Foibe, Toni Concina “Dopo decenni di disattenzione, per usare un eufemismo, oggi vi è una sorta di risveglio delle coscienze”

Foibe, Toni Concina “Dopo decenni di disattenzione, per usare un eufemismo, oggi vi è una sorta di risveglio delle coscienze”

9 Febbraio 2023 0

Dal 2004, come ogni 10 febbraio, ricorre il Giorno del Ricordo: un momento per fissare nella memoria una delle pagine buie del nostro Paese. Dopo la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale, le città di Istria, Fiume e Zara, allora italiane, vengono cedute alla Jugoslavia. La tragica transizione conseguente alla sconfitta della guerra comporta una serie lunghissima di violenze perpetrate dai partigiani comunisti guidati da Josip Broz, conosciuto come “Tito”, nei confronti di tutti coloro che considerano nemici della costituzione di una federazione comunista jugoslava.

Come ricordato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella è da lì che genera la “pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica” di tanti connazionali. Tra il l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 con l’arrivo delle truppe jugoslave in Venezia Giulia. Le cronache parlano di quasi ventimila persone uccise: tra le 4mila e le 6mila all’interno delle foibe, profonde cavità naturali tipiche delle aree carsiche, dove venivano abbandonati i corpi dei giustiziati. Pulizia etnica, regolamenti di conti, delitti per invidia si mischiano in questi drammatici anni dove avviene anche l’esodo di migliaia di italiani, che allontanati dalle proprie città ormai jugoslave, fuggono verso il proprio Paese dove però purtroppo verranno accolti spesso con sospetto se non con odio.

Abbiamo contattato Toni Concina, presidente dell’associazione “Dalmati italiani nel mondo“, per non dimenticare la follia che percorse l’Italia e la Jugoslavia in quegli anni.

Infografica - La biografia dell'intervistato Toni Concina
Infografica – La biografia dell’intervistato Toni Concina

– Presidente come si sta sviluppando quest’anno la celebrazione del Giorno del Ricordo?

– Procede come negli anni precedenti, ma con l’unica differenza che invece che al Senato la celebrazione avverrà al Quirinale, condotta dal presidente Sergio Mattarella. In giro per l’Italia sono previsti, come ogni anno, decine se non centinaia di incontri ed eventi sul nostro tema.

– Sta cambiando l’approccio al ricordo di questa tragedia italiana?

– Fortunatamente sì. Dopo decenni di “disattenzione” (per usare un eufemismo), oggi vi è una sorta di risveglio. Il merito va anche a quanto sta facendo il Ministero dell’Istruzione, che ha stimolato un nuovo interesse verso una vicenda che non è dolorosa soltanto per noi profughi, ma per tutta la nostra nazione.

– Potrebbe raccontare la Sua esperienza ai nostri lettori?

– Sono del 1938, dunque appartengo a una delle ultime generazioni nate a Zara. Stiamo cercando di passare il testimone alle generazioni già nate e cresciute in Italia. La mia esperienza è simile a quella che coinvolse i miei concittadini. Zara è stata definita dal grande scrittore e politico Enzo Bettizacome la Dresda dell’Adriatico, perché fu bombardata 54 volte e rasa al suolo. Quando cominciarono i bombardamenti sulla città, mio padre prese tutta la famiglia e ci portò nelle Marche, da cui poi ci trasferimmo a Orvieto, città che ci accolse generosamente. La nostra situazione era comunque privilegiata rispetto a coloro che dovettero passare per i campi profughi o rimanervi persino per anni. Terminata la mia carriera di manager, sono tornato a Orvieto e ne sono stato anche sindaco. L’esperienza da esule fu certamente dolorosa, ma al momento di lasciare Zara avevo solo 5 anni, quindi vissi la fuga con la poca consapevolezza di un bambino piccolo. Tutti quanti perdemmo i beni e la casa, ma ad altri concittadini andò peggio: chi non poté scappare, chi ebbe dei morti in famiglia. Oppure chi visse un esodo pesante o tragico, per colpa della reazione impropria di certi nostri connazionali che consideravano tutti i 350mila esuli come dei pericolosi fascisti. A Bologna vi fu un episodio tremendo: non volevano far fermare i treni stracarichi di profughi per rifocillarli, rifiutarono di dare loro il cibo e versarono sui binari il latte destinato ai bambini. Purtroppo il nostro problema veniva rimbalzato fra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, o se vogliamo fra il blocco occidentale e quello orientale, perché all’epoca faceva comodo tenersi amico il maresciallo Tito. Ma noi profughi non ci siamo mai pianti addosso. Abbiamo lavorato, ci siamo rialzati. Dalla nostra comunità sono usciti personaggi del calibro dello stilista Ottavio Missoni e del già citato Enzo Bettiza. Per fortuna abbiamo mantenuto vivo il ricordo e oggi c’è maggiore consapevolezza, soprattutto da parte dei giovani. E lo so bene, perché quando parlo con loro, vedo nei loro occhi la curiosità e l’interesse verso un tema che riguarda tutta la nazione.

– Quanto pesa il fatto che vi siano ancora persone che vogliono cancellare il ricordo delle foibe?

– È una sorta di astio, anzi di idiozia di cui non comprendo il senso. Purtroppo il fenomeno è sostenuto dall’A.N.P.I., che invece di occuparsi di difendere la gloriosa memoria dei partigiani veri, promuove ideologie sconfitte dal tempo come il comunismo, appoggiando storici di seconda categoria. La mamma dei cretini è sempre incinta e loro campano in un piccolo guscio di odio e idiozia.

– Siete mai riusciti a rivedere le vostre case?

– Con l’entrata nell’area Schengen della Croazia è diventato più semplice tornare a Zara. Ma anche prima riuscivamo ogni anno ad andarci, ai primi di novembre per visitare il cimitero e curare le tombe dei nostri antenati.

– Com’è l’accoglienza in Croazia?

– È ancora superficiale. Comunque nel tempo ho instaurato un ottimo rapporto col sindaco di Zara, io che sono sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio (che è solo un titolo onorifico). Ho incontrato di recente il sindaco vero, con cui c’è un ottimo dialogo. D’altra parte, noi non abbiamo progetti di riconquista di terre, ma vorremmo solo che la cultura e la storia secolare della presenza italiana non venissero cancellate o disperse, ma tenuta a disposizione del popolo croato. Purtroppo i croati stessi furono per anni imbevuti di idelogia, ma oggi stanno maturando una consapevolezza in un certo senso più “europea”.

Marco Fontana
marco.fontana

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