la Costituzione era di dare al governo le armi per gestire un paese con una maggioranza relativa. Quindi, oggettivamente, costituzionalmente, politicamente, non c’era motivo per sciogliere l’Assemblea Nazionale. Avrebbe potuto aspettare l’autunno per scioglierla, il che gli avrebbe permesso di fare una cosa, forse non di vincere, ma almeno di mettere in moto le cose, di creare un partito politico. Perché il partito politico di Macron Renaissance è un guscio vuoto. Non ci sono militanti, non sono presenti sul territorio”.

Un partito vuoto dunque, un giovane rampante che è invecchiato male, un protagonismo che è diventato ingombrante per tutti, anche quelli che lo sostenevano. Non ha più la maggioranza infatti, ma anche i suoi stessi parlamentari non lo sostengono più. In seno alla maggioranza è un tutti contro tutti in cui il presidente pensa di poter sparigliare le carte ed uscirne vincitore. Intanto, qualche minuto dopo le dichiarazioni del presidente, Marine Le Pen, prende parola dalla sede del Rassemblement National. “Siamo pronti a esercitare il potere se il popolo francese ha fiducia in noi”, dice l’ex candidata alle presidenziali insieme a Jordan Bardella. Da parte sua, Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, ritiene che Emmanuel Macron “abbia fatto bene a sciogliere il governo, perché non è più legittimato a portare avanti le sue politiche”. Anche qui, i due estremi si ritrovano su un punto comune. Elezioni subito.  Intanto però in una parte del paese sale la paura di Marine Le Pen al potere. A Parigi  vengono organizzati raduni, manifestazioni spontanee. In poco tempo Place de la République, la piazza più politicizzata di Parigi, si riempie di studenti, cittadini che chiedono l’unione delle sinistre e dei verdi per sbarrare la strada al Rassemblement National. Un progetto disperato ma che fa presa.  Un gran numero di attivisti riuniti in Place de la République scandisce in italiano “Siamo tutti antifascisti”. Contemporaneamente, gli attivisti di La France insoumise che si erano riuniti in altre zone della capitale arrivano a Place de la République con un messaggio: “Union populaire”. Alla fine partoriscono Il Nouveau Front Populaire, memori dell’esempio storico del Front Populaire del 1936 nato attorno al Partito Radicale, alla Sezione Francese dell’Internazionale dei Lavoratori e al Partito Comunista francese. Ma la famosa unione delle sinistre, spiega il politologo Thomas Guénolé, è un’unione fittizia, creata da un movimento di panico generale. “A sinistra – spiega – c’è una totale impreparazione. Hanno avuto divergenze molto profonde su questioni importanti come l’integrazione europea, la guerra in Ucraina, la situazione a Gaza e, naturalmente, la leadership della sinistra. Stiamo quindi parlando di persone che erano in profondo disaccordo e in aspra competizione le une con le altre fino all’altro ieri e che hanno superato tutto questo perché le circostanze politiche le hanno in qualche modo costrette. Ma il fatto che siano riuscite a superare questi problemi non significa che abbiano cessato di esistere”.

E poi, in seno alla sinistra c’è la patata bollente de La France Insoumise le cui posizioni radicali sulla guerra a Gaza sono conosciute. Lo spiega senza giri di parole Jean Quatremer. “Credo che la France insoumise non faccia più parte dell’arco repubblicano perché ha posizioni antisemite. Hanno fatto leva sul voto della comunità, cioè della comunità musulmana, giocando sul conflitto a Gaza. Abbiamo rivisto Jean-Luc Mélenchon, il presidente, il leader indiscusso che ha epurato diversi candidati dal suo partito, apparire in televisione accanto alla franco-palestinese Rima Hassan, che non era candidata alle elezioni legislative, indossando una kefiah. Vi immaginate, avete appena votato Rassemblement National, lo vedete e vi dite: confermo il mio voto perché questo è il tipo di Francia che non voglio, una Francia comunitarista”.

