Coronavirus, Cottarelli: “L’Europa uscirà da questa crisi rafforzata o indebolita in base alla durata della crisi e a come si comporterà”
Oltre l’emergenza sanitaria il Paese inizia ad interrogarsi anche sul dopo pandemia. Sono molti i dubbi, le critiche, le perplessità mosse dal mondo politico su alcune delle soluzioni prospettate per ottenere risorse fresche per riavviare il motore produttivo dell’Italia. Parole come MES e Eurobond vengono mal digerite da parte dell’opinione pubblica, ostaggio della guerra di trincea dei vari partiti politici e dell’esperienza greca. Abbiamo voluto chiedere la sua opinione in merito al professore Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano e già Commissario per la Spending Review dall’ottobre 2013 all’ottobre 2014 durante i Governi Letta e Renzi.
La politica si sta dividendo sulla possibile adesione ai Coronabond/Eurobond o ai fondi del Meccanismo europeo di stabilità (MES). Al riguardo c’è molta confusione e anche paura nell’opinione pubblica. Può chiarire le differenze dei due strumenti finanziari e quali rischi correrebbe l’Italia?
Partiamo dal MES, al momento fa dei prestiti che richiedono, tranne in alcuni casi speciali, una lettera d’intenti (memorandum of understanding) da parte dello Stato contraente nella quale si chiariscono quali politiche si adotteranno e si assume l’impegno di portarle a compimento. Si tratta del cosiddetto principio della condizionalità. Queste condizioni sono sempre discusse: possono essere minime, nel senso che le politiche da realizzare potrebbero anche essere le stesse che già il Governo realizzerebbe comunque, anche senza lettera. Il vantaggio del MES è che la Banca Centrale Europea può attivare le outright monetary transactions che consentono un finanziamento praticamente illimitato ad un Paese. Gli Eurobond o Coronabond non si sa come saranno strutturali. Dovrebbero essere una emissione fatta da un qualche istituito europeo, magari lo stesso MES ad esempio. Sono fondi raccolti sul mercato emettendo titoli europei garantiti da tutti i Paesi dell’Unione Europea e poi distribuiti secondo dei criteri che andranno definiti. Ad esempio in base al loro PIL, oppure sulla base di quanto severamente sono stati colpiti dalla pandemia. In questo caso non vi sarebbe alcuna condizione da sottoscrivere. Non si ha neppure l’idea se questi soldi verrebbero semplicemente dati ai Paesi, oppure gestiti direttamente dall’Unione Europea per pagare ad esempio un sussidio di disoccupazione per tutti i cittadini comunitari, oppure per lanciare un piano di investimenti infrastrutturali che coinvolga tutto il continente.
C’è molta polemica sul MES. Molti paventano un effetto Grecia se l’Italia attivasse questo percorso. C’è questo rischio? Rischiamo la Troika o un effetto Grecia?
Lo ripeto c’è una lettera di intenti dove si assumono degli impegni che possono essere più o meno impegnativi a seconda dei casi e delle condizioni economiche del Paese. Sta certamente al Governo valutare se le condizioni poste siano o meno accettabili. Deve presentare un piano economico credibile. In questo caso è veramente difficile pensare, che a fronte della crisi sanitaria che stiamo vivendo e della conseguente recessione che ne sta derivando vengano poste condizioni stringenti. Il confronto con la Grecia è assolutamente fuorviante perché il MES ha finanziato anche il Portogallo e l’Irlanda, con condizioni molto meno stringenti di quelle del caso greco. Tutti si ricordano soltanto della Grecia ma in questi altri due Paesi, in particolare l’Irlanda le condizioni erano particolarmente morbide e ne sono usciti rafforzati.
Gli Eurobond porterebbero a nuovi esborsi per le famiglie italiane?
