Conflitto ucraino e incognita nucleare

Conflitto ucraino e incognita nucleare

6 Gennaio 2023 0

Nel corso del 2018 quella che sino a quel momento era stata la tradizionale dottrina nucleare statunitense subiva un quasi impercettibile ma significativo mutamento. L’Amministrazione Trump rilasciava infatti due documenti fondamentali per l’evoluzione della teoria riguardante l’uso delle armi atomiche, in specie di quelle non-strategiche (cosiddette tattiche)[1], in quella che gli specialisti sono usi definire terza era nucleare. Nel testo noto come Nuclear Posture Review (NPR 2018) si affermava infatti che per gli Stati Uniti: “Expanding […] nuclear options […] to include low-yield options, is important for the preservation of credible deterrence against regional aggression” (<<Espandere le capacità nucleari […] includendo opzioni a basso potenziale, è importante per conservare una deterrenza credibile contro un’aggressione regionale>>). Nel secondo rapporto, intitolato Global Nuclear Landscape, veniva indicato uno dei principali motivi all’origine di tale mutamento ovvero l’approccio adottato dalla Federazione Russa in merito all’utilizzo delle armi atomiche a basso o bassissimo potenziale (ossia con una capacità di detonazione corrispondente a qualche decimo di kiloton[2]) per rispondere “with a nuclear strike to a non nuclear attack threatening the existence of the state” (<<con un attacco nucleare a un attacco non nucleare che minacci l’esistenza dello Stato>>). L’attuale inquilino della Casa Bianca, non discostandosi dalla linea già tra tracciata dal suo predecessore, ha ulteriormente contribuito all’evoluzione del dibattito circa l’impiego delle forze nucleari, tanto che Washington – come risposta simmetrica a quanto attualmente previsto dalla dottrina militare russa – parrebbe intenzionata a modificare la propria politica attinente al no first use, almeno in alcuni casi particolari.

Sembrerebbe essere proprio questo il significato da attribuire a un passaggio specifico della più recente (27 ottobre 2022) Nuclear Posture Review (NPR 2022), nella cui versione pubblica (il testo classificato era già stato trasmesso dal Dipartimento della Difesa al Congresso il 28 marzo) si afferma che gli Stati Uniti, dopo avere condotto “a thorough review of a broad range of options for nuclear declaratory policyincluding both No First Use and Sole Purpose policies” (<<una revisione approfondita di un’ampia gamma di opzioni per la politica dichiarativa nucleare – comprese le politiche di no first use e di sole purpose>>), intendono perseguire “the goal of moving toward a sole purpose declaration […] we will work with our Allies and partners to identify concrete steps that would allow us to do so” (<<l’obiettivo di andare verso una dichiarazione di sole purpose […] lavoreremo con i nostri alleati e partner per identificare passi concreti che ci consentirebbero di farlo>>).

L’orientamento che pare suggerire il più recente approccio statunitense risulterebbe tuttavia in contrasto con la Joint Statement of the Leaders of the Five Nuclear-Weapons States pubblicata il 3 gennaio scorso, in cui si dichiarava la necessità di prevenire un conflitto nucleare e la ripresa di una corsa al riarmo strategico. Inoltre, al recente G20 di Bali la delegazione statunitense aveva diffuso una nota in cui si affermava che i presidenti statunitense, Joseph R. Biden, e cinese, Xi Jinping, avessero “reiterated their agreement that a nuclear war should never be fought and can never be won […] underscored their opposition to the use or threat of use of nuclear weapons in Ukraine” (<<ribadito il loro accordo sul fatto che una guerra nucleare non dovrebbe mai essere combattuta e non può mai essere vinta […] sottolineando la loro opposizione all’uso o alla minaccia dell’uso di armi nucleari in Ucraina>> [fonte: whitehouse.gov]. Il passaggio relativo alla condanna di ciò che è stato percepito in Occidente come una minaccia (russa) all’uso di armi nucleari nel teatro ucraino è un implicito riferimento alla vigente dottrina nucleare di Mosca. Si può pertanto ritenere che, soprattutto, la posizione assunta in merito dalla Repubblica Popolare Cinese – potenza sinora amica e alleata di Mosca – al G20 di Bali abbia contribuito a ridimensionare l’atteggiamento del Cremlino, almeno per quel che concerne la sfera delle dichiarazioni pubbliche. Il 7 dicembre scorso, parlando alla riunione del Consiglio per i Diritti Umani e la Società Civile, il presidente russo Vladimir Putin aveva infatti affermato che, benché il pericolo di una guerra nucleare sia aumentato, la Russia non ricorrerà, per prima, all’uso delle armi nucleari, in nessuna circostanza [fonte: kremlin.ru]. Putin aveva specificato che la dottrina della Federazione Russa sia quella di utilizzare le armi nucleari come mezzi di difesa in caso di aggressione esterna, secondo il principio del retaliatory strike. Nondimeno, sia le dichiarazioni dell’Amministrazione Biden che quelle del Cremlino appaiono discordanti ovvero ambigue, per almeno tre motivi.