Ma le carte sono sparigliate anche a destra con Reconquête che fa fuori Marion Maréchal-Le Pen ed i repubblicani che insorgono contro Eric Ciotti, reo di essersi allineato sulle posizioni del Rassemblement National. Era questa la volontà di Macron? Un abile calcolo politico? Cosi’ parte zoppicante una campagna elettorale organizzata in fretta e furia per sparigliare le carte e presentarsi dunque ancora una volta come un presidente moderato, come la Francia rampante dei giovani lavoratori e delle startup, la Francia repubblicana e democratica che raccoglie il consenso della destra e della sinistra moderate.

Ma la scommessa di Macron è un cerino bagnato, la campagna del primo turno è un flop totale per il presidente. Tre settimane dopo l’annuncio improvviso di scioglimento dell’Assemblea nazionale, l’onda del Rassemblement National si conferma anche al primo turno delle elezioni legislative, con il 33,2% dei voti. Oltre 10,6 milioni di francesi votano per il Rassemblement National. Per la prima volta nella Quinta Repubblica francese, l’estrema destra s’impone al primo turno delle elezioni legislative. Una sconfitta sonante per Macron. Da solo, il partito di Marine Le Pen riesce ad ottenere il 29,2%, un risultato che supera di oltre dieci punti percentuali il risultato delle legislative del 2022 (18,68%), quando si era piazzato terzo. Al secondo turno, il Rn e i suoi alleati potrebbero essere presenti in 390-430 circoscrizioni e le proiezioni Ipsos per quanto riguarda i seggi all’Assemblea Nazionale sono di almeno dai 230 ai 280 seggi conquistati. Sorprendentemente a sinistra il Nouveau Front Populaire (NFP), formato in fretta e furia sulla scia delle elezioni europee, regge incredibilmente l’urto. La coalizione di sinistra ottiene il 28,1% dei voti, tenendo conto di tutte le sfumature dei partiti, dei quali il faro è il partito socialista di Glucksmann. Un risultato migliore di quello ottenuto nel 2022 dalla coalizione Nupes (25,78%), la precedente alleanza di sinistra allora dominata da La France insoumise di Mélénchon. Al secondo turno potrebbe essere presente in 370-410 circoscrizioni e le proiezioni in Assemblea Nazionale sono dai 125 ai 165 seggi. Il vero sconfitto del primo turno è dunque proprio il campo presidenziale, arrivato solo terzo (20%), con una netta battuta d’arresto rispetto alle precedenti elezioni legislative, quando aveva ottenuto il 25,75% al primo turno. Per Emmanuel Macron e i suoi sostenitori la maggioranza relativa ottenuta nel 2022 è ormai un lontano ricordo. Aveva previsto anche questo o era l’ulteriore scommessa che ha perso?

I risultati del primo turno restituiscono una geografia del voto che è una radiografia della Francia di oggi come conferma lo studio dell’IFOP (Institut français d’opinion publique) :  una tripartizione politica tra un blocco di sinistra, un blocco di centro e un blocco di destra radicale. Il Rassemblement National beneficia di un elettorato di riferimento: ottiene risultati particolarmente buoni tra le classi lavoratrici (47%), le persone con un basso livello di istruzione (45%) e nelle aree rurali (41%) ma compie questa volta progressi significativi anche tra quegli strati della popolazione tradizionalmente più lontani dai suoi orizzonti: dirigenti (24% dei voti nel 2024 rispetto al 10% delle elezioni generali del 2022), anziani (26% tra gli ultrasessantacinquenni rispetto al 12%) e giovani (25% tra i 18-24enni rispetto al 12% del 2022). La maggioranza presidenziale riesce a mobilitare solo la sua tradizionale base elettorale, ossia gli anziani (31% dei voti espressi nel 2024 rispetto al 36% del 2022) e i benestanti (33% rispetto al 36% del 2022). Le sinistre del Nuovo Fronte Popolare ottengono risultati notevoli tra i giovani (41% tra gli under 35) e presso i ceti meno abbienti (33% dei voti espressi) Insomma si profila l’idea di un paese a tre velocità ma solo per il corto intermezzo del primo turno. Si profila all’orizzonte dunque al secondo turno lo scontro tra due blocchi come spiega Julie Marie-leconte, giornalista politica di France Info. “Per il primo turno, c’è stato un confronto tra tre blocchi. E a poco a poco, stiamo entrando in una configurazione in cui ci ritroveremo al secondo turno con due blocchi principali che si affrontano”.

