Gli apprendisti stregoni di Francia e l’enigma degli scenari dissonanti

Gli apprendisti stregoni di Francia e l’enigma degli scenari dissonanti

10 Luglio 2024 0

L’esito delle elezioni in Francia, imprevisto dopo esser stato annunciato e programmato, è tale da indurre una riflessione approfondita.

Non solo abbiamo i risultati, ma il giudizio su di essi. Avranno i francesi votato come dovevano?

Pentole e coperchi

Quel che oggi si deve constatare è che, attraverso l’espediente di ritirare il terzo candidato nei collegi uninominali, si è ottenuta la magia di far perdere le elezioni alla forza comunque maggioritaria, cioè il Rassemblement National; e però si rischia adesso l’ingovernabilità, perché la forza maggioritaria nello schieramento di sinistra vittorioso è costituito da La France Insoumise, che si dà per scontato non sia pensabile vedere al governo.

FOTO - Un momento degli scontri avvenuti dopo il turno di ballottaggio ad opera di estremisti di sinistra
FOTO – Un momento degli scontri avvenuti dopo il turno di ballottaggio ad opera di estremisti di sinistra

Verrebbe allora da chiedersi: cosa non ha funzionato? Non si sarà giocato come apprendisti stregoni con la volontà popolare?

Lasceremo questa domanda per il momento in sospeso, in quanto, per rispondere, dovremmo ritornare a quell’altra domanda che, in un precedente articolo su queste pagine (“La politica del doppio legame”), avevo formulato: perché mai, in un contesto di elezioni democratiche, deve essere detto agli elettori che c’è un voto giusto e uno che non lo è?

Sarebbe una domanda più che mai legittima, alla luce anche del fatto che anche il voto giusto clamorosamente si rivela sbagliato. Non sarà, come nel detto popolare, che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi?

Dal razzismo all’antisemitismo, passando per l’antisionismo

Ripieghiamo su una domanda meno impegnativa ma non certo irrilevante: di grazia, quali ragioni impediscono a Mélenchon di aspirare a essere capo del governo?

Quel che viene messo in primo piano è l’accusa di antisemitismo. E il fatto che questa accusa sia elargita da sempre a piene mani a chiunque non appoggi la politica israeliana in genere, e tanto più nelle circostanze attuali, non esime da una più attenta considerazione.

Effettivamente il successo di La France Insoumise (che a onor del vero avrà comunque un numero di seggi nettamente inferiore a quello del Rassemblement National) è collocabile dentro un clima internazionale radicalmente mutato per via delle proteste contro la politica israeliana, accusata di perpetrare un vero e proprio genocidio ai danni dei palestinesi. Un clima in cui si assiste a un inatteso protagonismo giovanile, a partire dall’occupazione delle università in tutto il mondo, e che è stato addirittura paragonato a un nuovo Sessantotto.

Si è infranto un tabù, nella coscienza mondiale, che proteggeva lo Stato ebraico da qualsiasi critica. L’antisionismo è diventato un’identità collettiva capace di suscitare forti sentimenti a livello mondiale, saldandosi all’anticolonialismo e all’antirazzismo. E questo tanto più preoccupa, perché sembra spezzare, nella coscienza mondiale, il collegamento stretto fra l’area semantica del razzismo e quella dell’antisemitismo. In verità non è così, perché si limita a sottoporre a critica un uso strumentale dell’accusa di antisemitismo; ma è comprensibile che la rottura di una diga tanto collaudata possa provocare il panico. E, sotto questo aspetto, il successo politico del partito di Mélenchon è ben maggiore della sua effettiva consistenza elettorale.

Precisazioni che non rassicurano

Andrebbe fatta almeno una precisazione. Andrebbe innanzitutto ricordato che la Francia di Macron, mentre da ultimo ha espresso la linea più oltranzista rispetto all’Ucraina, fino a minacciare l’intervento esplicito sul campo di proprie truppe (mentre il Rassemblement National era contrario, e quindi accusato di essere filorusso), rispetto a Gaza aveva un atteggiamento di tipo opposto, mirato anzi a rivestire un ruolo nell’ampio schieramento mondiale che sta isolando Israele e gli Stati Uniti.

Per capire quale logica ci sia in questa apparente contraddizione, bisogna sempre ricordare che la Francia non ha mai rinunciato a svolgere un ruolo mondiale, e sente di doverlo rilanciare in una situazione in cui il ruolo degli Stati Uniti non è più affatto certo. Sotto questo aspetto nel radicalismo filopalestinese di Mélenchon si potrebbe anche vedere un portare alle estreme conseguenze una linea di fondo della politica francese di sempre, che però nelle attuali circostanze può avere un effetto dirompente.