FOTO - L'incontro tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden (a destra) e il leader cinese Xi Jinping a Bali per il G20
FOTO – L’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden (a destra) e il leader cinese Xi Jinping a Bali per il G20

Anzitutto in considerazione di quanto previsto da Mosca in due documenti ufficiali: la Dottrina Militare della Federazione Russa e i Principi base sulla politica di Stato della Federazione Russa sulla deterrenza nucleare. Nel primo si afferma (art. 27) che la Russia si riserva il diritto di utilizzare il proprio arsenale atomicoin risposta all’uso contro di essa e/o i suoi alleati di armi nucleari e altre armi di distruzione di massa, nonché in caso di aggressione contro la Federazione Russa con l’uso di armi convenzionali, quando è minacciata l’esistenza dello Stato”. Ribadendo questo concetto, nel secondo documento viene contemplata (art. 17) anche l’ipotesi di un “attacco nemico contro siti governativi o militari critici della Federazione Russa, la cui interruzione minerebbe le azioni di risposta delle forze nucleari”. Di fatto, saremmo dinnanzi ad un primo colpo nucleare limitato, vale a dire proprio quel principio che (anche) gli Stati Uniti sembrerebbero intenzionati a formalizzare e quindi ad adottare.

In secondo luogo due particolari eventi, uno di natura militare e l’altro politico, sorti nel corso del conflitto russo-ucraino, sembrano indicare che il Cremlino abbia (avuto) ben chiaro quanto la minaccia del ricorso al nucleare – secondo i dettami della propria dottrina – possa essere un argomento funzionale allo scopo di spaccare il fronte delle potenze occidentali che sostengono gli sforzi bellici di Kiev. Il primo riguarda l’ordine emesso da Putin il 27 febbraio con il quale le forze di deterrenza (sia offensive che difensive), le quali includono anche sistemi d’arma nucleari, venivano poste in condizione di regime speciale. Il secondo risale al 4 ottobre scorso, quando il presidente russo ha apposto la propria firma ai testi di legge federali concernenti l’annessione alla Federazione Russa dei territori ucraini di Donetsk, Kherson, Lugansk, Zaporizhzhia.

Quest’ultima decisione, rendendo queste quattro regioni a tutti gli effetti (ovvero secondo la prospettiva unilaterale di Mosca) territori russi, ha incluso – almeno teoricamente – il fronte del Donbass nell’alveo di quanto previsto dagli artt. 27 e 17 della Dottrina Militare russa e del documento sui Principi base sulla deterrenza nucleare. Entrambe le decisioni, gettando sul piatto della bilancia l’arma del ricatto atomico, hanno avuto l’effetto di portare ad una nuclearizzazione della diplomazia di crisi, però con risultati differenti. Nel primo caso Mosca ha ottenuto una (relativa) massimizzazione della propria libertà d’azione. Nel secondo la leadership putiniana ha invece corso – e tutt’ora corre – il rischio di subire un effetto boomerang, qualora Kiev intenda effettivamente proseguire la propria controffensiva sino alla completa riconquista di tutti i territori ucraino-orientali occupati dai russi dall’inizio del conflitto. Va inoltre considerato che oltre alla situazione militare sul campo contribuisce ad alimentare la percezione di una minaccia vitale alla Russia anche il tema dell’accerchiamento ai suoi confini occidentali, secondo una peculiare lettura delle dinamiche geopolitiche post Guerra Fredda che da tempo sembra dominare il dibattito politico russo. Esempio di ciò sono le parole pronunciate il 21 settembre da Putin in un discorso in cui ha sostenuto che “L’obiettivo di una parte dell’Occidente è indebolire, dividere e alla fine distruggere il nostro Paese. Stanno dicendo apertamente ora che nel 1991 sono riusciti a dividere l’Unione Sovietica e ora è il momento di fare lo stesso con la Russia” [fonte: kremlin.ru].

FOTO - Olivier Zajec
FOTO – L’analista e professore Olivier Zajec

Infine va considerato che le dichiarazioni sino-statunitensi circa l’impossibilità di vincere una guerra nucleare ([anche] limitata) suonano in contrasto con quanto già sostenuto da alcuni teorici della strategia nucleare. A tal proposito, Olivier Zajec [3], nell’aprile scorso, ha ricordato che “c’è stato un lungo dibattito tra gli strateghi russi circa la corretta lettura” [fonte: Le Monde diplomatique] dei richiami dottrinali di Mosca in relazione all’impiego delle armi nucleari, sottolineando così il dato dell’ambiguità prima indicata.