Come già detto potrebbe anche non essere un prestito per l’Italia ma spesa direttamente gestita dall’Europa che poi verrebbe distribuita a favore dei vari Paesi. Ovviamente l’Europa deve essere in grado di restituire il capitale agli investitori o almeno pagare gli interessi su quel debito e quindi potrebbe essere necessario un minimo di flusso fiscale da parte dei Paesi verso l’Europa o una qualche forma di tassa europea per pagare appunto almeno gli interessi sul debito contratto. Gli Eurobond beneficerebbero sicuramente della garanzia di tutti i Paesi UE e quindi il rating sarebbe estremamente alto il che garantirebbe certamente un tasso d’interesse più basso rispetto a quello che verrebbe applicato se i titoli fossero emessi dai singoli paesi.
Quando si parla di condizionionalità nel MES si pensa subito alla spending review e all’austerity. Partiamo dalla prima: lei è stato Commissario per la spending Review che fine ha fatto il suo studio?
Alcune cose di quelle che avevo suggerito sono state fatte, però abbastanza poche. Si è fatta in parte la riforma del sistema degli acquisti della pubblica amministrazione: si è iniziato a comprare a livello centralizzato e qualche risparmio è stato fatto. Ma non si è fatto molto. Chiariamo però una cosa: la spending review non ha nulla a che fare con l’austerity. Ha a che fare con recuperare risorse che possono essere utilizzate anche per aumentare le spese necessarie o per tagliare le tasse. Per esempio nella sanità ho sempre detto, e lo ribadisco oggi, che i risparmi ottenuti evitano gli sprechi potevano essere reinvestiti sempre nell’ambito sanitario per migliorare l’offerta di servizi ai pazienti. Peraltro abbiamo ancora una spesa sanitaria abbastanza bassa rispetto agli altri Paesi europei. Diciamo che sulla sanità e gli investimenti straordinari dovuti all’emergenza coronavirus stiamo recuperando rispetto ai nostri competitor europei il deficit strutturale.
Quanto costerà la crisi all’Italia?
Non si può ancora sapere con certezza perché non abbiamo idea di quanto durerà ancora ad esempio l’interruzione della produzione. Il deficit potrebbe salire al ben oltre il 5%, forse fino al 10% del PIL.
Come può l’Italia con un deficit così alto riprendersi?
Nella fase iniziale è indispensabile aumentare il deficit pubblico per attenuare le perdite e sostenere il reddito. Una volta superata l’emergenza e quando la gente tornerà a lavorare c’è da chiedersi quale sia il modo migliore perché questi soldi non vadano sprecati e abbiano invece un effetto sulla domanda di beni e servizi. C’è chi dice che bisogna dare ad ogni famiglia una somma una tantum così le famiglie le spendano e riavviano il mercato. Secondo me puntare tutto su questo mi pare non responsabile: perché in una situazione di incertezza e in una condizione in cui la ricchezza delle famiglie è stata erosa dal crollo delle quotazioni azionarie una parte di quei soldi andrebbe risparmiata. Una parte significativa dei soldi del post emergenza quindi sarebbe auspicabile lasciarla allo Stato affinché la spenda per investimenti pubblici, cioè per riaprire cantieri, per fare acquisti in comparti strategici, per riavviare il motore dell’Italia.
Facciamo due esempi di spesa in deficit per riavviare l’Italia fatta da partiti politici italiani: il presidente di Forza Italia Berlusconi ha chiesto l’introduzione di una flat tax al 15% almeno a livello temporaneo. Alcuni esponenti delle forze di governo PD e M5s invece hanno parlato di un taglio del cuneo fiscale. Lei che cosa ne pensa?
Non farei a deficit né la prima ne la seconda. Quei soldi vanno spesi per misure straordinarie una tantum. Si può anche decidere di dare poniamo 2mila euro alle famiglie. Ma è impensabile avviare una riforma fiscale temporanea. E’ inimmaginabile poi che in Italia si tolga una Flat Tax al 15% se si introduce e comunque, come ho detto, c’è sempre il rischio che i soldi risparmiati non rientrino nel circuito economico. Identico discorso per il taglio del cuneo fiscale. Qui si ritorna nell’ambito dell’economia pre coronavirus. Ora sono necessarie misure straordinarie prima di sostegno e poi di investimento infrastrutturale una tantum per riavviare il motore dell’Italia, come si fa quando si attaccano i cavi elettrici tra un’auto e un’altra per riavviare il motore.