FOTO - Melenchon ad una manifestazione filopalestinese
FOTO – Melenchon ad una manifestazione filopalestinese

Si aggiunga poi che Mélenchon è favorevole all’uscita dalla NATO, e anche questo non sarebbe incoerente con quella linea, ma la sua attuazione nel contesto odierno sarebbe non meno dirompente.

Aggiungo infine che Mélenchon è fautore di una politica di forte sostegno ai ceti più deboli, facendone pagare il costo alle fasce più alte: cioè riporta alla luce una sinistra di vecchio tipo, come non si usa più da tempo, magari con gli immigrati al posto dei tradizionali operai, e comunque con i giovani. Ed è per questo che ha acceso gli entusiasmi che hanno consentito alla coalizione di vincere; ma proprio per questo preoccupa, facendo rivivere pericolosi fantasmi del passato.

Un enigma geopolitico 

L’esito delle elezioni in Francia costringe forse a un confronto con un aspetto degli eventi internazionali in atto che non è stato sufficientemente preso in considerazione, e se questo non avviene molto si presenta come un groviglio inestricabile di strategie che si intrecciano e si sovrappongono.

Mi riferisco al fatto che, mentre si ha ragione di pensare che i due principali scenari bellici dei giorni nostri, in Ucraina e a Gaza, si inseriscano nel più ampio contesto della guerra mondiale in corso, non si può non riscontrare una dissonanza nel comportamento dei vari soggetti coinvolti. Ci si aspetterebbe infatti che il sostegno all’Ucraina si accompagni a quello a Israele, e in taluni casi in effetti è così; per lo più però accade che si abbiano atteggiamenti diversificati, ben al di là di quanto comporterebbe la specificità dei conflitti stessi e della storia che è alle spalle di ciascuno di essi.

In particolare in Europa, dove prevale un atteggiamento duramente antirusso, si è sempre più favorevoli ai palestinesi. E così accade, da un punto di vista più rigorosamente in sintonia con la NATO, che le destre siano sospette di possibili complicità con la Russia, mentre le sinistre, fino a tempi assai recenti ritenute più affidabili, comincino ad allarmare per il loro allontanamento da Israele. Significativo sotto questo aspetto è che, rispetto alle elezioni in Francia, coloro che nel mondo ebraico sono più duramente a sostegno di Israele abbiano ammonito che il pericolo non è da destra, ma da una sinistra insospettabilmente alleata col mondo islamico.

Questa singolare sfasatura tra quello che sembra essere il senso della guerra in Ucraina e quello della guerra a Gaza, con il diverso atteggiamento dei soggetti mondiali coinvolti, potrebbe essere un problema ancora maggiore rispetto alle elezioni americane. È ben noto che una fondamentale ragione per cui Donald Trump è osteggiato da una parte ancora maggioritaria dell’establishment si deve al fatto che sarebbe per un accordo con la Russia, mentre parrebbe tuttora essere a sostegno della parte più intransigente di Israele – anche se su entrambi i fronti il condizionare è d’obbligo, perché tutto muta rapidamente.

FOTO - Il presidente americano Trump e il presidente russo President Vladimir Putin durante il Summit APEC 2016 in Danang, Vietnam
FOTO – I Presidenti Trump e Vladimir Putin durante il Summit APEC 2016 in Danang, Vietnam

Mi sembra finora sfuggito quanto enigmatica sia questa situazione. Che ci sia qualcosa, nella strategia dei soggetti più direttamente esposti, che non è ancora stato sufficientemente compreso, da cui però gli equilibri politici in vari Paesi, come ad esempio in Francia negli stessi Stati Uniti, risultano condizionati?

Tre guerre in una

Vorrei allora formulare un’ipotesi sul quadro generale entro il quale gli eventi in corso si collocano, in assenza del quale tutto appare frammentario e spesso incoerente.

Poniamo, come ormai non è difficile ammettere, che la guerra mondiale in corso sia finalizzata a una ridefinizione dei rapporti di potere tra le aree da cui si è originata la propagazione mondiale della civiltà occidentale e quelle, largamente ormai maggioritarie, che in quell’orizzonte hanno la capacità e la volontà di svolgere un proprio ruolo – che, in termini semplificati e un po’ impropri, veda la contrapposizione tra Occidente e resto del mondo. Ebbene, propongo di pensare che, in questo quadro, si svolgano tre guerre contemporaneamente.

La guerra militare

La prima guerra è sul piano strettamente militare, e si combatte essenzialmente in Ucraina. Non è forse la più decisiva, ma ha la sua importanza, non foss’altro che per il pericolo estremo a cui tutti siamo sottoposti.

Mi sembra chiaro a questo punto che la strategia russa sia di logorare l’Occidente mantenendo il conflitto a un livello di bassa intensità, con strategie paragonabili addirittura a quelle della Prima guerra Mondiale, a costo dunque di un alto dispendio di vite umane; mentre da parte occidentale si fa e si farà di tutto per innalzare quel livello. Sotto questo aspetto le ricorrenti minacce russe di far uso del nucleare sono da intendere come finalizzati a scoraggiare l’innalzamento.