Altro dato che emerge dal primo turno, il travaso di voti dei giovani verso la destra. Nelle passate tornate elettorali i giovani sembravano avere più a cuore i temi ecologici e le tematiche sociali generalmente portate avanti dalle sinistre. Il sondaggio pubblicato da Harris Interactive per il quotidiano Challenges evidenzia impietosamente un aumento del 14,1% rispetto al 2022 del voto dei 18-24enni al Rassemblement National. Secondo il politologo Dominique Sistach, che insegna all’Università di Perpignan, “sociologicamente, c’è una massiccia adesione al RN”. E aggiunge: “Abbiamo sia un elettorato più anziano che uno molto più giovane, e questa è forse la novità dei nostri tempi. Abbiamo anche un elettorato con pensionati piuttosto benestanti, abbiamo il voto della classe operaia“. Insomma, conclude il ricercatore, “c’è un “effetto di massificazione a favore del partito di Marine Le Pen”.

Anche qui, Emmanuel Macron, di fronte alla cocente sconfitta elettorale, gioca al piromane agitando lo spauracchio degli estremismi. La sua idea è chiara, convogliare forze moderate in un ipotetico centro. E cosi’, nel corso della registrazione di un podcast “Generazione fai da te”, dopo aver incassato la cocente sconfitta del primo turno, alza la posta e sgancia l’ennesima bomba: “i programmi politici del RN e del Nouveau Front Populaire, se arrivassero al governo, scatenerebbero una guerra civile”, dice. Apriti cielo. Il presidente, conscio di quanto accaduto dopo la morte del diciassettenne Nael nel corso di un controllo della polizia, gioca sulla paura delle rivolte nelle banlieue. Rivolte che lui stesso però non ha saputo domare né sanare. Da quale pulpito dunque viene la predica?  Se lo chiede François Dubet, sociologo e professore ordinario dell’Università di Bordeaux-II:

Perché fare dichiarazioni simili? Devo confessare che ritengo estremamente inappropriato che il Presidente della Repubblica faccia una simile dichiarazione. Perché in un certo senso sembra che stia dichiarando una guerra civile solo per proteggere il suo potere. Secondo me questo è un atteggiamento del tutto irresponsabile”.

Certo i rischi ci sono sempre e la gente ha in generale paura degli estremi al potere. In un recente sondaggio di BFMTV sull’estrema sinistra, il 42% degli intervistati si dice d’accordo sul fatto che il programma della sinistra se fosse attuato porterebbe il paese alla guerra civile. Il 40% teme un rischio simile se invece il Rassemblement National salisse al potere. Insomma è un paese spaventato che non sa più che direzione prendere.

All’orizzonte poi c’è l’ultimo spettro, più confortevole e forse ragionevole: la convivenza. Emmanuel Macron, la sera del secondo turno del 7 luglio, potrebbe essere costretto a nominare un rappresentante del Rassemblement National a Matignon. È uno scenario possibile anche se per lui, nel 2017, era totalmente impensabile. Oggi pero’, prima del secondo turno,  sembra che Macron abbia un’idea precisa: curare il male con il male. La convivenza con un lepéniste, ora sul tavolo, viene presentata come l’antidoto all’arrivo di Marine Le Pen al potere nel 2027. “Dare le chiavi di un camion a qualcuno che non ha la patente per i mezzi pesanti significa ucciderlo”. Insomma bruciatevi da soli. L’ennesimo azzardo di un presidente quasi borderline. Non per niente Emmanuel Macron è stato accusato, a più riprese, di essere un “pompiere piromane”, coincidenza degli opposti. Certo, una cosa è accogliere Marine Le Pen sui gradini dell’Eliseo, un’altra è ritrovarsi in consiglio dei ministri con un governo targato RN, dicono dall’entourage presidenziale mentre altri stanno già paragonando i Giochi Olimpici di Parigi 2024 a quelli di Berlino del 1936.

Marco Cesario
Marco Cesario

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