Fmi, allarme transizione ecologica. La prossima crisi sarà quella dei metalli

Fmi, allarme transizione ecologica. La prossima crisi sarà quella dei metalli

8 Dicembre 2021 0

Il Fondo Monetario Internazionale, attraverso una sua ricerca per il World Economic Outlook di ottobre, ha espresso i propri fondati timori conseguenti alla transizione verso l’energia pulita, necessaria per evitare l’acuirsi del cambiamento climatico. La green economy ‘spinta’ a seguito di quanto deciso dal COP26 nonostante il risultato insoddisfacente per gli ambientalisti, potrebbe scatenare una domanda di metalli senza precedenti nei prossimi decenni, che richiederà fino a 3 miliardi di tonnellate.

Il Fmi porta alcuni esempi: un tipico pacco batteria di un veicolo elettrico, ad esempio, necessita di circa 8 chilogrammi (18 libbre) di litio, 35 chilogrammi di nichel, 20 chilogrammi di manganese e 14 chilogrammi di cobalto, mentre le stazioni di ricarica richiedono notevoli quantità di rame. Per l’energia verde, i pannelli solari utilizzano grandi quantità di rame, silicio, argento e zinco, mentre le turbine eoliche richiedono minerale di ferro, rame e alluminio. Proprio le nuove richieste del mercato green quindi potrebbero potrebbero far lievitare a dismisura la domanda e i prezzi dei metalli per molti anni.

I prezzi dei metalli hanno già visto grandi aumenti a seguito della ripresa economica conseguente all’allentamento delle misure anticovid, evidenziando la necessità fondamentale di analizzare cosa potrebbe limitare la produzione e ritardare le risposte dell’offerta. Il. Fmi si interroga se vi siano sufficienti giacimenti di minerali e metalli per soddisfare le esigenze di tecnologie a basse emissioni di carbonio e come affrontare al meglio i fattori che potrebbero limitare gli investimenti minerari e le forniture di metalli.

La sostituzione dei combustibili fossili, con tecnologie a basse emissioni di carbonio, richiederebbe un aumento di otto volte degli investimenti nelle energie rinnovabili e comporterebbe un forte aumento della domanda di metalli. Tuttavia, lo sviluppo delle miniere è un processo che richiede molto tempo, spesso un decennio o più, e presenta varie sfide, sia a livello aziendale che nazionale. La prima domanda è fino a che punto si estende l’attuale produzione di metalli e se le riserve esistenti possono provvedere alla transizione energetica. Dato l’aumento previsto del consumo di metalli fino al 2050 in uno scenario netto zero, gli attuali tassi di produzione di grafite, cobalto, vanadio e nichel sembrano inadeguati, mostrando un divario di oltre due terzi rispetto alla domanda. Anche le attuali forniture di rame, litio e platino sono inadeguate a soddisfare le esigenze future, con un divario del 30-40% rispetto alla domanda.

L’aumento della produzione è tutta in salita. Per alcuni minerali, le riserve esistenti consentirebbero una maggiore produzione attraverso maggiori investimenti nell’estrazione, come per la grafite e il vanadio. Per altri minerali, le riserve attuali potrebbero rappresentare un vincolo per la domanda futura, in particolare litio e piombo, ma anche per zinco, argento e silicio. Sicuramente una strada dovrà essere quella di un più efficiente riciclaggio dei metalli che conseguentemente potrebbe portare ad aumentare le forniture. Il riutilizzo dei rottami metallici avviene su larga scala solo per rame e nichel, ma ora sta aumentando per alcuni materiali più scarsi come il litio e il cobalto.

Pochi produttori trarranno vantaggio in modo sproporzionato dalla crescita della domanda. Al contrario, questo mette a nudo i rischi di transizione energetica da strozzature dell’offerta nel caso in cui gli investimenti in capacità produttiva non soddisfino la domanda, o in caso di potenziale rischio geopolitico all’interno o tra paesi produttori.

La Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, rappresenta circa il 70 per cento della produzione di cobalto e la metà delle riserve. Il ruolo è così dominante che la transizione energetica potrebbe diventare più difficile se il paese non può espandere le operazioni minerarie. Rischi simili si applicano a Cina, Cile e Sudafrica, che sono tutti i principali produttori di alcuni dei metalli più cruciali per la transizione energetica. Guasti o interruzioni nelle loro istituzioni, regolamenti o politiche potrebbero complicare la crescita dell’offerta e quindi creare nuove crisi devastanti per il sistema economico mondiale.

Oltre ai risvolti politici e geopolitici vi è poi una questione ideologica da affrontare: il finanziamento per gli investimenti minerari sono in forte contrazione a causa della crescente attenzione degli investitori su considerazioni ambientali, sociali e di governance. L’estrazione mineraria comporta impatti ambientali e alimenta il riscaldamento globale. L’accesso ridotto ai finanziamenti da parte delle imprese con rating inferiori potrebbe limitare la produzione, aggiungendo un altro potenziale collo di bottiglia della catena di approvvigionamento. In risposta, i minatori stanno cercando di ridurre la loro impronta di carbonio. Un’analisi di S&P Global mostra che il punteggio medio ESG dell’S&P Global 1200, un indice che rappresenta circa il 70% della capitalizzazione del mercato azionario globale, si è attestato a 62 su 100, mentre il punteggio del settore dei metalli e minerario è salito a 52 lo scorso anno da 39 nel 2018. Ciò potrebbe indicare che i minatori stanno raggiungendo altri settori per diventare più attraenti per gli investitori globali che cercano di costruire portafogli più responsabili. L’impegno a migliorare i punteggi ambientali potrebbe aiutare a sbloccare più finanziamenti verdi per le imprese minerarie secondo le analisi condotte da Andrea Pescatori, capo dell’unità Commodities nel dipartimento di ricerca del FMI e redattore associato del Journal of Money, Credit and Banking.

Marco Fontana
marco.fontana

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