La FED ha dato una disponibilità infinita all’acquisto di bond americani. Lei ha fatto un calcolo di quanti titoli italiani acquisterà la BCE?
Con le cifre stanziate oggi dalla Banca Centrale Europea se il deficit pubblico si attestasse al 5% gli importi acquisiti dalla BCE assorbirebbero circa due terzi dei nostri Btp, se salisse al 10% scenderebbe ad una metà.
Il fatto che la BCE ‘avrà in pancia’ più titoli di stato italiani indebolisce la sovranità italiana?
In linea di principio qualcuno potrebbe dire che certo diventiamo più dipendenti rispetto ad un organismo sovranazionale che se cambia le proprie politiche potrebbe maggiormente vincolarci. Dall’altra parte si potrebbero però anche dire che la BCE si è impegnata a rinnovare questi titoli per parecchio tempo e la detenzione di una quota minore del nostro debito da parte dei mercati dovrebbe ridurre i rischi che derivano dall’imprevedibilità, dal capriccio dei mercati e delle paure degli investitori. Attualmente il nostro debito detenuto dalla BCE dovrebbe aggirarsi attorno al 17-20%. Se arrivasse ad un 30% potremmo dire che la nostra base di investimento è diventata più solida.
Secondo lei l’Europa come uscirà da questa crisi: rafforzata oppure indebolita?
Dipende da quello che farà. Se l’Europa si fa vedere più solidale c’è meno rischio che il sud del Continente diventi più scettico sulla sua funzione. Ma dall’altra parte si rischia anche che troppa solidarietà faccia prevalere i sovranisti del Nordeuropa portando ad un distacco di quei Paesi. La verità è che tutto dipende dalla durata della recessione. Le recessioni inevitabilmente portano ad attribuire ad altri le colpe della situazione che si sta vivendo. La crisi del 2008 e del 2011 aveva segnato ad esempio in Italia un forte antieuropeismo che poi si stava pian piano smorzando prima di questa pandemia.
Lei come ha vissuto la frase della Lagarde?
Ha fatto un gravissimo errore. Smentito però dai fatti prontamente. Tanto che oggi l’unico aiuto vero su cui ha potuto contare il nostro Paese è stato proprio dalla BCE. Le cose stavano andando fuori controllo, non dobbiamo dimenticarcelo quanto i tassi di interessi hanno superato il 3% in una mezza mattinata. E sappiamo che il nostro sistema bancario rischia di inchiodarsi quando arriva al 3/4% di tassi d’interesse rallentano il credito a imprese e famiglie.
Secondo lei tornerà il rapporto deficit/PIL al 3% dopo l’emergenza?
La Commissione aveva avviato un processo di consultazione per la revisione delle regole e dei parametri già prima del coronavirus. Ipotizzo che lo farà a maggior ragione ora. E comunque per rientrarci potrebbe esserci un periodo lungo di transizione come avvenuto già nel 2008 e 2009 dove per esempio il Patto di Stabilità non era stato sospeso come oggi. Tutti i Paesi, tranne pochi altri, avevano ecceduto ampiamente il 3% ma nessuno è stato penalizzato. La Germania era andata al 5%, la Francia al 7%, per rientrare ci sono voluti anni. Naturalmente, il tempo di rientro dipende da quanto durerà l’effetto economico della crisi del coronavirus.
Secondo lei finita l’emergenza e adottati strumenti come il MES o gli Eurobond l’Italia rischia di finire come la Grecia? Si riavvieranno politiche di austerity per tornare a rispettare i parametri in tempi rapidi allineandosi alla velocità dei paesi del Nordeuropa?
Il deficit si fa per misure straordinarie e per un tempo definito. E’ sufficiente stopparle finita l’emergenza economica e il deficit tornerà esattamente quello di partenza, anche se non sappiamo ancora quanto questo processo durerà. A quel punto rimarranno da affrontare gli stessi problemi che avevamo pre coronavirus. L’Italia dovrà affrontare i suoi soliti problemi irrisolti.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.