Per questo però l’Occidente è davvero in difficoltà, perché la NATO non è minimamente in grado di competere, con soldati propri, su quel terreno. E per questo cambiamenti politici in Europa, quindi soprattutto in Francia, sono visti con particolare apprensione. Per non dire in America.

La guerra economica

C’è poi però una seconda guerra, la cui importanza non ha bisogno di essere dimostrata, e si combatte sul piano economico.

Sotto questo aspetto la Russia è parte di un sistema economico alternativo a quello dominato dagli Stati Uniti, in cui di fatto sta entrando tutto il mondo non occidentale, compresi quei Paesi del mondo islamico che erano i fondamentali pilastri del dominio americano.

Se si osserva questo fenomeno, è abbastanza chiaro che le sorti del mondo sono ormai tendenzialmente decise. Quello che del resto consideriamo in senso stretto Occidente, cioè sostanzialmente l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America, è ormai soltanto un decimo della popolazione mondiale, con una percentuale crescente di popolazione immigrata entro quegli stessi confini, destinata, almeno in Francia e nel Regno Unito, a essere maggioritaria entro la metà del secolo.

Direi che le sorti del mondo sono inesorabilmente in quelle cifre. E si comprende pure come la questione dei flussi migratori sia non solo pretestuosa

La guerra morale

Propongo infine di pensare che ci sia una terza guerra in atto, che possiamo considerare ideologica, ma anche morale e addirittura spirituale. Ed è una guerra decisiva, perché chiama in causa le convinzioni profonde degli esseri umani, quelle per cui sono anche disposti a morire.

Sotto questo aspetto non si è compreso a sufficienza come la lotta intrapresa da Hamas a Gaza sia essenzialmente su quel piano. L’inimmaginabile impegno a resistere a tutti i costi a un esercito dal punto di vista strettamente militare incomparabilmente più potente – anzi, diciamolo con chiarezza, l’aver provocato lo scatenamento della sua forza distruttiva sulla popolazione civile – non può che essere finalizzato a un unico scopo: il completo screditamento morale del nemico, il suo isolamento dalla coscienza collettiva mondiale. Ed è ciò che sta avvenendo, di cui i dirigenti di Israele sembrano non avvedersi, fino al dilapidamento del pur immenso credito morale costituito dalla Shoah.

Ebbene, sotto questo aspetto non è strano che, mentre le destre europee si sentono in dovere di essere a qualsiasi prezzo al fianco di Israele, per non incorrere in quell’accusa di antisemitismo a cui la loro storia facilmente le esporrebbe, il riferimento a Gaza sia la grande occasione di rinascita per una sinistra moralmente ormai inaridita dall’essersi da tempo prestata a essere sostegno ideologico dei poteri dominanti.

Nello specchio della storia

Dovremmo sempre cercare di guardare a quel che accade oggi in una più ampia prospettiva storica.

E, se torniamo addirittura indietro di duecento anni, siamo in piena Restaurazione. Dopo il più sconvolgente sisma che l’Europa abbia conosciuto, la Rivoluzione Francese, per l’ultima volta, sull’onda di quegli eventi, la Francia aveva tentato di realizzare il suo sogno di egemonia europea (sorretta anche dalla sua maggior potenza demografica); e quel sogno si era però infranto nel tentativo di invadere la Russia. Più di un secolo dopo ci avrebbe riprovato Hitler, e lascio intendere come, nella memoria profonda della Russia, siano vissuti gli eventi attuali.

Quel che però la Rivoluzione aveva fatto emergere era il paradigma entro cui la storia successiva sarebbe stata interpretata, di cui è parte essenziale la contrapposizione destra-sinistra. Si tratta di un paradigma che più volte è stato dichiarato esausto, ma forse mai la sua fine è stata davvero elaborata – e quello che non viene elaborato è destinato ripresentarsi ostinatamente.

Oggi che dunque, con epicentro nuovamente in Francia, quel paradigma e quella contrapposizione riprendono il possesso della scena, e una nuova fase di scontro ideologico si sta configurando, coinvolgendo nuovamente i giovani e senza poter escludere episodi anche di violenza, può darsi che finalmente un nodo così profondo giunga al pettine. E, quando questa guerra avrà a un certo punto termine, ammesso che ci siano risparmiati eventi catastrofici, un nuovo assetto planetario avrà preso forma, e anche un nuovo paradigma attraverso cui guardare gli eventi collettivi, oltre che la vita personale.

Circa quel che potrà essere, sarà il tempo che viviamo a deciderlo

Claudio Torrero
Claudio Torrero

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