La nuclearizzazione della crisi ucraina ha posto l’Occidente dinnanzi a due alternative: cedere al ricatto, rievocando lo spettro dell’appeasement, oppure correre il rischio di un’escalation capace anche di toccare la soglia nucleare. Sino ad oggi la risposta euro-atlantica è consistita in una soluzione mediana: le potenze occidentali, stimolate dagli Stati Uniti, hanno aperto i loro arsenali evitando però un coinvolgimento diretto, un po’ come fece l’America di Roosevelt con il Lend-Lease Act, almeno sino al suo ingresso nel Secondo conflitto mondiale. L’annessione delle quattro regioni del Donbass alla Russia, i recenti attacchi con dispositivi UAVs[4] effettuati in profondità nel territorio russo e una eventuale futura offensiva ucraina in direzione della Crimeapotrebbero tuttavia mutare il quadro odierno. Lo scenario più estremo potrebbe riguardare quanto contemplato dagli studi strategici relativi alle teorie della vittoria nucleare. Quest’ultima ipotesi concerne la possibilità che non solo si possa combattere ma perfino vincere un conflitto con l’utilizzo di armi atomiche tattiche (nell’accezione russa le takticheskoye yadernoye oruzhiye rappresentano una sottocategoria delle armi nucleari non-strategiche e hanno un raggio d’azione massimo di 300 chilometri)[5] attraverso quella che viene definita graduazione nucleare.

In una siffatta prospettiva, per l’Occidente le armi nucleari tattiche rappresenterebbero una soluzione in grado di offrire ai suoi decisori politici un’opzione intermedia “tra l’Armageddon e la sconfitta senza guerra” o, mutatis mutandis, un’alternativa, per il Cremlino, tra la prospettiva doomsday e una sconfitta in guerra capace di avere ripercussioni sulla tenuta interna dello Stato russo. Zajec aggiungeva che nel “2022 […] i nuovi teorici della vittoria nucleare rifiutano la <<paralisi>> alla quale condurrebbe una visione troppo rigida della deterrenza. Le loro convinzioni strategiche hanno trovato una forma di semi-ufficializzazione nel rapporto <<Nuclear Posture Review>> dell’amministrazione Trump, pubblicato nel 2018”. Il protrarsi del conflitto, in assenza di negoziati diplomatici capaci di produrre soluzioni concrete, potrebbe rappresentare un considerevole fattore di rischio, soprattutto se – come ricordava Zjec –gli attori coinvolti decidessero di scegliere la soluzione peggiore ossia “ripetere che il leader avversario [Putin, N.d.A.] è pazzo, e al tempo stesso considerare lo scontro come un <<gioco del pollo>> (chicken game), nel quale il primo che cede perderà. Persuadersi di questo porta o alla distruzione reciproca (non cedo malgrado la follia dell’avversario), o alla sconfitta senza guerra (cedo in ragionedella sua follia)”.

Infografica - La stima degli arsenali nucleari (fonte FAS - 2022)
Infografica – La stima degli arsenali nucleari (fonte FAS – 2022)

Ravvisando il ritorno della competizione tra grandi potenze, la NPR 2018 attribuiva a Mosca l’intenzione di considerare il ricorso ad un primo uso nucleare limitato per descalare un conflitto (escalate to de-escalate, secondo l’etichettatura occidentale) attraverso il raggiungimento della soglia nucleare tattica, in maniera tale da ottenere la capitolazione del nemico, il quale dinnanzi al rischio di scalare ulteriormente la soglia nucleare sarebbe indotto a cedere. Secondo gli estensori di quel documento, ciò costituirebbe tuttavia un pericoloso errore di valutazione, poiché la risposta occidentale (definita “tailored strategy”), ricorrendo  a quelle che venivano chiamate “graduated options”, farebbe ricorso, ove ritenuto necessario, anche alla “U.S. nuclear triad, U.S. and other NATO non-strategic nuclear forces deployed in Europe, and the nuclear forces of […] British and French allies” (<<alla triade nucleare statunitense, alle forze nucleari non strategiche statunitensi e della NATO dispiegate in Europa e alle forze nucleari degli alleati britannici e francesi>>).

Al di là di ogni simulazione e teorizzazione, nell’odierna competizione tra potenze c’è un aspetto sul quale Washington e Mosca concordano. Esso riguarda la consapevolezza che il prossimo decennio sarà colmo di pericolose incognite per la stabilità internazionale. Nella NPR 2022, Biden ha definito questo arco temporale come la “decisive decade” per il confronto tra “Democracies and Autocracies” in cui gli Stati Uniti saranno chiamati, in modo sempre maggiore, a proteggere i propri interessi vitali in contrapposizione ai due principali competitori globali: Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese. Dal canto suo, Putin, nello stesso giorno (27 ottobre) in cui l’Amministrazione Biden pubblicava la sua Nuclear Posture Review, parlando al diciannovesimo meeting del Valdai International Discussion Club, aveva affermato: “L’attuale fase storica di illimitato dominio occidentale nelle relazioni internazionali sta volgendo al termine […] Noi siamo ad un crocevia storico. Siamo forse nel più pericoloso, imprevedibile e allo stesso tempo più importante decennio dalla fine della Seconda guerra mondiale[6].

 

[1] Propriamente: armi nucleari non-strategiche.

[2] Un kiloton equivale a mille tonnellate di tritolo.

[3] https://www.monde-diplomatique.fr/2022/04/ZAJEC/64552

[4] Unmanned Aerial Vehicles.

[5] Fonte: NATO.

[6] http://en.kremlin.ru/events/president/news/69695

Roberto Motta Sosa
RobertoMottaSosa

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